I Giudici di merito tornano ad interrogarsi sulla forma dell'impugnativa di delibera assembleare condominiale: tuttavia, la sentenza che commenteremo, a ben vedere, non discute tanto di scelta tra atto di citazione o ricorso, bensì tra la cognizione 'piena' e quella 'sommaria' di cui all'art. 702 bis c.p.c.
Vediamo di cosa si tratta e che cosa ha deciso la Corte d'Appello di Milano, in riforma (e con rinvio) della sentenza emessa dal Tribunale ambrosiano.
Il fatto. Un condòmino impugnava una delibera adottata dal proprio Condominio, evidentemente ritenendola lesiva per i propri interessi: tuttavia, anziché impugnare la delibera con la forma dell'atto di citazione - aprendo così un procedimento di c.d. cognizione ordinaria 'piena' - il condòmino sceglieva la via del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., cioè una procedura di cognizione ordinaria 'sommaria'.
Il Tribunale di Milano dichiarava allora l'inammissibilità del ricorso del condòmino e pronunciava l'estinzione del giudizio; il tutto perché il condòmino, secondo il Giudice, avrebbe dovuto optare per l'atto di citazione anziché il ricorso ex art. 702 bis c.p.c.
Il condòmino, impugnando il provvedimento del Tribunale, otteneva ragione dalla Corte d'Appello di Milano, la quale ha disposto la rimessione al Tribunale, con riassunzione ad onere delle parti, allo scopo di permettere alle stesse di discutere del merito della vicenda; infatti, a causa della brusca interruzione del processo, dovuta alla decisione del Giudice circa l'inammissibilità, tutto si era bloccato ad uno stadio preliminare rispetto alla disamina delle ragioni di ciascuna parte.
Cerchiamo allora di capire quale sia la differenza tra le due tipologie di giudizio, quale sia lo stato dell'arte circa la forma dell'impugnativa di delibera assembleare e se la stessa possa o meno essere proposta tramite la procedura di cui all'art. 702 bis c.p.c.
Qual è la differenza tra cognizione 'piena' e 'sommaria'? La procedura ex art. 702 bis c.p.c. è stata introdotta dal Legislatore nel 2009: l'intento era quello di fornire ai cittadini una procedura 'accelerata' per quelle cause che non richiedessero un'istruzione probatoria particolarmente complessa: ad esempio, dove non fosse necessario assumere svariati testimoni, eseguire l'interrogatorio formale delle parti, espletare una Consulenza Tecnica d'Ufficio ed esaminare una copiosa mole di documenti.
Infatti, i requisiti per poter scegliere la procedura ex art. 702 bis c.p.c. sono:
1) che si tratti di una causa per la quale è prevista la competenza del Tribunale in composizione monocratica (pertanto, non di competenza del Giudice di Pace o del Tribunale in composizione collegiale, nonché per l'appello);
2) che si tratti di una causa che richiede un'istruzione 'sommaria'.
In realtà, il concetto di cognizione 'sommaria' potrebbe fuorviare: infatti, la 'sommarietà' ci rimanda a riti quali il procedimento monitorio di cui agli artt. 633 c.p.c. e ss, oppure alle procedure di sfratto e licenza per le locazioni, laddove la sommarietà è intesa in senso sostanziale come delibazione (esame) sommario dei fatti e delle ragioni di diritto addotti dalla parte che promuove l'azione onde concederle o meno il provvedimento richiesto.
In questi casi, spetta alla parte che 'subisce' il provvedimento impugnarlo ed aprire così una fase a cognizione 'piena', dove cioè il Giudice vaglia in modo più approfondito la medesima fattispecie.
