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Locazione e canone 'in nero'

Nemmeno l'eventuale registrazione tardiva ha effetto sanante.
Avv. Caterina Tosatti 

Torniamo ad esaminare la questione del canone locatizio 'parzialmente in nero' o anche detta 'doppia pattuizione', cioè di tutti quei casi in cui il locatore ed il conduttore convengono espressamente un certo canone e procedono a registrare il contratto che lo contiene, poi, anche eventualmente con patto a latere, lo modificano, aumentandolo.

Locazione e canone 'in nero': la vicenda

Tizio cita in giudizio la propria locatrice, Caia, allo scopo di vederla condannata alla restituzione della somma di Euro 4.000,00 circa a titolo di indebito arricchimento.

Caia si costituisce svolgendo domanda riconvenzionale e chiedendo di vedersi riconosciuto il diritto ai canoni di locazione non versati, pari ad Euro 2.200,00 nonché di condannare Tizio al risarcimento del danno per Euro 16.000,00 circa, dovuto per lo stato in cui lo stesso aveva lasciato l'appartamento concesso in locazione, incluso il valore per l'acquisto degli elettrodomestici.

Il Tribunale di Catanzaro, con la sentenza n. 1554 del 4 novembre 2022, accoglie la domanda di Tizio.

Lo stato dell'arte sulla nullità del canone (in tutto o in parte) in nero

Rammenteranno forse i lettori come, a partire dagli anni 2000, il legislatore operò alcune modifiche ed inserimenti nella disciplina delle locazioni tali per cui le regole di diritto tributario hanno in certo senso 'sconfinato' fino a divenire presupposti della validità civilistica; così, l'art. 13, comma 1, della Legge n. 431/98 e l'art. 1, comma 346, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), il quale stabilì che «i contratti di locazione… sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati» ed infine, l'art. 3, commi 8 e 9, del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (c.d. Cedolare Secca), dove di prevedeva una procedura di 'denunzia' del locatore da parte del conduttore in caso di omessa registrazione della locazione, con la possibilità di permanere per un ulteriore periodo nella disponibilità dell'immobile ad un canone pari alla rendita catastale.

La Corte costituzionale più volte 'salvò' le norme in parola, in particolare l'art. 13 della Legge n. 431/98 e l'art. 1, comma 346 della Finanziaria 2005, sostenendo che dette disposizioni avessero avuto come intenzione ed effetto di «elevare la norma tributaria a rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell'art. 1418 c.c.».

Rispetto a tale affermazione, la Cassazione ha osservato come essa potrebbe esser intesa sia nel senso che la locazione non registrata e con canone 'reale' difforme rispetto a quello contrattuale sia nulla in quanto sussiste una norma specifica che commina detta nullità (i due articoli appena citati, ai sensi dell'art. 1418, 3° comma, c.c.) sia nel senso che la nullità di una simile locazione è da intendersi come nullità virtuale, cioè nullità derivante dalla violazione di norme imperative (come prescritto dall'art. 1418, 1° comma, c.c.).

La Corte di Cassazione, dal canto suo, ha per molto tempo negato l'ingerenza delle norme tributarie sull'efficacia e la validità degli atti civilistici, ma, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 18123 del 2015, detto orientamento è cambiato, sposando la tesi della nullità virtuale appena esposta ed affermando così che la nullità di cui all'art. 13 della Legge n. 431/98 intende sanzionare solamente il patto occulto di maggiorazione del canone e non è possibile sanare tale contratto con la registrazione tardiva, trattandosi di un contratto la cui causa è illecita e, pertanto, nullo - la causa del patto occulto è infatti l'elusione fiscale, che non può essere tutelata dall'ordinamento tanto da approntarle la tutela di una disciplina contrattuale e di una sanatoria.

Quanto poi al caso relativo alla c.d. 'doppia pattuizione' del canone, cioè un canone minore indicato in contratto simulato e registrato ed uno maggiore oggetto di un atto dissimulato e non registrato, il vizio che affligge il secondo contratto è genetico, perché la sua causa è illecita e ne determina la nullità, motivo assorbente rispetto alla violazione dell'obbligo di integrale registrazione posto dalla legge.

In base ai principi in materia di prove e simulazione dei contratti, in presenza di un contratto redatto per iscritto, laddove si assuma un patto coevo (cioè contemporaneo) a detto contratto, volto a modificarne una parte (simulazione relativa), è necessario che la prova venga data tramite controdichiarazioni, non essendo ammissibile altro mezzo.

Nel caso di specie, la corresponsione delle somme pattuite extra contratto registrato da parte di Tizio, conduttore, alla locatrice Caia risulta dai bonifici bancari prodotti dal conduttore e non è stata in alcun modo contestata da Caia, la quale ha, piuttosto, sostenuto che il versamento di tale somma fosse corretto in quanto l'importo del canone pattuito fra le parti non era quello indicato nel contratto, ma quello maggiore versato da Tizio.

