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È impugnabile il “provvedimento” dell'amministratore?

Ai sensi dell'art. 1130 cc l'amministratore del condominio cura l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini e provvede all'amministrazione ordinaria delle parti comuni dell'edificio.
Avv. Caterina Natalotto - Foro di Palermo 

Nei limiti dei poteri attribuitigli, l'amministratore ha la rappresentanza dei condomini ed ha facoltà di provvedere, vincolando i condomini medesimi alle proprie decisioni.

Il Tribunale di Roma il 18 gennaio 2021 con sentenza n. 818 decideva sulla controversia insorta tra alcuni condomini ed il loro Condominio, relativamente ad un provvedimento emesso dall'amministratore in carica con il quale negava loro il rilascio di copia delle chiavi del lastrico solare.

Nella decisione che si allega pur evidenziando il difetto di legittimazione passiva del Condominio convenuto - ritenendo processualmente corretto citare invece in giudizio la persona dell'autore del provvedimento medesimo di diniego, cioè lo stesso amministratore - il Tribunale sottolinea il limite contenuto nell'art. 1130 c.c. che di fatto autorizza il professionista incaricato ad emettere provvedimenti in ordine alle modalità d'uso dei beni comuni e chiarisce che deve essere assicurato a tutti condomini il pari uso alle cose comuni.

La giurisprudenza richiamata dal Giudicante sottolinea che il potere regolamentare, anzi detto, non può arrivare a escludere uno o più condomini dall'uso delle cose comuni, se a quest'ultimo abbiano diritto in base al titolo o alla legge (Cass., 11 giugno 2009, n. 13626).

La facoltà dell'amministratore di emettere provvedimenti

L'amministratore è nominato dall'assemblea o dal giudice in sostituzione della stessa e si può definire l'organo deliberativo del condominio.

Ed è proprio l'assemblea che gli conferisce il potere (guidata dagli art. 1130 e segg. del cc) a dare esecuzione alle deliberazioni emesse; a convocare la stessa annualmente per l'approvazione del rendiconto condominiale di cui all'articolo 1130 bis e curare l'osservanza del regolamento di condominio stesso; a disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; a compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio; ad eseguire gli adempimenti fiscali; a curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento; curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; a conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione; a fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso; a redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione.

Tuttavia, l'amministratore, quando agisce nei limiti dei poteri attribuitigli dalla legge o di quelli conferitigli dall'assemblea, rappresenta il condominio, e pertanto, ove ne abbia speso il relativo nome, contrae per conto dello stesso, con conseguente riferibilità diretta dei relativi rapporti all'anzidetto ente di gestione.

Tale principio si desume non solo dall'art. 1131 c.c., che fa riferimento alle attribuzioni elencate nel precedente articolo del c.c., ma anche dall'art. 1133, prevedente l'obbligatorietà per tutti i condomini dei provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri.

Quando invece emette i provvedimenti in autonomia risponde personalmente della liceità e correttezza degli stessi conformemente ai poteri conferitogli dall'assemblea.

Come impugnare i provvedimenti emessi dall'amministratore nell'ambito delle sue funzioni

L'amministratore, dunque, in forza del suo mandato, ha la capacità di prendere decisioni in ordine alle modalità di uso dei beni in comune.

L'articolo 1133 c.c. stabilisce che i provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini.

Contro tali provvedimenti è ammesso ricorso all'assemblea nonché all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'articolo 1137 c.c..

Nonostante l'obbligatorietà espressamente disposta dall'art. 1133 c.c., possono levarsi contestazioni in merito all'operato dell'incaricato amministratore, con particolare riferimento alle decisioni dallo stesso assunte qualora sia considerate contrarie alle deliberazioni dell'assemblea ovvero eccedano le attribuzioni conferitegli ex lege.

Un focus sulla prorogatio dell'amministratore di condominio

Per espresso disposto dell'art. 1133, 2 comma, c.c. "contro i provvedimenti dell'amministratore è ammesso ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'art. 1137".

Dunque: si può ricorrere all'assemblea, con la consapevolezza che tale rimedio non sospende l'esecuzione del provvedimento adottato dall'amministratore e può essere esperito in qualsiasi momento, senza alcun termine di decadenza, trattandosi di una soluzione volta a provocare un controllo della stessa assemblea sull'operato del professionista.

Di fatti una volta presentato ricorso, per iscritto all'amministratore, lo stesso è tenuto a convocare l'assemblea per decidere al riguardo; il ricorso potrebbe provenire sia dal singolo condomino che dallo stesso amministratore che voglia sollecitare l'intervento assembleare per vedere ratificato il proprio operato (Cass. n. 4437/1985; Cass. n. 3024/1975).

L'assemblea, una volta convocata, è sovrana nell'annullare o ratificare il provvedimento preso dal professionista, a questo punto con delibera impugnabile secondo legge.

Tabelle esplicativa delle maggioranze richieste dalla legge per le deliberazioni assembleari

Ovvero: si può proporre immediatamente, senza imporre una preventiva denuncia all'assemblea (cfr. Cass. n. 960/1977; Cass. n. 804/1974) ricorso all'autorità giudiziaria e quest'ultimo si ritiene abbia carattere assorbente, escludendo dunque il ricorso all'assise (Cass. n. 2353/1950) e va presentato per sentirne dichiarare l'annullamento nei termini previsti dall'art. 1137 c.c. in materia di impugnazione delle delibere assembleari entro trenta giorni dalla sua adozione e/o comunicazione.

L'invalidità denunciata può colpire il provvedimento riferendosi alla sua nullità assoluta quando lede "i diritti dei condomini sulla cosa comune, e la deducibilità di tale nullità davanti al giudice non è soggetta al termine di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137 c.c., oppure riferirsi alla sua annullabilità per vizi formali" (Cass. n. 12851/1991).

La disciplina dell'uso delle cose comuni per garantire i godimento a tutti i condomini e i provvedimenti dell'amministratore

La norma fondamentale a cui fare riferimento nel caso della gestione delle parti comuni del condominio è quella relativa all'articolo 1102 del codice civile.

In base a quanto affermato da tale precetto, ogni condomino è libero di utilizzare le parti comuni, purché non ne alteri la destinazione d'uso e non impedisca agli altri condomini di farne un uso uguale.

La Cassazione ha precisato che «la quota di proprietà di cui all'articolo 1118 Cc, quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativamente ai pesi ed ai vantaggi della comunione; ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come ribadisce l'articolo 1102 Cc con il porre il limite del "pari uso"» (così Cass. Civ., sez. II, 7 dicembre 2006, n. 26226).

Quindi, a prescindere dalle quote di proprietà, ciascun condomino ha diritto di servirsi del bene comune nella sua pienezza ed interezza, consentendosi dunque anche un uso più intenso della cosa da parte di un singolo, a condizione che non ne esca pregiudicata la facoltà degli altri condomini di fare pari uso del bene.

Il potere assicurato all'amministratore ai sensi dell'art. 1130, primo comma, n. 2, cod. civ, in ordine alla regolamentazione e disciplina dell'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, deve garantire il miglior godimento a tutti i condomini ed a tal fine non rilevando la maggiore o minore quota millesimale ovvero se un condomino partecipi in maggior misura alle spese condominiali rispetto agli altri.

Di conseguenza non è tollerabile un provvedimento da parte dell'amministratore che neghi la disponibilità di un bene comune ad uno o più condomini che ne faccia espressa richiesta.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 18 gennaio 2021 n. 818
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