La cognizione 'sommaria' di cui all'art. 702 bis c.p.c. (e successivi) non è nulla di tutto questo. Il Giudice opererà una valutazione ed un'istruzione probatoria che nulla hanno di meno rispetto alla cognizione 'piena': la differenza sta nella maggiore snellezza dell'istruzione probatoria (le prove da acquisire o espletare), ciò che permette al Giudice sia di valutare con maggiore celerità la fattispecie oggetto di giudizio, sia di emettere con altrettanta celerità la decisione finale.
L'istituto ha dato buona prova di sé nei Tribunali italiani; sino a qualche anno fa, la celerità in cui sperava il Legislatore ha tardato a palesarsi, dato che i Giudici di merito erano ancora oberati per l'elevato numero delle cause introitate nel ramo contenzioso.
Da qualche anno a questa parte, grazie al successo della procedura di mediazione introdotta dal D. Lgs. 04 marzo 2010, n. 28 e (purtroppo) a causa della crisi economica e dell'aumento sino al triplo del contributo unificato previsto dal D.P.R. 31 maggio 2002, n. 115, il numero di controversie è grandemente scemato e, pertanto, i Giudici riescono sia a fissare la prima udienza di comparizione delle parti in tempi celeri, sia ad istruire la causa e decidere con sveltezza - salvo ovviamente lo specifico carico di lavoro a seconda della materia trattata.
Sin dalla sua introduzione, il rito 'sommario' ha suscitato molto interesse, tanto che sia il Tribunale di Verona che quello di Roma hanno elaborato prassi virtuose da seguire sia da parte degli avvocati che dei Giudici allo scopo di realizzare appieno la volontà legislativa di celerità ed economia dei processi.
Anche la giurisprudenza ha dato il suo contributo, enucleando alcuni punti fermi oppure evidenziando spunti di riflessione:
il rito 'sommario' è stato ritenuto applicabile a qualsiasi tipologia di azione giudiziale, quindi sia alle azioni di accertamento, sia a quelle di condanna oppure costitutive, nonché nelle azioni di merito seguenti la fase cautelare e nel caso di azione revocatoria fallimentare (v., ex plurimis, Trib. Catanzaro 06 giugno 2011, Trib. Verona 05 febbraio 2010, Trib. Prato 10 novembre 2009 e Osservatorio presso Trib. Verona);
il rito 'sommario' non dovrebbe essere applicato alle cause già assoggettate ad un rito 'speciale', come le cause in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale (v. Trib. Modena 18 gennaio 2010, che lo ha escluso, mentre Trib.
Lamezia Terme 12 marzo 2010 lo ha ammesso); per quanto concerne il c.d. rito 'locatizio', il quale in realtà non determina la creazione di un ulteriore rito 'speciale', ma rinvia al c.d. rito 'lavoro', mutuandone alcune norme e disposizioni processuali, si discute se in tale circostanza sia o meno applicabile il rito 'sommario', perché alcuna parte della giurisprudenza ammette l'utilizzo del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. specialmente quando la causa 'locatizia' sia connessa ad altra non soggetta al rito 'locatizio' (v. Trib. Latina 03 marzo 2011 e Napoli 15 maggio 2010).
Come funzione il rito 'sommario' ex art. 702 bis c.p.c.?
Chi intende promuovere un'azione giudiziale, anziché scegliere di avviarla con l'atto di citazione, procede a redigere un ricorso, che deve avere il contenuto previsto dall'art. 702 bis c.p.c., ovvero:
Tribunale davanti al quale si propone la domanda;
- Nome, Cognome, Codice Fiscale e Residenza del ricorrente, Nome, Cognome, Codice Fiscale e Residenza / Domicilio / Dimora del resistente;
- determinazione dell'oggetto della domanda;
- esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda con le relative conclusioni;
- indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti che offre in comunicazione;
- Nome e Cognome del procuratore (Avvocato) incaricato della difesa e indicazione della procura, se già rilasciata, nonché Codice Fiscale, indirizzo PEC e numero di fax dello stesso difensore;
- avvertimento che la costituzione in giudizio oltre il termine che indicherà il Giudice nel decreto di fissazione dell'udienza comporta le decadenze previste dagli artt. 38 e 167 c.p.c. (chiamata del terzo, domanda riconvenzionale, eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio - tra le quali, per ciò che qui ci interessa, l'eccezione di decadenza per proposizione dell'impugnazione di delibera oltre il termine di 30 giorni - ed eccezione di incompetenza per materia/valore/territorio)
- sottoscrizione del difensore.
