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Può il condomino titolare di un'attività commerciale (somministrazione di alimenti e bevande) estendersi su uno spazio condominiale?

Ampliamento attività di somministrazione su area condominiale.
Avv. Anna Nicola 

La questione è affrontata sotto l'aspetto amministrativo, dal TAR Lazio che ha pubblicato il 12/04/2022 la decisione n. 4393/2022.

Ampliamento area esterna su area privata condominiale

La vicenda nasce dalla comunicazione - presentata dalla ricorrente in data 15 aprile 2014 - di ampliamento dell'area esterna per l'esercizio di attività di somministrazione per una superficie pari a mq. 16.00.

Il giudice amministrativo ha annullato in via di autotutela detto atto rilevando che "trattandosi di area privata condominiale, non assegnata in via esclusiva, quale pertinenza dell'unità locale di (omissis) (omissis), occorre supportare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività con idoneo documento, da cui si evinca chiaramente il diritto/facoltà di utilizzo dell'area comune per finalità esclusiva di un condomino, ovvero per lo svolgimento dell'attività di somministrazione".

La società interessata impugna il provvedimento.

Eccesso di potere per tardività del provvedimento

In primo luogo contesta che vi sia la violazione dell'art. 21 nonies della L. 241/90, nonché l'eccesso di potere vista la tardività dell'atto di secondo grado, adottato ben oltre 18 mesi dal provvedimento e comunque entro un termine non ragionevole, nonché l'assenza in motivazione di uno specifico interesse pubblico a sostegno dello stesso.

Il tribunale ritiene queste osservazioni non condivisibili.

Evidenzia che si tratta di un atto di ritiro cui la disposizione novellata non è applicabile ratione temporis, a fronte di un titolo formatosi nel 2014, e cioè in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 7 agosto 2015, n. 124 (e non della legge n. 164 del 2014, come sostenuto dalla ricorrente), che, sul punto, ha innovato l'originaria previsione dell'art. 21 nonies, l. n. 241/90 (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374; Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3583/2019).

Perciò è esclusa l'applicabilità del termine di 18 mesi introdotto dalla legge del 2015. In ragione di ciò, non risulta violato neppure il criterio del "termine ragionevole", che vale quale parametro di valutazione del tempestivo e, dunque, legittimo, esercizio dell'autotutela.

Richiama quindi il principio fissato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 17 ottobre 2017, n. 8 sulla cui base "la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all'amministrazione".

Da ciò, il termine per l'esercizio del potere di autotutela decorre solamente dal momento in cui l'Amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto.

Termine ragionevole

Applicando questi principi al caso in esame, si ha che l'Amministrazione ha esercitato il potere di annullamento in un termine ragionevole (27 aprile 2017), avuto riguardo al momento della scoperta dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro, vale a dire all'acquisizione della documentazione in possesso del ricorrente (27 febbraio 2017 e 17 marzo 2017), nonché della delibera condominiale (18 aprile 2017) da cui si è evinta la mancata disponibilità dell'area oggetto di ampliamento, contrariamente a quanto dichiarato dal ricorrente in sede di presentazione della Scia.

Valutazione comparativa degli interessi in conflitto

Vi è poi congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, ivi inclusi quelli dei comproprietari della superficie illegittimamente occupata. Rileva il Collegio come la valutazione dell'interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro, non si esaurisca nella mera esigenza di ripristino della legalità.

La seconda censura della società attiene all'eccesso di potere, eccesso di potere, non essendo indicate le disposizioni asseritamente violate oltre al fatto che la pretesa dell'Amministrazione parrebbe sfornita di ogni presupposto fattuale e di diritto.

In sintesi, l'interessata ha ritenuto che non sarebbe necessario che l'area condominiale sulla quale viene esercitata l'attività di somministrazione sia di suo uso esclusivo, e tantomeno che occorra il consenso del Condominio all'utilizzo dell'area medesima, potendo essa esercitare, in qualità di condomino, un uso più intenso della cosa comune come previsto e consentito dall'art. 1102 c.c.

In realtà, si scopre che la società ricorrente non è in possesso dei requisiti oggettivi richiesti dal Regolamento comunale sulla somministrazione di alimenti e bevande, di cui alla D.C.C. n. 35/2010 (artt. 5; 16, comma 5, punto 2; e 17, comma 2, lett. a), i quali dispongono che l'attività deve essere svolta nel rispetto della destinazione d'uso dei locali/superfici di cui l'operatore commerciale deve altresì comprovare la disponibilità giuridica e dare conto in sede di conformazione mediante Scia. Vi sono poi limiti posti dall'ordinamento a presidio dell'uso più intenso ammesso dall'art. 1102 c.c., vale a dire il divieto di alterare la destinazione della cosa e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Entrambi i limiti sono violati nella fattispecie in esame.

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Sentenza
Scarica Tar Lazio 12 aprile 2022 n. 4393
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