Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Alla stregua della stessa lettera dell'articolo 1123 c.c., la disciplina legale di ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile.
Deve ritenersi, di conseguenza, legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale ovvero deliberata dall'assemblea con approvazione di tutti i condomini.
Ripartizione per quote uguali e regolamento di natura contrattuale
Alla luce di quanto sopra è valida la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini.
Tale deroga non può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c. o su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure con riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea, della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali (Cass. civ., sez. II, 18/03/2002, n. 3944).
Aumento delle quote in caso di divisione delle unità immobiliari
Se ricorre questa situazione, ad avviso della Cassazione, la sopravvenuta divisione di un'originaria unità in due distinti appartamenti, ciascuna in proprietà di persona diversa, comporta l'aumento del numero quote con cui si dividono le spese (Cass. civ., Sez. II, 17/01/2003, n. 641).
Nel caso esaminato il criterio di ripartizione delle spese condominiali, di cui all'art. 1123 c.c., era nella specie derogato dal regolamento condominiale di natura contrattuale, che, all'art. 26, prevedeva la ripartizione in quote uguali delle spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio, con la conseguenza che il numero delle quote era da commisurarsi al numero effettivo delle unità immobiliari dello stesso, così che la sopravvenuta divisione di un'originaria e unica unità in due distinte unità, ciascuna in proprietà di persona diversa, comportava il conseguente aumento di quelle quote in numero di otto, rispetto alle sette originarie, cui aveva invece fatto riferimento la delibera assembleare (che aveva erroneamente ripartito le spese di restauro della facciata dell'edificio in sette quote).
In tal caso il peso dell'unità immobiliare all'interno dell'assemblea risulterebbe sempre dalla somma delle quote millesimali dei nuovi appartamenti (salvo particolari situazioni), mentre sotto il profilo soggettivo, in caso di cessione a terzi di un'unità immobiliare, si avrebbe una nuova testa.
Ripartizione spese in parti uguali e delibera a maggioranza: conseguenze
Come detto, qualora manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell'art. 1123 c.c., primo comma, non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio "capitario" gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune. (Cass. civ., sez. II, 04/12/2013, n. 27233).
La nullità di una deliberazione condominiale che provveda a maggioranza ad approvare un criterio capitario di ripartizione delle spese è, inoltre, assoluta ed insanabile, il che comporta la non soggezione della relativa impugnazione al termine di decadenza di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c.
È quindi del tutto irrilevante che tale delibera abbia avuto esecuzione o che esista una prassi consolidata e costante tra i condomini di ripartire le relative spese pro-capite.
Neppure può pensarsi che dall'attuazione di una delibera di riparto nulla si origini una modifica convenzionale delle tabelle millesimali per fatti concludenti.