In seguito, il ricorso viene depositato (iscritto a ruolo) presso il Tribunale competente in base alla materia trattata; a questo punto, la designazione del magistrato assegnatario della causa segue il normale iter.
Il Giudice designato provvede poi a fissare con decreto l'udienza di comparizione delle parti, dando termine per la notifica e per la costituzione del resistente.
Preme notare, a favore di tutti gli operatori del settore, che, sebbene circa l' « indicazione specifica dei mezzi di prova» l'art. 702 bis c.p.c. non preveda detta indicazione a pena di decadenza, tuttavia un ragionamento pragmatico e sistematico ci induce a ritenere che sia quantomeno opportuno che il ricorrente spieghi tutte le proprie difese, anche in campo di istruzione probatoria (quindi, ad es., indicazione dei testimoni, almeno indicandone Nome e Cognome, dell'eventuale CTU da esperire e dei quesiti che si ritiene che il Giudice debba porre al CTU, produzione di tutta la documentazione atta a provare il diritto del ricorrente) poiché, nella fase di delibazione preliminare della causa, quando cioè il Giudice valuterà se la controversia sottopostagli dal ricorrente possa o meno essere trattata con il rito 'sommario', egli dovrà proprio esaminare la consistenza dell'istruzione probatoria di cui la controversia abbisogna ed è evidente e ragionevole ritenere che possa fare ciò anche e soprattutto esaminando le richieste istruttorie del ricorrente, nel ricorso introduttivo e del resistente, nella propria comparsa di risposta e costituzione.
Ovviamente, quanto sopra non è da intendersi espressione della giurisprudenza, bensì di un senso comune condiviso dagli operatori del diritto, anche nell'ottica della formazione del convincimento del Giudice in ordine alla trattazione secondo il rito 'sommario' contro la conversione in rito 'pieno'.
Infatti, l'art. 702 ter c.p.c. prevede espressamente che, se il Giudice adito con le forme del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritiene che la causa non comporti un'istruzione 'sommaria', fissi con ordinanza non impugnabile (ma ricorribile direttamente per Cassazione) l'udienza ex art. 183 c.p.c., disponendo così sostanzialmente il mutamento di rito, ma mantenendo viva l'azione incardinata dal ricorrente.
Per ragioni di coerenza sistematica dell'ordinamento processuale, il Legislatore ha introdotto, con la Legge 10 novembre 2014, n. 162, l'art. 183 bis c.p.c., ove si prevede che il Giudice, d'ufficio, valutata la complessità della lite e il peso dell'istruzione probatoria, possa mutare il rito da ordinario a sommario, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta. Così è stata introdotta una regola generale, applicabile a tutte le cause assunte dal Tribunale in composizione monocratica - la maggior parte - per cui, a discrezione del Giudice, il giudizio introdotto con rito ordinario 'pieno' può mutarsi in giudizio a rito ordinario 'sommario'.
Pertanto, attualmente, se una causa venisse introdotta con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., potrebbe essere 'mutata', cioè convertita in cognizione 'ordinaria' dal Giudice, verificata la necessità di un'istruzione 'non sommaria'.
Altrettanto, una causa introdotta con atto di citazione secondo il rito 'ordinario' potrebbe essere mutata in cognizione 'sommaria' dal Giudice, in base ad una sua personale valutazione circa la complessità della lite e dell'istruttoria.
