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Solo il pagamento integrale salva dallo sfratto e la norma rispetta la Costituzione.

Non è incostituzionale la norma sulle locazioni abitative che esclude la risoluzione del contratto solo al pagamento integrale del dovuto entro il termine di grazia. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 79/2020.
Avv. Valentina Papanice 

Termine di grazia e pagamento integrale, non c'è illegittimità costituzionale

Non è irrispettosa della Costituzione la norma dell'art. 55, L. 392/1978 ("Disciplina delle locazioni di immobili urbani"), che esclude la risoluzione del contratto di locazione abitativa nel caso in cui il conduttore abbia pagato, in sede giudiziale o entro il termine eventualmente dato dal giudice, secondo le norme ivi previste, "l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice".

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 79 depositata il 24 aprile 2020, con cui peraltro si espone un utile riepilogo del quadro normativo.

Vediamo quindi i termini della vicenda.

La norma oggetto di giudizio di conformità costituzionale

Per facilitare il lettore si riporta il testo della norma controversa; quindi a norma dell'art. 55, L n. 392/1978: "La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.

Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta.

In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato.

La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà.

Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto".

La questione posta dal Tribunale di Modena

Ebbene, secondo il giudice rimettente, cioè quello che appunto ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, l'illegittimità costituzionale verrebbe dalla "mancata previsione, tra i casi di esclusione della risoluzione in sede di procedimento per convalida di sfratto, ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo articolo per le sue condizioni di difficoltà economica, dell'ipotesi in cui residui il pagamento delle spese processuali e di ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione, la caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell'entità del debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore".

Insomma, se sono state riconosciute le condizioni di difficoltà economica del conduttore, perché chiedergli anche, affinché il contratto prosegua, il pagamento delle spese processuali e in ogni caso, perché risolvere il contratto qualora risulti che ciò comporterebbe un sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore a fronte dell'esiguità del credito residuo e considerate le reciproche posizioni delle parti del contratto?

Non è, detta norma, come prevista, in contrasto con gli artt. 2, 3 e 111 della Costituzione?

In particolare, secondo il giudice di Modena, sarebbe violato l'art. 2 che prevede, per quel che qui interessa, un dovere di buona fede nei rapporti obbligatori, dal momento che, ove la compromissione della situazione patrimoniale del conduttore sia certa, non si consente al giudice, al fine di pronunciare la risoluzione del contratto (in sede sommaria), di valutare il complessivo assetto di interessi e sacrifici nel quali si inserisce il mancato pagamento del residuo, qualora non sia chiara l'incidenza del debito nella situazione del creditore oppure residui solo il pagamento delle spese processuali, somma che il locatore potrà ottenere comunque in forza della sentenza conclusiva del giudizio di merito, una volta mutato il rito.

Sarebbe poi violato l'art. 3, co. 2, norma che prevede la rimozione degli ostacoli alla libertà e all'uguaglianza tra le persone, perché, a seguito della concessione del termine giudiziale per la sanatoria della morosità, riceverebbero lo stesso trattamento situazioni differenti: quella dove il mancato pagamento incide in modo rilevante e quella dove il mancato pagamento non incide in maniera rilevante nella sfera patrimoniale del locatore: in entrambi i casi la legge impone la risoluzione del contratto, impedendo al giudice di operare una valutazione comparativa degli interessi contrapposti.

Infine, l'art. 111 Cost. sarebbe violato perché sarebbe a rischio il principio del giusto processo "inteso come presidio contro l'esercizio dell'azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale." Questo, laddove, a fronte dello sforzo sostenuto dal conduttore, "la lesione dell'interesse economico del locatore, … sia tollerabile entro i limiti dell'apprezzabile sacrificio, avuto riguardo alle condizioni delle parti, oppure soltanto eventuale, come nel caso delle spese processuali".

Per l'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio a difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, nella norma incriminata vi è un ragionevole bilanciamento degli interessi tra le parti del rapporto di locazione: da un lato si concede al conduttore un ulteriore termine per sanare la morosità, dall'altro però, data la valenza eccezionale della concessione di tale termine, si esclude che lo sfratto avvenga solo all'integrale pagamento delle somme dovute.

La risposta della Corte Costituzionale: in primis il quadro normativo del codice civile

Per rispondere alla domanda, la Corte ci offre in primis un inquadramento della questione nell'ambito delle norme del codice civile. Così, ci ricorda che la risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, tra cui rientra quello di locazione, è regolata dagli artt. 1453 e ss. c.c.

Tra questi, l'art. 1455 prevede che la risoluzione per inadempimento può essere richiesta dalla parte adempiente al giudice solo in caso di inadempimento che non abbia "scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra".

