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Legge Ponte: acquisto di immobile senza menzione dell'area destinata a parcheggio, un caso concreto

Legge Ponte e nuova disposizione con la quale è stata prescritta la realizzazione di spazi destinati al parcheggio di auto in rapporto alla cubatura dell'immobile.
Avv. Laura Cecchini 

Qualche lettore ricorderà che il boom degli anni sessanta ha interessato, tra più settori, l'esponenziale sviluppo della edilizia, in particolare, nella ricostruzione e ampliamento dei centri urbani.

In questo contesto, il legislatore ha ravvisato l'esigenza di adottare norme tese alla regolamentazione puntuale di questa materia, anche in considerazione del proliferare della diffusione e circolazione dei veicoli, ponendo l'attenzione alla previsione e destinazione di aree per il parcheggio.

La cosiddetta Legge Ponte (n. 765/1967) ha introdotto, nella Legge Urbanistica n. 1150/1942, una nuova disposizione con la quale è stata prescritta, nella costruzione di nuovi edifici, la realizzazione di spazi destinati al parcheggio di auto in rapporto alla cubatura dell'immobile.

L'ordinanza della Corte di Cassazione (n. 33122/2023 raccolta generale) rappresenta l'occasione per approfondire questa tematica, partendo da un caso esemplificativo, ed esaminarne i profili giuridici.

Legge Ponte e acquisto di immobile senza menzione dell'area destinata a parcheggio. Fatto e decisione

La vertenza portata all'attenzione della Suprema Corte di Cassazione ha origine dalla domanda di condanna al rilascio della quota di immobile adibita a parcheggio avanzata dagli acquirenti di un appartamento ai loro aventi causa all'uopo richiamando espressamente l'art. 18 della Legge Ponte (n.765/1967), oltre alla richiesta di risarcimento del danno per mancato godimento della stessa.

Nel giudizio di primo grado avanti al Tribunale, si sono costituiti i venditori dell'unità abitativa, contestando, tra più censure, che l'area in questione non poteva presumersi comune ai sensi dell'art. 1117 c.c., né risultava indicata in alcun atto, compreso il regolamento condominiale, precisando che la stessa era stata accatastata separatamente e poi data in locazione a terzi, già prima dell'acquisto da parte degli attori.

Il Tribunale respingeva la domanda promossa e gli attori, ravvisandola ingiusta, promuovevano appello.

I giudici di seconde cure hanno accolto, parzialmente, il gravame per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno, confermando la pronunzia di primo grado in ordine al diritto di proprietà sull'area adibita a parcheggio, non essendo menzionata nell'atto di compravendita.

Gli attori hanno, pertanto, presentato ricorso per cassazione lamentando (i) violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, argomentando che la richiesta risarcitoria era stata sollevata quale conseguenza del mancato riconoscimento del diritto di proprietà e/o di uso, pro quota, su tale area, nonché, (ii) per motivazione apparente, viziata e contrastante.

I Giudici di Legittimità hanno accolto il ricorso, cassando la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello, per i motivi in appresso illustrati.

Diritto ad area adibita a parcheggio? Non sempre sussiste

Considerazioni conclusive

La disciplina delle aree destinate a parcheggio nella Legge Ponte

Per una compiuta disamina della fattispecie de qua, è inevitabile ricordare la ratio normativa della Legge Ponte la quale ha determinato l'avvento della "necessaria individuazione di aree destinate a parcheggio pubblico nella pianificazione urbanistica".

Invero, la suddetta Legge ha imposto l'obbligo, dalla entrata in vigore della stessa (1967), per la edificazione di ogni nuova costruzione, di prevedere e realizzare una area ad uso parcheggio.

Tale precetto ha assunto la natura ed il carattere, per la prima volta nel nostro ordinamento, di elemento e componente necessaria ed indefettibile per l'ottenimento della stessa concessione edilizia.

In conseguenza, la concessione edilizia era da intendersi validamente rilasciata solo ove, unitamente al fabbricato, fossero stati creati spazi dedicati al parcheggio di veicoli.

Tanto premesso, per quanto di interesse, è utile evidenziare che la normativa non dettava alcun obbligo al costruttore di cedere in proprietà dette aree, pro quota, agli acquirenti.

