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Ripartizione delle spese in quote uguali? Solo col consenso unanime

Il litisconsorzio di tutti i condòmini è necessario per la revisione delle tabelle prive di una funzione meramente ricognitiva dei criteri stabiliti dalla legge.
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Ravenna, con la sentenza n. 511 del 25 luglio 2023, ha ribadito il consolidato principio secondo cui la ripartizione delle spese condominiali in parti uguali è possibile solamente con il consenso unanime dei proprietari, il quale può essere rappresentato anche da una convenzione contraria, con tale dovendosi intendere l'atto costitutivo del condominio.

Solo in tal modo, infatti, è possibile derogare ai criteri legali di cui all'art. 1123 c.c. Analizziamo più nel dettaglio la vicenda.

Ripartizione spese in parti uguali: fatto e decisione

Uno dei condòmini conveniva in giudizio tutti gli altri proprietari per sentir dichiarare l'erroneità e illegittimità del criterio di divisione delle spese comuni per quote paritarie, per contrarietà ai criteri legali di ripartizione e per mancanza di idonea convenzione approvata a maggioranza e/o all'unanimità.

I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda, essendo che il criterio di ripartizione delle spese era stato stabilito all'interno dell'atto costitutivo del condominio.

In via preliminare, inoltre, veniva eccepito il difetto di legittimazione passiva in quanto, a dire dei convenuti, l'unico soggetto a dover essere chiamato in causa avrebbe dovuto essere l'amministratore.

Il Tribunale di Ravenna, disattesa l'eccezione di improcedibilità per difetto di legittimazione passiva (su cui si tornerà nel prossimo paragrafo), ha ritenuto infondata la domanda proposta da parte attrice.

È infatti pacifico come si possa derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese di cui all'art. 1123 c.c. solamente con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione.

La ripartizione delle spese condominiali in parti uguali: analisi dei principali problemi

Tale risultato può quindi essere perseguito in due modi:

  • con una deliberazione adottata all'unanimità;
  • con l'atto costitutivo del condominio, cioè con il primo rogito notarile con cui l'originario proprietario dell'intero fabbricato (solitamente, la società costruttrice) ha ceduto una delle unità immobiliari site al suo interno.

Nel caso di specie, è emerso che nel primo atto di vendita operato dal proprietario costruttore risultasse chiaramente che le spese condominiali dovessero essere ripartite equamente (id est, in parti uguali) tra i proprietari delle singole unità immobiliari.

Tale criterio prevale legittimamente su quello ordinario che stabilisce la divisione per millesimi, atteso il chiaro disposto di cui all'art. 1123, primo comma, c.c., a tenore del quale «Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione».

Né sussistono i presupposti per una revisione della ripartizione così fissata, ai sensi della previsione di cui all'art. 69 disp. att. c.c., posto che non ricorre un caso di erronea determinazione di detti parametri, né l'ipotesi di alterazione per più di un quinto del valore proporzionale anche di una sola unità immobiliare, a causa delle «mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari».

Ripartizione spese in parti uguali: considerazioni conclusive

La sentenza del Tribunale di Ravenna si pone nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo la Suprema Corte (ordinanza 31 luglio 2020, n. 16531), sono affette da nullità le deliberazioni condominiali con cui, a maggioranza, sono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario il consenso unanime dei condòmini.

Interessante è anche il principio, richiamato dalla sentenza in commento, riguardante la legittimazione passiva nel caso di contestazione delle tabelle millesimali.

Secondo la Corte di Cassazione (sent. 18 febbraio 2022, n. 5453), «ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'art. 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore».

Il litisconsorzio di tutti i condòmini si impone, piuttosto «ove si intenda conseguire la revisione di tabelle millesimali che non rivestano una funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, e da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella "diversa convenzione", di cui all'art. 1123 c.c., comma 1, la quale è espressione di autonomia negoziale».

Nel caso di specie, quindi, correttamente l'attore aveva citato in giudizio tutti i condòmini, atteso che le tabelle stabilivano un criterio di ripartizione differente da quello legale.

Sentenza
Scarica Trib. Ravenna 25 luglio 2023 n. 511
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