Lo stesso principio è sotteso nel caso dell'eccezione di inadempimento, dove si consente alla parte adempiente di non adempiere se l'altra non adempie, sempre che si sia in buona fede (ex art. 1460 c.c.); è poi previsto che nel caso di mutamento delle condizioni patrimoniali di una parte, all'altra è consentito di sospendere l'esecuzione della prestazione se ha fondato timore di non ricevere la controprestazione (salvo che sia prestata garanzia) (ex art. 1461 c.c.); ricorda infatti la Corte come sia stato già statuito che in caso di inadempienze reciproche, sia importante individuare quale parte, "in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale" (si menziona Cass. sent. n. 13627/2017 e ord. n. 13827/2019).

Si aggiunge che l'art. 1453, co. 3 c.c. prevede che "dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione" e quindi è in relazione a quel momento che va valutata dal giudice l'importanza dell'inadempimento.

Ciò non esclude che la parte che agisce per la risoluzione contrattuale - che può rifiutare l'adempimento tardivo come quello parziale - possa volontariamente accettare l'adempimento tardivo.

Passando alle norme del procedimento di sfratto (artt. 657 e ss. c.p.c.), l'art. 658, co. 1 c.p.c. prescrive che l'intimazione di sfratto è possibile "in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze" (basta la morosità di almeno un canone a distinguere tra inadempimento idoneo, o no, per la convalida dell'intimazione di sfratto).

Mentre, l'art. 663 co.3 c.p.c. prevede che (a seguito della mancata comparizione o della mancata opposizione dell'intimato) la convalida dello sfratto "è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste".

Inoltre, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 51/1995, è impugnabile per revocazione ex art. 395, co. 1 n. 1), c.p.c., l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità emessa sulla base della falsa attestazione della persistenza della morosità stessa.

La previsione dell'art. 663 co.3 c.p.c. implica quindi che prima di quel momento il conduttore può evitare la convalida di sfratto pagando.

Però, aggiunge la Corte, trovano anche applicazione le regole generali delle obbligazioni e in particolare l'art. 1181 c.c. - che consente al creditore di rifiutare un adempimento parziale (salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente), per cui il conduttore non può pagare solo una parte del dovuto salvo che il locatore lo consenta - e l'art. 1182 c.c., che indica quale luogo di pagamento nelle obbligazioni pecuniarie, salva diversa pattuizione, nel domicilio del creditore, cioè, nel nostro caso, il locatore.

Con specifico riferimento alle locazioni urbane abitative il criterio per l'individuazione dell'importanza dell'inadempimento è dato dall'art. 5 della legge n. 392/1978 citata per il quale è motivo di risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1455 c.c., il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, oppure il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.

Il testuale riferimento alla disposizione dell'art. 1455 c.c. mostra, rileva sempre la Corte, che il canone legale di valutazione dell'importanza dell'inadempimento vale innanzi tutto nel giudizio ordinario di risoluzione contrattuale.

Ricorda in proposito la Corte che, a fronte dell'inadempimento del mancato pagamento del canone, il locatore può scegliere tra l'azione di risoluzione nelle forme di un giudizio ordinario di cognizione e l'intimazione di sfratto per morosità ai sensi dell'art. 658 c.p.c., che è un procedimento più celere, implicante comunque la risoluzione della locazione.

Con l'intimazione di sfratto il locatore esercita contemporaneamente un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento e un'azione di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato (v. Cass. SS. UU. n. 2034/1985).

Se l'intimato si oppone, ottiene di impedire la convalida dell'intimazione di sfratto - anche se il giudice può emettere, con i presupposti ed i modi previsti, ordinanza provvisoria di rilascio - e di provocare il mutamento di rito: si passa dalla fase sommaria alla fase di cognizione piena del processo locatizio (ex att. 447-bis c.p.c.).

Canoni di locazione pignorati, non si può obbligare il conduttore a proseguire la locazione

La qualificazione dell'intimazione per convalida di sfratto della morosità come azione di risoluzione speciale comporta, di norma, l'applicazione l'art. 1455 c.c., e quindi, richiede l'importanza dell'inadempimento del conduttore.

In caso di locazioni ad uso abitativo, l'art. 5 L. n. 392/1978 contiene un'individuazione legale dell'inadempimento di non scarsa importanza.

Una valutazione legale che vale sia per il rito ordinario di cognizione, che per l'intimazione di sfratto, anche se in quest'ultimo caso, l'inadempimento, deve verificarsi alla scadenza (v. art. 658 c.p.c.).