Ne deriva che, quindi, gli spazi destinati a parcheggio, in assenza di espressa riserva di proprietà o di riferimento negli atti di trasferimento delle unità immobiliari dovevano ritenersi quali parti comuni dell'edificio condominiale ex art. 1117 c.c. (Cass. n. 730/2008; Cass. n. 23660/2016; Trib. Salerno n. 5036/2017).

Sul punto, la Giurisprudenza ha letto ed interpretato la normativa enunciata nella Legge Ponte come vincolo sia dal lato oggettivo che soggettivo, ragione per cui i parcheggi rappresentavano beni trasferibili solo unitamente all'immobile, essendo intesi quali pertinenze necessarie degli stessi.

A tal riguardo, è confacente ricordare che, con la sentenza n.6600/1984, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno conferito alla norma di cui all'art. 18 della Legge Ponte natura imperativa con riflessi, non solo sul piano pubblicistico, in relazione al rilascio della concessione edilizia, ma anche sul piano privatistico nei rapporti tra i privati, in ragione del quale il posto auto veniva considerato quale pertinenza ex lege dell'abitazione.

In aderenza al suddetto rigido assunto, nell'ipotesi in cui si fosse addivenuti alla vendita del posto auto separatamente dall'immobile, doveva essere costituito a favore dell'acquirente di quest'ultimo un diritto d'uso.

A conferma di tale orientamento, si riporta una massima della Suprema Corte, nella quale si attesta e riconosce che "Nelle costruzioni ancora soggette alla legge "ponte" n. 756/67, il posto auto o il box sono commerciabili salvo il diritto d'uso: è dunque possibile che il proprietario dell'area di sosta sia un soggetto diverso da quello che ne ha il godimento" (Cassazione civile sez. II, 29/10/2010, n.22194).

Il condominio ha diritto a un'area da adibire a parcheggio

Anomalia motivazione che si traduce in violazione di Legge

Preso atto della normativa richiamata, venendo al percorso logico-giuridico che ha portato alla motivazione con cui la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d'Appello è confacente esporre quanto segue.

In via preliminare, occorre ricordare che, in materia di spazi destinati a parcheggio, la normativa di riferimento e, per l'effetto, applicabile, può essere unicamente quella vigente al momento della costruzione degli stessi e non della vendita dell'immobile (Cassazione civile sez. II, 30/06/2016, n.13445).

Posto ciò, e ritenuto che, nella vicenda in esame, l'edificio ove è collocato l'appartamento ad uso civile abitazione per cui è causa è stato edificato sotto la vigenza della Legge Ponte, è pacifico che i parcheggi realizzati sono caratterizzati da un vincolo di carattere pubblicistico, che determina un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio.

Pertanto, laddove il costruttore non abbia esplicitato un'espressa riserva di proprietà o non sussista alcun riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree destinate a parcheggio sono da considerarsi parti comuni ex art. 1117 c.c.

In tale quadro normativo, ciò che rileva ed interessa, è il permanere del vincolo reale di uso in favore dei proprietari degli immobili a prescindere dalla avvenuta della proprietà della quota dell'area ad uso parcheggio.

Ne deriva che, appare giusto e fondato il motivo di impugnazione, in quanto indubbiamente viziata la sentenza dei giudici di seconde cure laddove hanno escluso il diritto di proprietà e/o di uso degli appellanti, ma hanno accolto la domanda di risarcimento del danno per mancato godimento del parcheggio di cui il primo è il necessario presupposto, senza individuare l'effettiva ratio decidendi.

A conforto, in aderenza all'indirizzo costante e consolidato della Giurisprudenza, si rammenta che "Il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.

Deriva da quanto precede, pertanto, che è possibile ravvisare una motivazione apparente nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l'identificazione dell'iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell'esistenza di una motivazione effettiva" (Cassazione civile sez. I, 14/04/2023, n.10021).

Alla luce dei principi evocati, i Giudici di Legittimità, ravvisando l'impossibilità di individuare le ragioni che hanno portato ad accogliere la domanda di risarcimento del danno senza riconoscere il diritto di proprietà o di uso, hanno, per l'effetto, cassato con rinvio la sentenza.

Sentenza
Scarica Cass. 29 novembre 2023 n. 33122
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