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Superamento delle barriere architettoniche: quando le deroghe di legge non valgono

L'installazione di un ascensore, utilizzando uno spazio di proprietà esclusiva, deve rispettare le norme in materia di distanze legali.
Avv. Adriana Nicoletti 

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 7609 in data 21 marzo 2024 ha chiarito come la legge in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, con tutte le deroghe in essa previste, trovi applicazione nel momento in cui un ascensore venga installato in una zona comunale.

Se l'opera viene approvata con delibera assembleare è innovazione e come tale trattata per le relative maggioranze.

Diversamente, il condomino in assenza di un assenso dell'assemblea potrà installare l'ascensore, ma in questo caso egli agirà nell'ambito di cui all'art. 1102 c.c., sempre nel rispetto dei limiti dalla norma stabiliti.

L'installazione dell'ascensore in zona esclusiva può violare le distanze legali. Fatto e decisione

L'acquirente di un appartamento sito al piano terra, di una bottega e di altro locale citava in giudizio, dinanzi al Tribunale, le venditrici oltre al Condominio affermando che gli immobili godevano di una servitù di passaggio attraverso il portone e l'androne del fabbricato, di cui le danti causa erano proprietarie.

Queste avevano realizzato un ascensore, così riducendo la luce d'ingresso e rendendo difficoltoso l'esercizio della servitù.

Ad avviso dell'attrice l'intervento, eseguito in violazione delle distanze legali, costituiva innovazione non legittima e, per tali motivi andava rimosso con contestuale ripristino dello stato dei luoghi.

Le convenute si costituivano in giudizio eccependo che l'opera, autorizzata per iscritto da parte attrice, non ostacolava l'esercizio della servitù e che era diretta all'abbattimento delle barriere architettoniche in forza dell'art. 3 della legge n. 13/1989, con esonero del rispetto delle distanze legali.

Inoltre, non si poteva parlare di innovazione in quanto l'intervento insisteva sulla proprietà esclusiva delle convenute. Il Condominio, da parte sua, negava la propria legittimazione passiva poiché l'opera non riguardava parti condominiali.

Il Tribunale, dichiarata la carenza di legittimazione del Condominio, accoglieva la domanda e, pur negando che vi fosse stata una diminuzione della servitù di passaggio, dichiarava che l'ascensore non fosse funzionale all'abbattimento delle barriere architettoniche, condannando le convenute all'arretramento del manufatto nei limiti delle distanze legali. La sentenza veniva confermata in sede di appello.

Le soccombenti, quindi, ricorrevano in cassazione con plurimi motivi di cui uno è particolarmente rilevante. Le ricorrenti, infatti, lamentavano che la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che la struttura fosse estranea alla legge sul superamento delle barriere architettoniche, con riferimento agli artt. 2 e 3 della legge n. 13/1989.

La Corte, accertato che l'ascensore insisteva su spazio di pertinenza delle ricorrenti e non sul suolo condominiale, ha affermato che la legge richiamata trova applicazione nel caso in cui siano interessati all'intervento spazi comuni e non, come nel caso in oggetto, di proprietà esclusiva.

Richiamando a tal fine il principio espresso dalla stessa Corte dal quale si può trarre, "a contrario" che le distanze legali di cui all'art. 907 c.c. devono essere rispettate quando si esuli dall'ambito condominiale.

In effetti ha affermato la Corte che "In tema di condominio, l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 cod. civ. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale" (Cass. 3 agosto 2012, n. 14096).

Peraltro, non risultava essere stato provato il presupposto dell'handicap richiesto dalla normativa vigente, né il rispetto delle normative tecniche di cui al d.m. n. 236/1989, mentre era stato accertato, tramite CTU, che l'ascensore non era idoneo ad abbattere le barriere architettoniche.

Il tutto con conseguente rigetto del ricorso e condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

L'ascensore può realizzarsi in deroga alle distanze da pareti finestrate perché abbatte una barriera architettonica

Considerazioni conclusive

Ridotta ai minimi termini la questione al centro della controversia decisa dalla Corte riguardava la violazione delle distanze legali non rispettate da chi aveva installato un ascensore, asseritamente finalizzato al superamento delle barriere architettoniche, utilizzando una porzione di proprietà esclusiva e rendendo difficoltoso l'esercizio di una servitù di passaggio da parte dell'avente diritto.

Per quanto, come si legge nell'ordinanza in esame, il caso fosse da considerarsi estraneo alla legge n. 13/1989 non avendo l'opera interessato una zona condominiale vale la pena di segnalare che:

  • dal combinato disposto della legge n. 13/1989 (e successive modifiche) e del D.M. n. 236/1989 (decreto di attuazione della stessa normativa), che indica le prescrizioni tecniche necessarie per garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici, l'ambito applicativo della normativa è riservato non solo agli edifici privati di nuova costruzione ma anche agli edifici esistenti.

Diversamente perderebbe significato l'art. 1120, co. 3, c.c. che, modificando il precedente quorum deliberativo, ha fissato la nuova maggioranza con riferimento all'art. 1136, co. 2, c.c.;

  • anche un solo condomino ha diritto di installare, a proprie spese, un ascensore per eliminare le barriere architettoniche. In questo caso è stato affermato che la l. n. 13/1989 costituisce "espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici".

Questo comporta che se per raggiungere l'obiettivo sia necessario procedere alla sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed al conseguente ampliamento della scala padronale" gli interventi "non possono essere esclusi per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l'esecuzione dell'opera all'autorizzazione del condominio, dovendo tributarsi ad una norma siffatta valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un'effettiva abitabilità dell'immobile, rendendosi, a tal fine, necessario solo verificare il rispetto dei limiti previsti dall'art. 1102 c.c., da intendersi, peraltro, alla luce del principio di solidarietà condominiale" (Cass. 28 marzo 2017, n. 7938);

  • il principio della solidarietà condominiale, avendo ad oggetto un diritto fondamentale alla eliminazione delle barriere architettoniche, prescinde dalla effettiva utilizzazione, da parte dei soggetti disabili degli edifici interessati e rende legittimo l'intervento stesso che sia idoneo anche ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Trib. Civitavecchia 6 novembre 2023, n. 1748; Cass. 25 ottobre 2012, n. 18334);
  • quanto, infine, al fatto che la Corte ha, ad abundatiam, affermato che nella fattispecie le ricorrenti non avevano provato il presupposto dell'handicap previsto dall'art. 27 della legge n. 118/1971, va ricordato quanto affermato dalla stessa Corte in un suo precedente (Cass. 28 marzo 2017, n. 7938) nel quale era stato rilevato che, anche per effetto di un antecedente intervento della Corte costituzionale, con la legge n. 13/1989 si sia determinato un mutamento di prospettiva rispetto ai problemi che devono affrontare le persone affette da invalidità, ampliando il concetto di disabilità in ragione del rispetto dei diritti fondamentali contenuti negli artt. 32 e 42 Cost., talchè la normativa speciale "si deve ritenere applicabile anche alle persone che, in condizione dell'età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie".

E sul punto, possiamo dire che anche la giurisprudenza di merito, fino dai primi momenti interpretativi, è sempre andata in questo senso.

Sentenza
Scarica Cass 21 marzo 2024 n. 7609
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