Ma la delibera si impugna con atto di citazione o ricorso? Entrambi. Prima della novella del 2012 - 2013, l'art. 1137 c.c. prevedeva che ogni condòmino potesse « fare ricorso all'autorità giudiziaria» per impugnare le delibere annullabili nel termine assegnato di 30 giorni dall'assemblea (per i dissenzienti o astenuti) o dalla comunicazione del verbale (per gli assenti).
Ebbene, detta formulazione ambigua aveva dato la stura ad un montante giurisprudenziale cospicuo, che indagava circa la necessità di adottare proprio la forma del ricorso oppure se si potesse concedere che l'impugnativa venisse introdotta con atto di citazione.
Infatti, si obiettava, quale tipo di procedimento è quello disegnato dall'art. 1137 c.c.? Il nostro Codice di Procedura Civile ha previsto, come forma generale dell'azione, quella introdotta dall'atto di citazione, mentre le procedure introdotte con ricorso sono in certo senso 'speciali', cioè riservate a determinate categorie di soggetti o di materie e di solito, laddove prevede il ricorso, il Codice detta le norme per regolare lo svolgimento della procedura così introdotta (ad esempio, il termine per la fissazione dell'udienza a cura del Giudice, il termine per la notifica del ricorso alla controparte, la costituzione in giudizio delle parti, etc.).
Tutto ciò mancava nel vecchio art. 1137 c.c., laddove non si diceva null'altro circa la procedura di impugnazione, tranne che essa andava - apparentemente - introdotta con ricorso.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 8941/2011, risolsero il contrasto nato nelle sezioni semplici, affermando che l'impugnativa andasse introdotta con atto di citazione e non con ricorso, perché la parola "ricorso" di cui all'art. 1137 c.c. (pre 2012) era stata utilizzata dal Legislatore in senso atecnico e non indicava tanto la forma processuale dell'atto di impugnazione, bensì un generico atto di avvio dell'impugnazione (proprio come accade per il termine "notifica" in riferimento al dissenso alle liti di cui all'art. 1132 c.c.)
Questo arresto non valse a placare i dubbi circa tutte quelle azioni che, a dispetto di quanto previsto dal codice di rito, venivano introdotte con atto formalmente diverso: ad esempio, con atto di citazione laddove fosse previsto il ricorso e viceversa.
Nuovamente, allora, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 2907 del 10 febbraio 2014, hanno ribadito che, come regola generale, sia possibile la sanatoria - e la conseguente prosecuzione - dei giudizi introdotti erroneamente con atto di citazione, ove fosse previsto il ricorso e viceversa.
Come? Ritengono le Sezioni Unite che, ove fosse necessario l'atto di citazione e sia invece stato proposto il ricorso, si debba verificare se il ricorso, oltre ad essere stato depositato entro il termine ultimo per la proposizione dell'appello, sia stato anche notificato all'altra parte.
Nel caso opposto di utilizzo erroneo dell'atto di citazione quando invece era necessario il ricorso, allo stesso modo l'atto di citazione deve essere notificato alla controparte e iscritto a ruolo nel termine ultimo previsto.
Tuttavia, per quanto concerne l'impugnativa di delibera, le Sezioni Unite hanno concepito un'ulteriore modalità di sanatoria: in caso di erronea proposizione con ricorso, anziché con atto di citazione, è sufficiente il deposito del ricorso (l'iscrizione a ruolo) entro il termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c., non essendo necessario che entro detto termine avvenga anche la notifica del ricorso e della fissazione dell'udienza alla controparte.
Tale orientamento è stato di recente ribadito per il giudizio d'appello; la Cassazione, con ordinanza 04 maggio 2018, n. 10616, ha spiegato che « in tema di condominio negli edifici, in assenza di previsioni di legge "ad hoc", anche l'appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'impugnazione di una delibera assembleare deve essere proposto in conformità con la regola generale contenuta nell'art. 342 c.p.c., vale a dire mediante citazione.
