Il contratto finalizzato a soddisfare un bisogno abitativo non può ritenersi "precario" anche se non è indicato un termine e va mantenuto per tutta la durata del bisogno per il quale è stipulato (Corte di Cassazione, ordinanza n. 10895/2023).
Il comodato per bisogni abitativi non può essere "precario". Fatto e decisione
Gli eredi del comodante di un immobile deceduto avevano citato in giudizio (previa intimazione con lettera raccomandata) la comodataria - che aveva avuto una relazione sentimentale con il comodante - per ottenere la restituzione dell'immobile, sostenendo che il comodato, che il loro dante causa aveva stipulato con costei, fosse di natura precaria e, dunque, risolvibile per volontà del comodante o dei suoi danti causa.
La comodataria si era costituita in giudizio ed eccepiva che il contratto di comodato era finalizzato a soddisfare un suo bisogno abitativo e, dunque, non poteva ritenersi "precario" ma andava mantenuto per tutta la durata del bisogno per il quale era stato stipulato.
Gli eredi del comodante, quindi, non potevano risolverlo a loro discrezione, ma dovevano rispettare la finalità cui il contratto era destinato.
La tesi della comodataria aveva trovato accoglimento sia in primo sia in secondo grado. Gli eredi ricorrono per Cassazione sostenendo che la Corte di merito aveva interpretato il contratto in base al solo senso letterale di due clausole contenute nel contratto di comodato, quella secondo cui il concedente si riservava la possibilità di utilizzare il bene e l'altra che inibiva ad entrambi, in particolar modo al comodatario, di concedere l'immobile a godimento a terzi ed inoltre era incorsa in una contraddizione nel momento in cui, da un lato, aveva ritenuto che l'immobile fosse destinato ai "bisogni della famiglia", dall'altro a quelli della comodataria.
La Corte di Cassazione evidenzia che, dopo la morte del comodante, la "famiglia" continuava a sussistere anche se si era ridotta alla comodataria superstite ma ciò non incideva sull'interpretazione dello scopo del contratto, che rimaneva pur sempre quello di un atto non già di durata precaria, bensì di durata coincidente con il bisogno da soddisfare di entrambe le parti ed anche del solo comodante o del solo comodatario.
La Corte di merito non avrebbe fatto leva sulla sola interpretazione letterale del contratto, ma avrebbe letto ed interpretato le clausole contrattuali unitamente ad alcuni elementi esterni alla convenzione negoziale, quali la relazione sentimentale tra le parti e la circostanza che l'immobile fosse già da tempo usato dalla comodataria al momento della stipula del contratto.
La clausola con cui, poi, le parti si erano impegnate ad escludere il godimento dell'immobile a terzi appalesava solamente la volontà di imporre un divieto di sub godimento e cioè che il bene era concesso in godimento non già per farne libero uso, ma per usarlo per i propri bisogni abitativi, mentre la concessione a terzi avrebbe implicato, viceversa, un evidente difetto di quei bisogni.
Per i motivi sopra esposti il ricorso veniva rigettato. .
Il contratto di comodato per esigenze abitative ha un termine implicito
La destinazione di una casa al soddisfacimento delle esigenze abitative conferisce al relativo contratto di comodato un termine implicito connesso alla durata del bisogno per il quale è stato stipulato anche se le parti non lo indicano espressamente.
Ne deriva, come nel caso in esame, che gli eredi potranno richiedere la restituzione immediata dell'immobile al comodatario solo nel caso in cui sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante (art. 1809 u. co. c.c.) che deve «serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto» (Cass. n. 18619/2010; Cass. n. 4917/2011).