Per le locazioni urbane abitative si deve altresì considerare quanto prevede l'art. 55 L. n. 392/1978, la norma oggetto del giudizio de quo, che ha introdotto una disciplina processuale speciale di favore del conduttore valevole per le sole locazioni abitative, come ritenuto dalla giurisprudenza di Legittimità (v. Cass. SS. UU. n. 272/1999), ma, secondo la Corte Costituzionale, applicabile anche nel giudizio ordinario di cognizione, oltre che nel procedimento di intimazione di sfratto per morosità (sentenza n. 3 del 1999).

Il pagamento previsto dall'art. 55, atto ad escludere la risoluzione del contratto di locazione, dev'essere integrale; e non è quindi soggetto, rammenta la Corte, ad una nuova valutazione di gravità (menziona tra tante, Cass. n. 18224/2013).

Aggiunge la Corte che, come su detto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato - con un'interpretazione che la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto non irragionevole, né discriminatoria (ord. n. 410/2001) - che la disciplina dell'art. 55 cit. non può applicarsi anche alle locazioni per uso diverso da quello abitativo.

Ciò vuol dire che anche ove, in tali ultimi casi, avvenga l'integrale pagamento alla prima udienza, non per questo si evita la risoluzione del contratto, in quanto detto pagamento, avvenuto dopo la notifica della citazione, è comunque tardivo e può incidere sulla morosità, impedendo la convalida di sfratto in fase sommaria, ma non sulla risoluzione del contratto, essendosi comunque verificato un inadempimento rilevante (tra le altre, Cass. n. 10587/2008).

Locazione per uso diverso da quello abitativo, durata e recesso

Può quindi notarsi la netta distinzione tra la "purgazione della mora" prima dell'udienza di convalida - che impedisce la convalida di sfratto, ma non impedisce un'azione ordinaria di cognizione per risoluzione del contratto per l'adempimento tardivo -, e la "speciale sanatoria in sede giudiziale", di cui all'art. 55, all'udienza di convalida (co. 1) o anche dopo, ove sia concesso il "termine di grazia" (co. 2), che invece ha un effetto più ampio, "di protezione del rapporto contrattuale": non solo, infatti sana la morosità - estesa peraltro anche a somme dovute dopo che il giudizio sia stato promosso, nelle forme sia ordinaria che monitoria - ma impedisce anche la risoluzione del contratto (tra le altre, menziona Cass. n.10587/2008).

È infondata la questione di legittimità per violazione dell'art. 3 Cost…

Dopo questa amplia premessa sul quadro delle norme, la Corte passa all'analisi delle censure sollevate dal Tribunale di Modena in relazione all'ultimo comma dell'art. 55, L. n. 392/1978.

Al giudice rimettente non sfugge che, per la giurisprudenza di Legittimità, affinchè si eviti la risoluzione del contratto di locazione, in particolare in occasione della concessione del termine di grazia di cui al co.2, tutto l'importo fissato dal giudice dev'essere pagato in quel termine.

Le questioni di legittimità poste sono ritenute infondate dalla Corte.

Non fondata è ritenuta la questione di legittimità, per violazione dell'art. 3, co. 2, Cost. - ma in realtà, osserva la Corte, è evocato anche co. 1.

La Corte ricorda di avere già da tempo affermato che la facoltà data al locatore di agire attivando il procedimento di convalida in alternativa al giudizio ordinario di cognizione è compatibile con la Costituzione, e in particolare con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.: il diritto di difesa del conduttore intimato non è, si dice, compromesso, potendo questi, attraverso l'opposizione, beneficiare delle garanzie processuali di un giudizio a cognizione piena sulla risoluzione negoziale (sentenza n. 89/1972).

Né, si aggiunge, può considerarsi una forma di tutela irragionevole del locatore la possibilità prevista dalle norme che, a seguito dell'opposizione, il giudice pronunci l'ordinanza provvisoria di rilascio, un peculiare strumento di condanna con riserva delle eccezioni, previsto dal Legislatore al fine di evitare che il conduttore moroso faccia un utilizzo strumentale del giudizio di opposizione e dunque del diritto di difesa onde procrastinare il rilascio dell'immobile (sentenza n. 94/1973).

La Corte ricorda di avere già affermato che l'art. 55 mentre, da un lato, non limita al conduttore la normale tutela giurisdizionale prevista dall'art. 24 Cost., ma prevede al contrario un'ulteriore specifica agevolazione a suo favore; e, da un altro, non può ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., posto che "attribuisce obiettivo rilievo alla mora del conduttore", accordando "una speciale protezione proprio ai soggetti meno abbienti", laddove prevede che (se il pagamento non avviene in udienza) il giudice assegni un termine per la sanatoria della mora in presenza di comprovate condizioni di difficoltà del conduttore (ordinanza n. 315/1986).

