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I limiti dell'amministratore per proporre azione di responsabilità, nei confronti del costruttore, per i vizi dell'edificio

Il costruttore/venditore risponde dei vizi che interessano l'edificio oltre a quelli che, solo per conseguenza diretta, interessano le proprietà esclusive. L'amministratore è legittimato all'azione in entrambi i casi.
Avv. Adriana Nicoletti 

La Corte di cassazione, nella recente ordinanza n. 10380 pubblicata in data 17 aprile 2024, ha rigettato il ricorso proposto da una società costruttrice e venditrice di uno stabile, ritenuta responsabile per i gravi vizi e difetti che interessavano la costruzione.

Poi, in considerazione del fatto che il provvedimento decisorio non si discosta dall'orientamento consolidato espresso dalla stessa Corte, i giudici hanno condannato la ricorrente non solo alla rifusione delle spese processuali, ma anche al pagamento di una ulteriore somma pari al contributo unificato già versato dalla ricorrente e nuovamente soccombente.

Un provvedimento punitivo determinato dall'evidenza di una decisione che si è posta in linea retta con tutti i suoi antecedenti.

Respinta l'eccezione di carenza di legittimazione attiva dell'amministratore per l'azione verso il costruttore. Fatto e decisione

La questione è nata dall'azione intentata in Tribunale da un Condominio e da alcuni condomini, i quali citavano in giudizio la società costruttrice e venditrice di uno stabile, nonché il socio accomandatario della stessa, per sentirne accertare la responsabilità in ordine a gravi vizi e difetti del complesso edilizio.

I convenuti si costituivano chiedendo il rigetto della domanda ed eccependo il difetto di legittimazione attiva dell'amministratore del Condominio.

Avverso la sentenza di accoglimento della domanda attrice i soccombenti proponevano gravame e la Corte di appello, dichiarava la sussistenza della legittimazione attiva dell'amministratore del Condominio, in concorrenza con i condomini, "ad agire ex art. 1669 c.c. solo per i vizi afferenti l'intero complesso edilizio nella sua unitarietà senza farsi distinzione tra parti comuni o private e a chiedere di conseguenza i costi per l'esecuzione delle opere necessarie per l'eliminazione dei vizi medesimi".

Tale legittimazione, invece, veniva esclusa, anche per difetto di prova da parte dei singoli condomini danneggiati, "per i danni derivanti dai vizi di infiltrazione verificatisi nei singoli immobili".

Parimenti veniva rigettata l'ulteriore eccezione di prescrizione dell'azione e decadenza dalla denuncia dei vizi nei confronti degli attori.

Società e socio accomandatario ricorrevano in Cassazione, mentre Condominio e condomini rimanevano intimati. La Corte ha rigettato il ricorso condividendo le conclusioni del giudice di secondo grado fondate, tra l'altro, sulla costante giurisprudenza della stessa Corte.

Per quanto concerne il profilo inerente alla legittimazione attiva la Corte ha espresso il seguente principio di diritto: "è dato costante che la legittimazione del condominio a promuovere l'azione di cui all'art. 1669 c.c. per il ristoro dei danni alle unità abitative sussiste solo se l'amministratore agisce "per la tutela dell'edificio nella sua unitarietà", per tale intendendosi non semplicemente una situazione in cui si riscontrino dei gravi difetti sia nella parte condominiale che nei singoli appartamenti, bensì una situazione in cui "i pregiudizi derivano da vizi afferenti le parti comuni dell'immobile, ancorché interessanti di riflesso anche quelle costituenti proprietà esclusiva di condomini" siano riconducibili ad una causa comune che di riflesso cagiona danni alle proprietà individuali, con l'ovvia conseguenza che è compito del giudice di merito accertare l'esistenza o meno di una tale causa, andando a verificare se il pregiudizio all'unità abitativa sia causato di riflesso da un difetto di costruzione riscontrato nelle parti comuni dell'edificio" (conf. Cass. 31 gennaio 2018, n. 2436).

Sulla base di tale principio la Corte del merito, infatti, aveva correttamente distinto, ai fini dell'azione di cui all'art. 1669 c.c., tra i vizi che potevano ricondursi al principio dell'unitarietà dell'edificio, con conseguente legittimazione dell'amministratore, ed i vizi che dovevano essere tutelati su impulso dei soli condomini rispetto ai quali, quanto alla fattispecie in esame, il giudice del merito aveva dichiarato inammissibile la domanda, considerata anche generica per la mancata specificazione di quali fossero le proprietà individuali danneggiate.

