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Partecipazione di soggetti non legittimati all'assemblea condominiale: conseguenze sull'invalidità della delibera

L'assemblea rappresenta il luogo in cui si esplica il potere democratico dei soggetti legittimati a parteciparvi.
Avv. Michele Orefice 

L'assemblea è definita come l'organo più importante del condominio, per il fatto che non può mai essere abrogata e soprattutto perché rappresenta la sede sovrana in cui si forma la volontà collettiva dei soggetti partecipanti, che implica la misura dei diritti e degli obblighi dei condòmini.

In effetti il codice civile non dà una definizione di assemblea condominiale, limitandosi soltanto ad indicarne le attribuzioni, all'art. 1135, ed a determinarne i poteri deliberativi, all'art. 1136, che si occupa, per lo più, della validità delle deliberazioni adottate.

È stata, invece, la giurisprudenza a giudicare l'assemblea condominiale come un organo sovrano fondamentale, benché la definizione di "organo" sia da intendersi in modo "atecnico", visto che il condominio non è dotato di personalità giuridica.

L'assemblea, di fatto, rappresenta il luogo in cui si esplica il potere democratico dei soggetti legittimati a parteciparvi, che non sono soltanto i condòmini, ma anche gli usufruttuari o i nudi proprietari, a seconda degli argomenti da trattare, e finanche i conduttori, in casi specifici.

A proposito di partecipazione alle assemblee condominiali, bisogna dire che possono prendervi parte anche soggetti estranei al condominio, che vengono autorizzati dalla stessa assemblea a presenziare e relazionare su determinati argomenti all'ordine del giorno, come, ad esempio, gli avvocati dello stesso condominio, in merito alle vertenze giudiziali, oppure i tecnici incaricati o i titolari di imprese, relativamente a lavori afferenti al fabbricato.

In tema di partecipazione all'assemblea condominiale, da parte di estranei, bisogna considerare, inoltre, che il codice civile legittima la presenza in assemblea di soggetti terzi rispetto al condominio.

Nello specifico è l'art. 67 disp. att. c.c. a legittimare tale presenza, autorizzando i condòmini a farsi rappresentare in assemblea da un terzo delegato, che può essere chiunque abbia la capacità di agire, purché munito di apposita delega scritta.

Sotto il profilo della rappresentanza è bene precisare che tale delega a partecipare in assemblea non trasmette al delegato il diritto ad essere convocato, con la conseguenza che nel caso in cui l'amministratore convochi, per errore, un soggetto non legittimato a parteciparvi, la delega di costui non è idonea a sanare la carenza di legittimazione.

In altri termini, una cosa è il diritto ad essere convocato all'assemblea condominiale ed un'altra è il diritto a partecipare alla stessa assemblea, anche attraverso un delegato. Per fare un esempio, si pensi al condomino che dopo aver proceduto a vendere il proprio appartamento ometta di comunicarlo all'amministratore che, ignaro, convochi il condomino apparente al posto del vero proprietario.

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Nell'ipotesi resta da capire se l'amministratore possa essere ritenuto responsabile, per non aver correttamente individuato il soggetto legittimato a partecipare all'assemblea condominiale.

In generale è l'amministratore a dover verificare che l'avviso di convocazione venga inviato correttamente all'avente diritto a partecipare all'assemblea condominiale, anche perché un simile diritto compete al proprietario e non a chi si comporta come tale senza esserlo (Cass. n. 8824/2015).

In particolare, forse, bisognerebbe comprendere se e quando un amministratore di condominio, che abbia omesso di consultare i pubblici registri immobiliari, possa invocare a propria discolpa il criterio dell'apparenza del diritto di proprietà in capo al soggetto convocato all'assemblea condominiale.

Per molti si tratterebbe di un argomento puramente teorico e di poco conto, ma in realtà l'aspetto pratico della questione si manifesta in tutta la sua complessità e problematicità, nel caso in cui una delibera assembleare venga impugnata, ex art. 1137 c.c., dal vero proprietario non convocato.

È noto che la mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale può comportare l'annullabilità della delibera che venga impugnata, ai sensi dell'art. 1137 c.c., nel termine dei trenta giorni (Cass. SS.UU. n. 4086/05).

Ebbene, in termini di ripartizioni di responsabilità, ai sensi dell'art. 1130 n. 6 c.c., è d'obbligo constatare che se da un lato sussiste l'obbligo dell'amministratore di redigere e aggiornare il registro di anagrafe condominiale, dall'altro esiste l'obbligo speculare del condomino di comunicare all'amministratore, in forma scritta, ogni variazione proprietaria, entro sessanta giorni.

Probabilmente, in un'ottica di bilanciamento delle responsabilità, può dirsi che i due obblighi suddetti, di fatto, si elidono, anche perché non è chiaro fino a che punto si debba spingere la diligenza dell'amministratore durante lo svolgimento dell'attività di tenuta del registro di anagrafe condominiale o meglio di aggiornamento dei dati che lo compongono.

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Di certo è inverosimile pensare che l'amministratore debba preoccuparsi di interrogare sistematicamente la conservatoria dei registri immobiliari, per sapere se i suoi condòmini abbiano venduto o meno l'immobile.

Tale preoccupazione, di solito, scatta in capo all'amministratore quando il condomino si eclissa dalla vita condominiale, rifiutandosi di pagare le quote condominiali, o quando "radio condominio", ossia le voci dei faccendieri di scala, lo avvertono che il condomino è in trattativa per la vendita dell'immobile.

In ogni caso, pur volendo ammettere l'esistenza di un obbligo generico dell'amministratore di eseguire gli accertamenti ipocatastali in vista di ogni assemblea condominiale, bisognerebbe fare i conti con i fondi condominiali disponibili, che quasi mai potrebbero essere sufficienti a far fronte alle spese necessarie ad incaricare un tecnico.

Per non dire che l'amministratore non potrebbe stare lì a verificare tutti gli indirizzi di residenza dei condòmini, ogni qual volta si appresti a convocare un'assemblea condominiale.

In definitiva, se è vero che il principio della pubblicità immobiliare rappresenta la regola, è pur vero che in caso di annullamento di una delibera assembleare, per errore nella convocazione del legittimo proprietario, bisognerà valutare, caso per caso, se l'amministratore possa ritenersi responsabile, per non aver usato la diligenza tipica del mandatario, di cui all'art. 1711 c.c., che rappresenta, comunque, un parametro di riferimento piuttosto generico e quindi non idoneo a giustificare l'obbligo preciso di un'attività investigativa periodica da parte dell'amministratore.

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