Ne consegue che la tempestività dell'appello va verificata in base alla data della notifica dell'atto di citazione e non alla data di deposito dell'atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem.
Nel caso di appello erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, mentre la deroga, nel senso della assoluta equivalenza ed equipollenza delle forme, pur delineata in giurisprudenza, trovava giustificazione soltanto per l'atto introduttivo del giudizio di primo grado di impugnazione delle delibere dell'assemblea condominiale, stante la riforma dell'art. 1137 cod. civ. ante riforma ».
Peraltro, il Tribunale di Milano non è nuovo a pronunce simili a quella riformata dalla sentenza in commento: già con sentenza del 21 ottobre 2013, il Giudice ambrosiano aveva ritenuto che il ricorso manchi completamente dei requisiti previsti dal codice di rito per l'atto di citazione, in particolare della data dell'udienza di comparizione e degli avvertimenti circa le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c. e che, pertanto, esso non instauri correttamente il contraddittorio nei confronti del convenuto.
Atto di citazione o ricorso: è questo è il dilemma? E' evidente che il Giudice di primo grado ha fatto prevalere, nella sua interpretazione, l'aspetto giuridico, attinente la forma dell'atto introduttivo di un giudizio di impugnativa di delibera, anziché guardare alle motivazioni di carattere sistematico sottese alla scelta del rito 'sommario' di cognizione.
Insomma, pare di potersi dedurre che il Giudice di primo grado abbia ragionato ritenendo che:
- l'art. 1137 c.c., dopo la novella di cui alla Legge 11 dicembre 2012, n. 220, abbia visto cancellata l'espressione « ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria»;
- pertanto, sulla scorta di detta modifica, sia ormai pacifico che l'impugnativa vada introdotta con atto di citazione;
- l'atto di citazione, essendo la forma introduttiva del procedimento di cognizione ordinaria 'piena', presuppone che l'impugnativa così introdotta prosegua nelle forme della cognizione ordinaria;
- non si possa peraltro ammettere l'utilizzo della forma del ricorso quale atto introduttivo dell'impugnativa della delibera assembleare condominiale poiché, per dirla con le stesse parole dell'estensore, « il ricorso depositato..., in quanto sprovvisto sia della citazione ad udienza fissa che degli avvertimenti previsti dagli artt. 163 e 164 c.p.c. non... [sia] idoneo a radicare il giudizio né a determinare l'effettivo contraddittorio con la parte convenuta», così dichiarando inammissibile il ricorso proposto ed estinto il giudizio attivato.
Sebbene non sia dato leggere lo svolgimento del giudizio di primo grado, si ritiene, deducendolo dalle ermetiche espressioni utilizzate dalla Corte d'Appello di Milano per descrivere l'andamento del giudizio che ha portato all'ordinanza di inammissibilità del ricorso, che il Giudice di prime cure non abbia nemmeno fissato l'udienza di comparizione delle parti, ai sensi dell'art. 702 bis, 3° comma, c.p.c.; egli, invece, immediatamente dopo la presentazione del ricorso da parte del condòmino, ha provveduto d'ufficio a dichiarare l'inammissibilità - da qui l'espressione utilizzata dalla Corte « ordinanza emessa inaudita altera parte cioè senza la previa instaurazione del contraddittorio».
Ebbene, a prescindere dalle motivazioni della sentenza di Corte d'Appello che ha riformato la pronuncia del Giudice di prime cure e che vedremo tra poco, non è condivisibile quanto affermato da detto Giudice in ordine alla inidoneità del ricorso a radicare un giudizio o l'effettivo contraddittorio.