Per quanto concerne, invece, la duplice eccezione di prescrizione e decadenza degli attori dall'azione e dalla domanda ex art. 1669 c.c. formulata dai ricorrenti, i giudici di legittimità hanno affermato che dagli atti di causa era emerso come il relativo termine fosse stato rispettato.

Infatti, posto che la decorrenza dell'anno non poteva che essere riferita al momento della denunzia dei vizi avvenuto in corso di assemblea (alla quale aveva partecipato il socio accomandante della società, peraltro, anche condomino), il successivo accertamento tecnico preventivo era stato promosso entro l'anno di legge, determinando l'interruzione della prescrizione/decadenza invocato dai ricorrenti.

Il riconoscimento dei vizi da parte del costruttore

Considerazioni conclusive

Il punto di partenza per una sintetica disamina delle problematiche legate alla decisione in esame va individuato nell'art. 1130, co. 1, n. 4) c.c., il quale indica come una delle attribuzioni poste a carico dell'amministratore quella di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio.

La locuzione non può essere interpretata in senso restrittivo, nel senso di ricondurre nei poteri/doveri dell'amministratore solo le mere attività materiali (quali l'esecuzione di lavori che interessino il condominio), ma si estende anche a tutte la azioni giudiziarie che devono essere promosse in vista della salvaguardia delle parti comuni.

Sotto il profilo processuale, individuabile nella c.d. "legittimazione attiva" (come nella fattispecie in esame) e "legittimazione passiva", è significativo l'art. 1131, co. 1, c.c. il quale, con un espresso rinvio all'art. 1130 c.c. (pur con una necessaria previsione di estensione delle attribuzioni proprie dell'amministratore ai maggiori poteri a lui conferiti dall'assemblea o dal regolamento di condominio), stabilisce che "l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi".

Le due norme richiamate, inoltre, si incontrano o scontrano con altra disposizione, l'art. 1669 c.c. che, in materia di appalto, individua l'appaltatore come il soggetto responsabile quando nel caso di edifici o immobili destinati a lunga durata, entro dieci anni dal compimento dell'opera, questa a causa di vizi del suolo o difetti di costruzione rovini in tutto o in parte, ovvero presenti un evidente pericolo di rovina o gravi difetti.

Tale responsabilità opera a favore del committente e dei suoi aventi causa a condizione che la denunzia sia fatta entro un anno dalla data della scoperta.

Ed il conseguente diritto del committente, non solo al ripristino della situazione in condizioni di sicurezza, ma anche al risarcimento dei danni patiti (sempre da dimostrare ai sensi dell'art. 2697 c.c.) si prescrive in un anno dalla denunzia.

Ora, se il contratto di appalto interessa l'impresa nella duplice veste di costruttore e venditore è evidente che se il rapporto si è instaurato con un singolo o più soggetti non ci sono problemi, ma se i vizi rilevati e denunciati interessano un condominio le cose cambiano, proprio in virtù del fatto che questo è un ente notoriamente privo di personalità giudica.

Ci si viene così a trovare in una situazione processualmente del tutto differente, anche se l'azione da esperire sarà sempre l'art. 1669 c.c.

La motivazione della decisione oggetto di esame anche se complessa ha delineato molto chiaramente quali siano i limiti della legittimazione attiva nel caso di specie.

Va considerato che il richiamo alla valutazione della "unitarietà" dell'edificio, che ,legittima l'amministratore ad agire per accertare la responsabilità del costruttore/appaltatore per i c.d. "danni riflessi", che si sono verificati nelle unità immobiliari esclusive (da intendersi tali quelli che sono strettamente connessi ai vizi dipendenti dalle parti comuni dello stabile), è sempre stato oggetto di un orientamento unanime della giurisprudenza che si è consolidato nel tempo.

Infatti, è stato affermato che in questa situazione ci si viene a trovare al cospetto di una causa comune di danno, che determina una legittimazione all'azione, concorrente o alternativa tra amministratore e singoli condomini.

Mentre resta evidente che la legittimazione del rappresentante condominiale ad agire ai sensi dell'art. 1669 c.c., non può estendersi, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, anche alla proposizione delle azioni risarcitorie, in forma specifica o per equivalente, relative ai danni subiti dai condomini nei rispettivi immobili di proprietà esclusiva (Cass. 17 febbraio 2020, n. 3846).

Sentenza
Scarica Cass. 17 aprile 2024 n. 10380
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