La Corte rammenta anche che - laddove si è occupata della questione di legittimità costituzionale circa la mancata estensione del meccanismo di cui all'art. 55 alle locazioni a uso diverso da quello abitativo - ha spiegato che non vi è in ciò una irragionevole discriminazione, dunque lesione dell'art. 3 Cost. nei confronti del conduttore dell'immobile ad uso non abitativo, perché tale norma è volta ad "apprestare all'interesse abitativo una tutela eccezionale e perciò stesso diversa e più intensa di quella, generale, riconosciuta all'interesse economico di cui è portatore il conduttore di immobili destinati ad uso non abitativo" (ordinanza n. 410/2001).

In sostanza, sottolinea la Corte, il consentire al conduttore in difficoltà di accedere alla speciale sanatoria costituisce "di per sé frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, allo scopo di accordare una particolare tutela al conduttore ove venga in rilievo il diritto all'abitazione" che la stessa Corte ha in più precedenti definito "bene di primaria importanza" (da ultimo, la stessa Corte qui menziona la sentenza n. 44/2020).

È dunque legittimo che il Legislatore, qualora vi sia una finalità meritevole di tutela, preveda una disciplina speciale a favore del conduttore, senza che sia per ciò irragionevole la mancata estensione della previsione, già di carattere eccezionale, alle ipotesi indicate dalle giudice remittente; ciò, tanto più visto che nella materia processuale la discrezionalità legislativa è particolarmente ampia ed è sindacabile solo sotto il profilo dell'arbitrarietà ovvero dell'irragionevolezza manifesta (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2019; n. 225, n. 77 e n. 45 del 2018; ordinanza n. 273 del 2019).

Ciò, tenendo anche in conto che è lo stesso conduttore a scegliere di non opporsi alla convalida ed a richiedere la concessione del termine di grazia, potendo così sanare la morosità ed evitare di perdere da subito la disponibilità dell'immobile locato, non potendo disporsi, a seguito della relativa istanza, la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio.

Rientra quindi nella discrezionalità del legislatore "modellare" le norme processuali, soprattutto quando hanno carattere speciale ed eccezionale, come quella in questione. Discrezionalità che non è irragionevole nei casi in cui residui anche solo il pagamento delle spese processuali.

Il Legislatore ha inserito anche le spese processuali nella speciale sanatoria diretta ed evitare la risoluzione del contratto "nel contesto di un bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti e in considerazione del "sacrificio" richiesto al locatore che non ottiene, alla prima udienza, la convalida dell'intimazione di sfratto, pur persistendo in quel momento la morosità e mancando l'opposizione dell'intimato." Rientra nella discrezionalità del Legislatore operare un diverso bilanciamento, più favorevole al conduttore moroso, come è stato previsto per i contratti agrari, in caso di affitto di fondi rustici, dall'art. 11, co. 8, D.Lgs. n. 150/2011 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), secondo cui il pagamento dell'importo complessivo nel termine di grazia sana la morosità a tutti gli effetti senza necessità del pagamento delle spese processuali, che vengono liquidate dal giudice successivamente con sentenza.

…la questione di Legittimità per violazione dell'art. 111 Cost….

Per i giudici è anche infondata la questione di legittimità relativa all'art. 111 Cost., secondo la quale, non consentendosi al giudice di valutare la gravità dell'inadempimento residuo e imponendogli la convalida dello sfratto, si determinerebbe un sacrificio eccessivo delle ragioni del conduttore rispetto al diritto del locatore.

Al contrario, anche qui la Corte ricorda di avere più volte affermato proprio con riferimento al procedimento di convalida di sfratto, che il Legislatore può "differenziare i modi della tutela giurisdizionale onde adeguarli al conseguimento di determinate finalità, tra le quali assume rilevanza quella di definire il giudizio evitando abusi del diritto di difesa da parte del conduttore moroso che protragga eccessivamente il godimento del bene locato" (sentenza n. 185/1980).

…e anche la questione di legittimità per violazione dell'art. 2 Cost.

Infine, si respinge anche il richiamo all'art. 2 Cost., l'assunta violazione del canone di solidarietà nell'ambito del rapporto negoziale definendolo "non pertinente": il principio di buona fede oggettiva, che pure ne permea la disciplina anche nella fase esecutiva, non può acquisire rilievo, "quando a fronte di un inadempimento grave di una parte, l'altra abbia esercitato la propria legittima facoltà di agire in giudizio per la risoluzione negoziale, facoltà il cui esercizio, peraltro, di norma preclude l'adempimento tardivo (art. 1453, terzo comma, cod. civ.)".

Scarica Corte costituzionale 24.04.2020 n. 79
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