Deve tenersi conto anche dei balconi nella valutazione delle distanze minime inderogabili tra gli edifici, senza poter prendere in considerazione le loro specifiche caratteristiche al fine di desumerne la legittimità dell'intervento.
Si tratta infatti pur sempre di manufatti destinati oggettivamente ad ampliare la superficie dei vani che vi accedono e quindi a influire sulle distanze da rispettare verso l'edificio dirimpettaio. Lo ha chiarito la quarta sezione del Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 3398, pubblicata lo scorso 15 aprile 2024.
Calcolo delle distanze legali e balconi. Fatto e decisione.
Nella specie il proprietario di un immobile aveva impugnato il provvedimento con cui il Comune lo aveva diffidato dall'eseguire i lavori di ristrutturazione di cui alla denuncia di inizio attività dallo stesso presentata, consistenti nella realizzazione di due balconi aggettanti su area scoperta di sua proprietà, evidenziando che il fabbricato si trovava già a distanza non regolamentare dall'edificio fronteggiante, potendo quindi procedere soltanto alla realizzazione di aperture del tipo "luci".
Con il ricorso di primo grado il proprietario aveva sostenuto di aver diritto ad aprire delle vedute, con i soli limiti di cui all'art. 905 c.c. e che in ogni caso l'opera in questione non poteva essere qualificata come costruzione.
Il Tar aveva però respinto il ricorso, ritenendo applicabile alla fattispecie il dm 2 aprile 1968, n. 1444 (che prevede una distanza tra edifici non inferiore a dieci metri) e qualificando l'opera in questione come "costruzione".
Con il ricorso in appello la sentenza era stata contestata sostenendo nuovamente l'applicabilità dell'art. 905 c.c. e non del dm n. 1444/68, con la conseguenza di ritenere rispettate le distanze previste dalla normativa codicistica.
Il proprietario aveva inoltre sottolineato l'illegittimità del provvedimento anche in considerazione delle caratteristiche dell'opera (modesta entità, aggetto su proprietà dello stesso, assenza di pericolosa intercapedine).
Il Consiglio di Stato, nel confermare a sua volta la legittimità del provvedimento impugnato, ha evidenziato che la realizzazione dei due balconi aggettanti, con soletta di larghezza di 60-70 cm, si poneva in evidente contrasto con il limite legale di distanza minima inderogabile di cui all'art. 9 del dm n. 1444/68, essendo già i due fabbricati fronteggianti a una distanza inferiore a tale limite.
I giudici non hanno inoltre ritenuto conferente il riferimento operato dal ricorrente alle caratteristiche costruttive dell'opera (modesta entità, aggetto su proprietà dello stesso, assenza di pericolosa intercapedine) al fine di desumere la legittimità dell'intervento.
Infatti esse non escludevano il fatto che l'opera dovesse considerarsi una costruzione, come tale rilevante ai fini delle distanze legali minime (art. 873 c.c.), trattandosi di sporgenze solide e stabili di edifici, destinate anche a estendere e ampliare la parte concretamente utilizzabile per l'uso abitativo dell'immobile, con esclusione, quindi, di una loro funzione esclusivamente artistica e ornamentale.
Importanza dei balconi nel calcolo delle distanze tra edifici
A sostegno della propria decisione il Consiglio di Stato ha richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui nella verifica dell'osservanza delle distanze tra edifici vanno considerati i balconi, nonché tutte le sporgenze destinate, per i loro caratteri strutturali e funzionali, ad ampliare la superficie abitativa dei vani che vi accedono (si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2023, n. 8834).
In particolare, è stato precisato che i balconi devono sempre essere considerati ai fini del calcolo della distanza tra edifici e tra questi e il confine.
Le sole parti delle quali può non tenersi conto, in detto calcolo, sono quelle aggettanti, aventi una funzione esclusivamente artistica e ornamentale, quali fregi, sculture in aggetto e simili (si veda Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2021, n. 25191).
Sul punto, infatti, è stato chiarito che il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché il dm n. 1444/68 stabilisce la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone è da considerarsi contra legem, in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a dieci metri, violando il distacco voluto dalla cd. Legge ponte (Legge 6 agosto 1967, n. 765, che, con l'art. 17, ha aggiunto alla legge urbanistica n. 1150/42 l'art. 41-quinquies, il cui comma fa rinvio al dm n. 1444/68, che all'art. 9, n. 2, ha prescritto il predetto limite di dieci metri (si veda Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17089, richiamata da Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2021, n. 25191).