Infatti, in primo luogo, se così fosse, non sarebbero previsti, nel nostro ordinamento processuale, procedimenti introdotti con ricorso, se non quelli in cui si prevede l'emissione di un provvedimento inaudita altera parte; vero è invece che il ricorso instaura un contraddittorio 'differito', in quanto, anziché seguire la scansione 'notifica di citazione ad udienza fissa (decisa dall'attore) - iscrizione a ruolo - prima udienza', segue la diversa sequenza' iscrizione a ruolo (deposito del ricorso) - fissazione udienza da parte del Giudice - notifica del ricorso e della fissazione dell'udienza alla controparte - prima udienza', mentre, dalle espressioni utilizzate dal Giudice di primo grado, sembra quasi che si affermi che, nei procedimenti introdotti con ricorso, il contraddittorio è solamente 'eventuale' - si veda, ad esempio, il ricorso per Decreto ingiuntivo, dove il Decreto viene emesso inaudita altera parte, cioè senza far partecipare la controparte al giudizio, ma il contraddittorio viene 'eventualmente' recuperato nella fase di opposizione, lasciata all'iniziativa della parte che riceve il Decreto; si veda però altrettanto il ricorso previsto dal rito c.d. 'lavoro' / 'locatizio', che introduce una cognizione 'piena'.
In secondo luogo, l'ordinamento, sia nei casi di ricorso introduttivo di una cognizione 'sommaria', sia nei casi di ricorso introduttivo di una cognizione 'piena', appresta termini e forme a difesa della parte che subisca l'instaurazione di un giudizio, per darle la possibilità di difendersi e, pertanto, di instaurare il contraddittorio.
Non solo: è inusuale che si lamenti che la forma dell'atto prescelto dal ricorrente (ricorso ex art. 702 bis c.p.c.) violi il principio del contraddittorio, quando poi lo stesso Giudice ha pronunciato l'ordinanza di chiusura ed estinzione del giudizio senza instaurazione del contraddittorio.
E' pertanto necessario sottolineare con forza che entrambe le tipologie di procedura (quella introdotta con atto di citazione e quella introdotta con ricorso) offrono alla parte convenuta/resistente ampio margine di difesa, di controdeduzione e produzione documentale.
Non solo: in determinati casi, valutate le circostanze concrete e le migliori alternative della parte resistente, anche la contumacia, cioè la mancata costituzione in giudizio, può qualificarsi come una strategia processuale.
La decisione della Corte d'Appello di Milano. La Corte d'Appello, con la sentenza in commento, ha chiarito quanto segue: « Se è vero che, come da tempo chiarito dalla Corte di legittimità, già prima dell'entrata in vigore della riforma del condominio ex lege 220/2012, "l'art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle delibere condominiali, che vanno pertanto proposte con atto di citazione, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 c.p.c." (v. Cass, sez. un. 8491/2011);
tuttavia:
a) nessuna disposizione di legge esclude che l'impugnazione della delibera condominiale possa essere proposta anche con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., ove l'attore opti per il rito sommario di cognizione (trattandosi, tra l'altro, di cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica);
b) in ogni caso, trattandosi di processo contenzioso, il giudice adito non avrebbe potuto (come ha fatto) sbarazzarsi della causa dichiarando la inammissibilità dei ricorso in quanto irrituale, e l'estinzione del procedimento, con un provvedimento reso inaudita altera parte, senza cioè avere prima provocato la instaurazione del contraddittorio nei confronti del Condominio e fissato l'udienza di comparizione delle parti per la trattazione della causa ».
In buona sostanza, la Corte censura il comportamento del Giudice di prime cure che ha apoditticamente ritenuto inammissibile il ricorso per la sola circostanza formale data dalla rubrica dell'atto - ricorso, appunto e non atto di citazione.
In realtà, il ragionamento della Corte va spiegato in modo più esteso.
Si diceva sopra come l'art 702 ter c.p.c. abbia previsto il caso in cui il Giudice della causa introdotta con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritenga che la stessa non possa proseguire in tale guisa a causa della non 'sommarietà' dell'istruzione probatoria necessitata.
In questi casi, « se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di cui all'articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II ».