Il Tribunale, peraltro, cita la pronuncia delle Sezioni Unite n. 23601 del 2017 con la quale si cercò di porre fine alla diatriba nata circa il canone 'in nero', cioè concordato e pagato extra contratto e superiore a quello pattuito, a prescindere dalla registrazione del contratto.

In quella sentenza, le Sezioni Unite statuirono che «è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo [per l'abitativo vale comunque quanto affermato da S.U. n. 18213/2015, N.d.A.] concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione» e qui, aggiungiamo, anche laddove la registrazione avvenga tardivamente per tentare di 'sanare' il canone maggiore richiesto.

Caia sollevava questione di ultrapetizione, sostenendo cioè che Tizio non avesse agito per la nullità del canone maggiorato, bensì per la ripetizione dell'indebito: il Tribunale invece osserva che, trattandosi di nullità per violazione di norma imperativa, la nullità del patto di maggiorazione del canone rispetto al canone indicato nel contratto registrato è rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c. e che, pertanto, contrariamente a quanto eccepito da Caia, è del tutto irrilevante che il conduttore, che ha agito per la ripetizione dell'indebito, non abbia richiamato nei propri scritti difensivi il disposto del citato art. 13, comma 1, della L. n. 431 del 1998.

Peraltro, rammentiamo come anche nelle procedure di sfratto per morosità, laddove l'intimato non compaia o comparendo non si opponga, il Giudice è solito eseguire la verifica circa la validità del contratto di locazione e dei canoni imputati dal locatore come morosità, di talché l'eventuale canone 'in nero' viene rilevato d'ufficio.

Il Tribunale di Catanzaro conclude affermando che la nullità del prospettato patto di maggiorazione del canone, in contrasto con il canone indicato nel contratto di locazione registrato, comporta che tutti i versamenti effettuati dal conduttore, per l'importo superiore ogni mese a quello concordato, risultano privi di valida giustificazione giuridica, con conseguente accoglimento della domanda di ripetizione dell'indebito formulata da costui.

La domanda di risarcimento del danno avanzata da Caia verso Tizio viene invece rigettata per assenza di allegazione e prova in merito.

Il Tribunale osserva, in particolare, che Caia aveva dedotto in modo del tutto generico circa lo stato in cui l'appartamento era stato riconsegnato da Tizio, stato tale da renderlo del tutto invivibile e da costringere la locatrice a demolire e rifare la pavimentazione, con smaltimento in discarica di arredi ed elettrodomestici, rifacimento del bagno e sostituzione delle porte con nuova tinteggiatura.

Rileva però il Tribunale che non si comprende, dagli scritti difensivi di Caia, quali parti dell'appartamento sarebbero semidistrutte e quali arredi ed elettrodomestici risulterebbero inutilizzabili in seguito alla conduzione di Tizio.

Le fotografie e il preventivo prodotti da Caia non suppliscono a tali mancanze, né forniscono prova, in quanto, non avendo un punto di partenza da cui discernere quali danni Tizio avrebbe causato ed a quali beni e/o ambienti dell'immobile, non è possibile 'agganciare' immagini e costi a qualcosa di empiricamente esistente.

Quanto alla ritinteggiatura dell'immobile nella sua interezza, presente come voce di costo nel preventivo, il Tribunale ribadisce che sotto tale profilo, è bene evidenziare, in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte, che, in materia di locazione, deve distinguersi il degrado delle pareti derivante dal normale uso del bene, che esclude ex art. 1590 c.c. qualunque obbligo risarcitorio a carico del conduttore, da quello derivante da un uso negligente della cosa.

Secondo la Cassazione, «la spesa per la tinteggiatura delle pareti non può essere posta a carico del conduttore, atteso che rientra nel normale degrado d'uso il fatto che dopo un certo periodo di tempo i mobili e i quadri lasciano impronte sulle pareti con la precisazione che la clausola che obbliga il conduttore ad eliminare, al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso (nella specie, ponendo a carico del conduttore la spesa per la tinteggiatura delle pareti) deve considerarsi nulla, ai sensi della stessa L. n. 392 del 1978, art. 79 perché, addossando al conduttore una spesa di ordinaria manutenzione, che la legge pone, di regola, a carico del locatore (art. 1576 c.c.), attribuisce a quest'ultimo un vantaggio in aggiunta al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore» (cfr., da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 13/11/2019 n. 29329).

Nella vicenda in esame non sono state fornite evidenze atte a dimostrare che i muri dell'immobile fossero stati danneggiati dal conduttore o non fossero piuttosto degradati come conseguenza del normale uso dell'appartamento.

Sentenza
Scarica Trib. Catanzaro 4 novembre 2022 n. 1554
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