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Chi ha il potere di concedere la rateizzazione del debito del condomino? Approcci divergenti a confronto

La rateizzazione del debito del condomino può essere concessa dall'amministratore o necessita la delibera assembleare d'approvazione?
Avv. Roberto Rizzo - Foro di Cosenza 

Chissà quante volte, nell'espletamento della propria attività lavorativa quotidiana, il nostro "povero" amministratore -afflitto dalla continua necessità di fare cassa- si sarà trovato di fronte all'amletico dubbio: accettare immediatamente l'inaspettata proposta di dilazione del debito avanzata dal condomino moroso, reiteratamente inseguito per anni senza successo, attraverso infiniti tentativi di esecuzione tutti puntualmente risultati infruttuosi, o, viceversa, declinare il gradito -quanto inatteso- invito, onde poter convocare l'assemblea condominiale dalla quale farsi autorizzare, col rischio concreto di veder svanire la tanto agognata opportunità… La soluzione del dilemma, ad oggi, appare, ben lungi dal potersi univocamente individuare, sì da lasciare il Nostro in continue ambasce.

La questione si pone su un duplice piano: uno squisitamente giuridico ed uno puramente fattuale e di prassi, che, come spesso accade nella materia condominiale, appaiono inconciliabili, se non decisamente divergenti. Andiamo per ordine.

Il dato normativo è chiaro e non si presta ad interpretazioni equivoche. La dilazione -o piano di rientro- del debito condominiale, proposta dal Condomino moroso altro non è -tecnicamente- che una transazione, in quanto contratto vero e proprio che comporta la disposizione dei diritti patrimoniali delle parti, ed altrettanto pacificamente, essendo individuabile nel rapporto tra amministratori e condomini la figura contrattuale tipica del mandato con rappresentanza (Cass. SS. UU. n. 9148/2008), gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione -quale, appunto, è una transazione- devono essere espressamente autorizzati dal mandante (Condominio).

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Ne consegue che, in assenza di espressa delibera assembleare che ratifichi l'operato dell'amministratore, il quale abbia autonomamente sottoscritto un piano di rientro non preventivamente approvato dalla compagine condominiale, il mandatario resterebbe vincolato in proprio all'obbligazione contrattuale assunta, travalicando i limiti del proprio mandato ed esponendosi al rischio di eventuale azione risarcitoria da parte dei condomini.

Tali principi sono, mirabilmente, sanciti da due arresti della giurisprudenza di merito che brillano per sintesi e chiarezza espositiva. In particolare ricordiamo la Sentenza del Tribunale di Milano n. 4000 del 05.05.2017, nella quale, a chiare lettere, si afferma: "(…) nei rapporti tra amministratori e condomini risultano, infatti, applicabili le regole attinenti al mandato con rappresentanza, richiamate dall'art. 1129 comma 15, c.c.

In particolare, ex art. 1708 comma 2, c.c., gli atti di straordinaria amministrazione devono essere indicati espressamente dai mandanti.

Tale deve considerarsi la stipulazione di una transazione (…) Inoltre, la condotta dell'amministratore si pone in contrasto con gli obblighi su di lui incombenti ex lege in base all'art. 1130, n. 1, c.c., che gli impone di eseguire le delibere assembleari (…)."

Nello stesso senso, si colloca la sentenza del Tribunale di Roma del 13 settembre 2019, la quale, preliminarmente, ribadisce l'impossibilità della sottoscrizione di un piano di rientro senza l'autorizzazione dell'assemblea, ma, vieppiù, sottolinea la differenza con altra e diversa determinazione dell'amministratore -questa pienamente legittima- che, senza vincolare in alcun modo i condomini e senza disporre dei diritti patrimoniali di questi ultimi, decide in piena autonomia di posticipare l'inizio dell'azione recuperatoria sulla base di semplici accordi bonari e di opportunità, verbalmente assunti col condomino moroso.

Fin qui il diritto.

Completamente differente è il dato che, pare, emergere dalla quotidiana prassi condominiale.

Posto che, ai sensi dell'art. 1129 comma 9 c.c., l'amministratore è obbligato ad agire giudizialmente per il recupero delle morosità entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio finanziario, salvo dispensa assembleare, il recupero del credito condominiale, di fatto, è reso particolarmente oneroso da una serie di difficoltà oggettive che, a parere di chi scrive, la Legge di riforma 220/12 non ha saputo cogliere appieno, non dotando i diretti interessati di strumenti atti a prevenire e/o a contenere al minimo i risvolti negativi di cui appresso si dirà.

Chi, per motivi professionali, ha avuto modo di avvicinarsi all'universo "Condominio" sa bene che la gestione delle morosità, almeno in parte, è fisiologica e, per certi versi, connaturata, all'essenza stessa della materia; non esiste, infatti, Condominio che, per quanto virtuoso, non debba fare i conti con la cronicità del ritardo nel versamento delle quote condominiali da parte di qualche condomino, assolutamente refrattario ad ogni forma di invito, bonario piuttosto che formale, alla regolarizzazione della propria posizione debitoria.

Ed allora, superata la soglia della normale tollerabilità, ecco che comincia il calvario del Nostro di cui sopra: affidamento incarico ad un legale; gestione dei costi vivi per l'avvio della procedura; ritardi dei Giudici, oberati di lavoro, nell'emissione del decreto ingiuntivo; difficoltà -assai frequenti, in vero- di ottenere una corretta notifica del titolo, a causa di anagrafiche -molto spesso incolpevolmente- incomplete e/o inesatte; scelta dell'azione esecutiva da coltivare ed infine, non di rado, incapienza del debitore.

Il tutto, mentre, contestualmente, ci si trova a dover garantire una gestione -quanto più possibile- regolare della contabilità, non scontentando i fornitori ed evitando, auspicabilmente, di procrastinare sine die il pagamento del proprio giusto compenso.

Il quadro appena delineato, a parere dell'esponente, spiega in maniera eloquente il perché, assai di frequente, l'amministratore che si veda proporre, magari proprio dal debitore tanto a lungo "inseguito", un piano di rientro che sia concretamente sostenibile, non troppo dilatato nel tempo, e -possibilmente- che preveda un immediato, cospicuo, versamento di denaro che vada a rimpinguare le -magari- poco floride casse condominiali, venga immediatamente e seriamente vagliato, se non direttamente sottoscritto, dal Nostro, il quale, sprezzante del pericolo connesso ad una mancata ratifica assembleare, decide di immolarsi sull'altare del superiore interesse dei propri amministrati.

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E' chiaro che prendere posizione in maniera netta rispetto a quanto illustrato, per chi scrive, è impresa titanica che sfugge ad ogni preventiva valutazione astratta; dire se sia meglio attenersi rigorosamente al dato normativo (e quindi subordinare alla preventiva accettazione assembleare la sottoscrizione di una simile scrittura privata) o, piuttosto, decidere in base a ragioni di opportunità da cogliersi nell'immediato, correndo il rischio di convocare un'assemblea ad hoc che -non solo potrebbe andare deserta, ma sopra ogni cosa- potrebbe non ratificare l'impegno già assunto dall'amministratore -con le conseguenze già illustrate- non è compito dell'esponente, il quale, solamente, può umanamente solidarizzare, con affetto e sincera partecipazione, con una categoria, quella degli amministratori condominiali, che, di certo, non è adeguatamente sorretta e tutelata né dalla Legge, né, purtroppo, dagli stessi amministrati.

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