Con sentenza n. 8067 emessa in data 25 marzo 2024 la Corte di cassazione ha evidenziato quale sia la differenza tra i due soggetti che possono erogare il servizio idrico: da un lato direttamente la Pubblica Amministrazione e, dall'altro, una società c.d. "in house" controllata, ovvero gestita dalla prima. Tale differenza si riverbera sulla forma del contratto: scritta per la prima, libera per la seconda.
Tale decisione offre anche lo spunto per alcune riflessioni in merito alle problematiche che possono sorgere tra ente gestore e Condominio in relazione alla fornitura del servizio.
Servizio idrico affidato ad una società controllata dal Comune: per il contratto non è richiesta la forma scritta. Fatto e decisione
Un Condominio ricorreva al Tribunale negando di essere obbligato al pagamento di alcune fatture emesse dalla società che, subentrata al Comune del luogo, aveva somministrato il servizio idrico.
Affermava l'attore che nessun rapporto contrattuale era intervenuto con la convenuta la quale, invece, aveva interagito con i singoli condomini.
In ogni caso, anche se vi fosse stato un eventuale accordo per la somministrazione di acqua, questo doveva essere considerato nullo per difetto di forma scritta, tipica per i rapporti con la P.A.
La sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda attrice, veniva riformata dalla Corte di appello poiché, ad avviso del Collegio, la regola della forma scritta non vale per i contratti stipulati da una società commerciale, anche se questa sia controllata per intero dall'ente pubblico.
Il ricorso in Cassazione proposto dal Condominio avverso tale decisione è stato rigettato integralmente, con compensazione delle spese di lite tra le parti.
Il nucleo centrale della questione era rappresentato dalla natura della società che aveva effettuato la somministrazione del servizio idrico e, conseguentemente, se al relativo contratto si dovesse applicare la forma scritta.
I due profili qui evidenziati sono stati trattati contestualmente, avendo la Corte richiamato quanto in precedenza affermato dalle Sezioni Unite (sent. n. 20684 del 9 agosto 2018) ovvero che "in ragione della natura imprenditoriale dell'attività svolta e della sua autonomia organizzativa e gestionale rispetto allo stato e agli enti locali da cui è partecipata, l'azienda speciale di ente pubblico territoriale, pur appartenendo al sistema con il quale la P.A. gestisce i servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni e attività rivolte a soddisfare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, non può qualificarsi, ai fini della normativa sulla forma dei contratti di cui agli articoli 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923 Pubblica Amministrazione in senso stretto.
Ne consegue che per i suoi contratti non è imposta la forma scritta "ad substantiam", né sono vietate la stipula per "facta concludentia" o mediante esecuzione della prestazione ex art. 1327 c.c., ma vige, al contrario, il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale".
Tale principio si applica - ad avviso dei giudici di legittimità - anche a quelle società non strettamente rientranti in questa categoria ma delle quali la P.A. si serve per perseguire finalità pubbliche. La ratio della regola, infatti, va interpretata "nel senso che, essendo la forma scritta imposta quando sia parte del contratto una pubblica amministrazione, essa non può estendersi ai casi in cui il soggetto che stipula è formalmente diverso da una pubblica amministrazione, anche se agisce per conto di quella.
Del resto, la creazione di queste società, sia pure interamente controllate dalla pubblica amministrazione, è una scelta che quest'ultima opera proprio al fine di rendere più spedita l'erogazione del servizio, svincolandola dai requisiti formali che invece vincolano l'ente pubblico.
Ciò avviene altresì attraverso l'attribuzione alla società in house di una autonomia organizzativa propria, che è certa, e che significa che dunque gli atti sono compiuti dalla società autonomamente, senza il rispetto delle regole che l'organizzazione dell'ente pubblico imporrebbe, pur restando soggetti dotati di una propria autonomia che operano con la finalità di rendere più spedita l'erogazione".
Pienamente corretta, quindi, la decisione oggetto di gravame.
Contratti di fornitura idrica: obblighi e responsabilità del condominio
Il contratto per la fornitura di acqua potabile si configura come il tipico contratto di somministrazione, che viene stipulato tra l'Ente Comunale, il cittadino privato, l'edificio o il gruppo di edifici cui la fornitura è destinata.
Ma, come emerge dalla sentenza oggetto di nota, il Comune può cedere il servizio ad una società con le conseguenze, in tema di validità del contratto, che sono state evidenziate dalla stessa Corte.