Pertanto, il Giudice del Tribunale di Milano non avrebbe tanto errato per aver ragionato in base ad un orientamento obsoleto in materia di scelta tra l'atto di citazione ed il ricorso per impugnare la delibera condominiale; egli avrebbe errato nel fare applicazione della norma di cui all'art. 702 ter c.p.c., che gli imponeva (dato l'uso dell'indicativo «fissa») di fissare l'udienza di comparizione delle parti ai sensi dell'art. 183 c.p.c., onde mutare il rito in cognizione 'piena', non di dichiarare inammissibile il ricorso ed estinto il rito.
La Corte non affronta le ben più rilevanti affermazioni del Tribunale, laddove si afferma che il ricorso difetti di requisiti essenziali all'instaurazione del contraddittorio.
Sul punto, oltre a quanto detto sopra, è necessario richiamare la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di nullità degli atti processuali, laddove si spiega che, per dirsi nullo, un atto deve difettare totalmente dei requisiti indispensabili al raggiungimento del suo scopo (Cassaz., sent. 09 aprile 2015, n. 7117), ma ciò non si verifica quando è la stessa legge a prevedere, anziché la nullità, un meccanismo di sanatoria e conversione dell'atto - quale, nel nostro caso, l'art. 702 ter c.p.c. sulla conversione in rito a cognizione 'piena'.
Inoltre, è evidente che il ricorso, come previsto dall'art. 125 c.p.c., contiene molti dei requisiti essenziali già indicati dall'atto di citazione, se non altro perché entrambi sono stati scelti dal nostro ordinamento processuale quali atti introduttivi e, pertanto, tendenzialmente miranti al medesimo scopo - cioè, evidentemente, avviare il processo.
In conclusione. Possiamo quindi affermare che:
- l'impugnativa di delibera assembleare può essere proposta sia nella forma del procedimento di cognizione 'piena', con atto di citazione ai sensi dell'art. 163 c.p.c., sia nella forma del procedimento di cognizione 'sommaria', con ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c.;
- atteso che la maggior parte delle delibere condominiali viene impugnata per vizi di annullabilità, nonché considerando le modalità con cui il condòmino che impugna dovrà dare prova di detti vizi (ad esempio, verbale assembleare, busta con la data di spedizione della convocazione, data di consegna del verbale, Regolamento condominiale, aut similia), è verosimile che il Giudice dell'impugnativa, ricevuto il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., non trasformerà il rito in cognizione piena, attesa l'istruzione probatoria snella derivante, nella maggior parte dei casi, dall'esame di produzione documentale depositata dal condòmino e dal Condominio;
- a fronte della giurisprudenza in materia di impugnativa di delibera e sanatoria degli atti processuali, il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dovrà essere depositato nel Tribunale competente a conoscere della delibera nei 30 giorni di cui all'art. 1137 c.c., mentre la notifica dello stesso ricorso e del pedissequo decreto di fissazione d'udienza potrà avvenire anche successivamente allo scadere di tale termine.
È curioso infine, almeno per chi scrive, notare che manca qualsiasi riferimento alla mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 del D. Lgs. 04 marzo 2010, n. 28 s.m.i.
Infatti, l'art. 5, comma 2° del D. Lgs. 28/2010 citato prevede che: « Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello.
Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.
Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ».
Ebbene, nel caso che ci occupa, è certamente comprensibile il ragionamento della Corte, la quale non ha voluto privare le parti del giudizio di I° sottratto loro dal Giudice di prime cure, tuttavia si ritiene che le ragioni di economia processuale sarebbero state maggiormente soddisfatte se in fase di appello fosse stata esercitata la potestà processuale che assegna al Collegio la possibilità di invitare le parti alla mediazione, con risparmio di tempo e di denaro non indifferente e verosimile soluzione del problema delle parti - in particolare del ricorrente, unico soggetto a conoscenza delle reali motivazioni di impugnativa della delibera de qua.