I criteri di ripartizione delle spese condominiali possono essere derogati, e la relativa convenzione modificatrice può essere contenuta sia nel regolamento condominiale, ovvero in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità, o col consenso di tutti i condomini.
La vicenda. La società beta aveva impugnato la deliberazione dell'assemblea di approvazione del rendiconto 2009 ed il relativo stato di ripartizione delle spese.
In primo grado, il Tribunale respinse l'impugnazione affermando che il riparto delle spese fosse stato operato sulla base del criterio dettato dall'art. 4 del regolamento condominiale del 22 marzo 1989 ("tutte le spese per l'uso ed il godimento delle parti comune verranno sopportate dai condomini proprietari in ragione di 1/14 ciascuno..."), tenuto peraltro conto dell'aumento del numero delle quote (da 14 a 16) derivante dal frazionamento in distinte proprietà di alcune delle originarie unità immobiliari. Il provvedimento in esame venne confermato anche in Appello.
Invero, la Corte territoriale confermava la bontà dell'interpretazione dell'art. 4 del regolamento condominiale del 1989 e della delibera del 22 febbraio 2003 seguita dal primo giudice, come volti a suddividere le spese per quote uguali, giacché correlate a vantaggi di cui i condomini avevano beneficiato indistintamente.
Ad avviso dei giudici di secondo grado, il riferimento testuale alla frazione di 1/14 non determinava le quote condominiali di partecipazione alle spese, ma intendeva stabilire la ripartizione tra tutti i condomini proprietari avendo riguardo al numero di quell'epoca, sicché "l'aumento del numero dei proprietari giustificava la nuova ripartizione dell'intero".
I motivi di ricorso. Avverso tale decisione, la società beta ha proposto ricorso in Cassazione eccependo la "violazione o falsa applicazione di norme di diritto" sull'interpretazione dall'art. 4 del regolamento condominiale del 22 marzo 1989, dovendosi intendere lo stesso come finalizzato a dividere le spese in rapporto a quattordici quote, e non al numero degli effettivi proprietari delle singole porzioni immobiliari.
Del resto, secondo la ricorrente, alcuni capannoni costituenti le unità del Condominio, erano stati nel tempo frazionati, rimanendone però invariata la dimensione.
Il regolamento, inoltre, non vietava la suddivisione delle unità immobiliari comprese nel condominio, e ciò poteva rendere possibile, semmai, una revisione delle tabelle millesimali.
Il ragionamento della Cassazione. Secondo gli ermellini, la condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare le deroghe pattizie al generale criterio di ripartizione delle spese comuni, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, comporta che il contenuto e la portata di tale deroga siano evincibili dalle espressioni letterali usate. L'art. 1362 c.c.., del resto, allorché nel primo comma prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. Sez. 3, 27/07/2001, n. 10290).
Ne deriva che, a fronte di una clausola del regolamento di condominio, contenente, nella specie, un criterio convenzionale di ripartizione nel senso che "tutte le spese per l'uso ed il godimento delle parti comune verranno sopportate dai condomini proprietari in ragione di 1/14 ciascuno...", l'interpretazione secondo cui il riferimento alla frazione di 1/14 non determina la misura della partecipazione delle rispettive proprietà esclusive alle spese, essendo piuttosto diretto a suddividere gli esborsi in parti uguali tra i condomini, non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l'interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a criticare il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice ed a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l'unica interpretazione possibile, né la migliore in astratto.
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, il ricorso è stato rigettato.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | FRAZIONAMENTO E CRITERI DI RIPARTIZIONE |
RIFERIMENTI NORMATIVI | 1123 C.C. |
PROBLEMA | La condomina aveva impugnato la deliberazione dell'assemblea di approvazione del rendiconto ed il relativo stato di ripartizione delle spese a causa di un errato criterio di riparto che non teneva conto del frazionamento. |
LA SOLUZIONE | Secondo la Cassazione, il riferimento alla frazione di 1/14 non determinava la misura della partecipazione delle rispettive proprietà esclusive alle spese, essendo piuttosto diretto a suddividere gli esborsi in parti uguali tra i condomini; inoltre, non risultava in contrasto con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua. |
LA MASSIMA | La sostanza della «diversa convenzione», ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c.., da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata. Ne consegue che l'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti una disciplina convenzionale di ripartizione delle spese, ai sensi dell'art. 1123, comma1, c.c., è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale. Dunque, il frazionamento di immobili non incide sul criterio di ripartizione delle spese previsto in parti uguali Cass. civ, sez. VI, ord. 7 ottobre 2019, n. 24925 |