E quanto a ciò occorre ribadire che per ritenere obbligatoria la sottoscrizione di un contratto in forma scritta di fornitura di un qualsivoglia servizio di natura pubblica (energia elettrica, gas, luce) occorre che il rapporto intercorra direttamente tra la P.A. in senso stretto e l'utente e non quando all'ente territoriale si sostituisca, per successione, una società da questo controllata.
Per quanto concerne, in particolare, il Condominio è interessante evidenziare come il soggetto legittimato a sottoscrivere il contratto de quo sia l'amministratore. Tuttavia, in considerazione del libero mercato, che consente di passare da un gestore all'altro in ragione delle migliori offerte economiche praticate dal fornitore, la decisione non può essere assunta unilateralmente dal rappresentante condominiale ma richiede una delibera assembleare.
Più correttamente, la legittimazione alla firma del contratto spetta sempre a tale soggetto, mentre la scelta del gestore è di competenza dell'assemblea, trattandosi sempre di assumere a nome e per contro dei condomini un impegno di spesa, considerando che in questo caso l'attività svolta dall'amministratore non rientra propriamente nelle attribuzioni disciplinate dall'art. 1130 c.c.
In realtà le problematiche che caratterizzano la fornitura di acqua da parte del Comune/gestore del servizio sono molteplici.
In primo piano si pone la morosità del Condominio nel pagamento delle bollette. In questo caso è stato affermato (Trib. Fermo 23 marzo 2016, n. 703) che non può essere pronunciato un provvedimento generalizzato di sospensione urgente del servizio idrico residenziale, quando la morosità sia limitata ad una pertinenza suscettibile di godimento separato del servizio stesso per effetto della sottoscrizione di contratti separati (nella specie: garage).
Mentre il distacco è legittimo se, preceduto dai relativi avvisi, il debito, prolungato negli anni e di rilevante entità, interessa l'intero Condominio.
In questo caso, infatti, il comportamento omissivo sarebbe imputabile a tutta la compagine condominiale non rilevando, per l'ente erogatore, se il mancato adempimento sia conseguenza di un comportamento infedele dell'amministratore il quale, pur avendo ricevuto i pagamenti dei condomini, non abbia provveduto a pagare le bollette.
Pertanto, il Condominio risponderà sempre nei confronti del gestore ma, poi, potrà rivalersi sul proprio rappresentante infedele.
Altro discorso, invece, riguarda la morosità del singolo condomino per il pagamento dei contributi inerenti al consumo idrico, rispetto al quale si è più volte posto il problema se l'amministratore possa avvalersi dei poteri in autotutela previsti dall'art. 63, co. 3, disp. att. c.c. allorché il ritardo si protragga per oltre sei mesi. Nella specie, infatti, il servizio di fornitura dell'acqua si può considerare suscettibile di godimento separato, essendo sufficiente allo scopo sigillare la saracinesca collegata alla singola utenza.
La risposta, tuttavia, non è scontata, dal momento che la giurisprudenza in materia si è pronunciata con decisioni contrastanti, delle quali quelle orientate in senso negativo hanno dato preminenza alla tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito.
Altra questione concerne l'eccessiva onerosità delle bollette relative al servizio idrico emesse dal gestore. Quale il compito dell'amministratore? Appare pacifico che, in considerazione della natura dell'incarico allo stesso conferito dall'assemblea, egli sia obbligato a dare immediata notizia ai condomini del debito maturato.
Tuttavia, va anche detto che a fronte di tale urgenza l'amministratore può anche attivarsi autonomamente per verificare se vi siano perdite occulte nell'impianto oppure se il contatore funzioni correttamente, oltre che accertare presso lo stesso gestore la situazione espositiva.
E' scontato che l'amministratore non potrà mai, senza l'assenso dell'assemblea, sottoscrivere con il gestore un piano di rientro rateizzato, nè un atto transattivo.
Quanto alla qualità dell'acqua erogata in ambito condominiale dove si fermano le attribuzioni dell'amministratore? A questo proposito va rammentato che il D.Lgs. n. 18/2023, attuativo della direttiva europea n. 2184/2020, ha ridefinito le norme in materia di qualità dell'acqua destinata al consumo umano.
A fronte di un quadro normativo complesso, in estrema sintesi sarà qui sufficiente evidenziare che occorre fare riferimento alla struttura della rete idrica, determinante per individuare i soggetti interessati nell'applicazione del decreto.
Il gestore è responsabile fino al punto in cui la condotta idrica si collega a quella comune; il Condominio è competente per i controlli che riguardano le tubature comuni, mentre il condomino interviene dal punto in cui la tubazione diventa di proprietà individuale. Fermo restando che le condutture dell'acqua non perdono il carattere di beni comuni per il solo fatto di attraversare immobili esclusivi.