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Ripartizione spese facciata condominiale secondo millesimi di proprietà, perché?

Le spese per il rifacimento della facciata condominiale devono essere ripartite tra tutti i condòmini in base ai millesimi di proprietà.
Avv. Alessandro Gallucci 

Eppure non è mancato chi, davanti a questa affermazione, unanimemente condivisa da dottrina e giurisprudenza, ha chiesto perché?

La richiesta di spiegazione è più che normale, anzi legittima, lo scopo reale, però è arrivare a questo approdo: siccome la facciata serve tutti in egual modo, allora tutti devono contribuire al pagamento del costo di rifacimento della facciata in parti uguali.

Il ragionamento, alla luce delle norme condominiali, è errato.

Qui di seguito se ne espliciteranno le ragioni.

Criteri di ripartizione delle spese condominiali

A mente dell'art. 1123, primo comma, c.c. «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione».

L'art. 1124, 1125 e 1126 c.c. indicano criteri di ripartizione differenti, sulla scorta del criterio generale indicato dal secondo comma dell'art. 1123 c.c. che stabilisce una ripartizione in base all'uso; le norme riguardano scale, ascensori, solai e lastrici, non la facciata.

Dalla sintesi così esposta ne viene fuori - questo è il responso dottrinario-giurisprudenziale - che il criterio generale di ripartizione dei costi in condominio è quello che vede alla base i millesimi di proprietà.

Ripartizione costi rifacimento facciata

La facciata, a dirlo non è (solo) lo scrivente ma più autorevolmente la giurisprudenza, è una parte comune rispetto alla quale, in assenza di diverso accordo tra le parti (cioè tra tutti i condòmini), la spesa deve essere ripartita secondo i millesimi di proprietà.

In tal senso è stato affermato che "le spese relative al rifacimento delle facciate esterne di un edificio in condominio, vanno ripartite tra i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, trovando applicazione nella fattispecie il disposto del primo comma dell'art. 1123, Codice civile, non quello del secondo comma.

E' identico, infatti, l'uso che ciascun condomino può fare delle facciate esterne del fabbricato, e ciò indipendentemente dal fatto che tali facciate si trovino o meno in corrispondenza alla parte di edificio di sua proprietà esclusiva" (così Pret.

Portogruaro 13 aprile 1988 n. 80 in Codici dell'edilizia, locazioni condominio, 1989, 2, 20).

Tutto ciò che è necessario sapere sulla facciata condominiale

Né ripartizione in base all'uso, né altri criteri. La sentenza è così chiara da meritare una cornice: se una cosa non serve ai condòmini in misura differente, ma in egual misura la spesa va ripartita secondo i millesimi di proprietà, i quali rappresentano l'elemento basilare del criterio generale di ripartizione dei costi condominiali.

Qualora il condominio provvedesse ad applicare un criterio differente le conseguenze per la delibera sarebbe due, a seconda delle circostanze:

a) delibera nulla se si trattasse di deroga ai criteri legali o convenzionali;

b) delibera annullabile se si trattasse di errore nell'applicazione del criterio (Cass. SS.UU. n. 4806/05).

Una situazione che va chiarita di volta in volta verbale alla mano.

Parti uguali miraggio condominiale

L'art. 1123, secondo comma, c.c. recita: «se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne».

La norma ha dato la stura ad un ragionamento che possiamo sintetizzare pressappoco in questo modo: «Quando le cose servono i condòmini in misura differente le spese devono essere ripartite tenendo presente questo aspetto. Ne discende che quando le cose servono i condòmini in egual misura, allora i costi devono essere ripartiti ugualmente.»

Un ragionamento suggestivo, sicuramente, ma che non tiene in considerazione il contesto nel quale è posto il secondo comma dell'art. 1123 c.c.

Esso indica un criterio di ripartizione differente da quello generale. Insomma esso specifica come ripartire i costi quando il criterio generale risulterebbe inadatto a tenere in considerazione le differenti potenzialità d'uso delle cose comuni.

La base di partenza, però, è la scelta di fondo operata dal Legislatore e rintracciabile nella lettura coordinata dell'art. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c.: le parti partecipano a vantaggi e oneri inerenti alle parti comuni dell'edificio in ragione del valore millesimale dell'unità immobiliare ad esse appartenente.

Il codice non prevede criteri di ripartizione in parti uguali. Certo, non si può tacere di sentenze che, invece, hanno considerato legittimo il criterio di ripartizione paritaria.

Ad avviso dello scrivente, in ragione di quanto fin qui esposto, si tratta di pronunciamenti che partono da un presupposto errato, o meglio da un presupposto carente d'un addentellato normativo chiaro e preciso.

La giurisprudenza creativa, si sa, alle volte pone rimedio a situazioni d'evidente disparità, ma questo non è mai un buon segnale per il sistema complessivo.

Insomma, se ripartizione in parti uguali dev'essere, almeno che lo sia per via legislativa, introducendo un apposito criterio che allo stato non è desumibile nemmeno dai principi generali che regolano la materia.

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