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Errori nella ripartizione spese condominiali e invalidità della delibera, richiesto l'intervento delle Sezioni Unite

Ripartizione delle spese errata, la delibera di approvazione è sempre nulla?
Avv. Alessandro Gallucci - Foro di Lecce 

Certi contrasti non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano: possiamo sintetizzare così, parafrasando Venditti, la questione inerente agli errori nella ripartizione spese condominiali.

Motivo: la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 24476 depositata in cancelleria il giorno 1 ottobre 2019, ha rimesso una causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite al fine di dirimere alcuni contrasti interpretativi, uno dei quali riguardante i vizi delle delibere contenenti errori nella ripartizione delle spese condominiali (ovvero di approvazione di stati di riparto errati).

Si badi: la causa non è stata rimessa alle Sezioni Unite. Sarà il Primo Presidente a stabilirlo. È un aspetto importante, questo, perché non è vero, com'è potuto apparire dalle prime letture dei commenti, che la questione sarà risolta dalle Sezioni Unite.

È probabile che lo sia, perché, in effetti, negli ultimi anni si è riacuito un contrasto che nel 2005 sembrava essere stato tacitato dalle medesime Sezioni Unite proprio in materia di errori nella ripartizione delle spese condominiali.

Probabile, si diceva, ma non certo; infatti è il Primo Presidente a dover decidere se la questione merita un vaglio ulteriore da parte della massima espressione della Corte nomofilattica, quella che, tra le altre, ha la competenza per dirimere i contrasti interpretativi.

Ripartizione spese condominiali, competenze dell'assemblea

Le spese derivanti da preventivo e consuntivo di gestione devono essere ripartite tra i condòmini.

La ripartizione delle spese condominiali deve avvenire in base ai criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123, 1124, 1126, ecc. c.c.), ovvero secondo i criteri stabiliti in apposita convenzione accettata da tutti i condòmini (leggasi regolamento condominiale contrattuale ovvero delibera adottata col consenso di tutti i condòmini).

Ci sono da ripartire le spese per la manutenzione dell'ascensore? Il relativo costo deve essere suddiviso tra i condòmini ai sensi dell'art. 1124 c.c.

C'è da dividere il costo dei lavori di straordinaria manutenzione della facciata dell'edificio ? La spesa va ripartita tra tutti i condòmini in base ai millesimi di proprietà, in ragione di quanto disposto dall'art. 1123, primo comma, c.c.

Il regolamento contrattuale specifica che il compenso dell'amministratore deve essere ripartito trai condòmini in misura paritaria? L'amministratore deve disporre in conformità e l'assemblea approvare quella ripartizione.

Ripartizione spese condominiali, delibere nulle e delibere annullabili

Che cosa succede se una spesa è ripartita in maniera difforme da quanto stabilito dalla legge?

Per rispondere alla domanda, nel silenzio della legge si era soliti guardare ai pronunciamenti giurisprudenziali. Uno su tutti, dal 2005 a questa parte, quello espresso dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 4806. Sull'argomento gli ermellini specificarono che per rispondere al quesito bisognava guardare al contenuto della delibera:

a) se la decisione dell'assemblea condominiale comportava una deroga ai criteri legali o convenzionali di riparto delle spese, allora tale decisione doveva considerarsi insanabilmente nulla, ove non approvata col consenso di tutti i condòmini;

b) se la decisione dell'assemblea condominiale riguardava l'applicazione concreta di un criterio errato, allora la deliberazione di approvazione del riparto della spesa doveva considerarsi annullabile, poiché frutto di un esercizio errato dei poteri deliberativi (ossia contrario all'art. 1135 c.c.) e come tale soggetta ai termini d'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c. (trenta giorni).

Una soluzione che partiva da un presupposto: sbagliare nell'applicare un criterio di ripartizione è cosa differente dallo scegliere volontariamente di derogare ad una disposizione di legge o pattizia.

Certo, non sfugge la difficoltà che alle volte (in realtà molto rare) può esservi nel distinguere le due ipotesi, ma in concreto la decisione pareva tenere in considerazione aspetti concreti della gestione condominiale caratterizzati dalla estrema lacunosità delle disposizioni legislative in materia di ripartizione delle spese.

La materia della ripartizione delle spese condominiali, ha affermato autorevole dottrina, è quella che ha portato completa disarmonia nell'istituto condominiale (G. Terzago, Il condominio, Giuffrè, 1985).

Il pronunciamento delle Sezioni Unite sembrava voler mitigare questa situazione di incertezza che riverberava i propri effetti anche sul contenzioso.

Ripartizione spese condominiali, il contrasto e i dubbi

La Seconda Sezione Civile, si diceva in precedenza, ha messo in luce un contrasto, particolarmente acuito nell'ultimo anno e mezzo, che ha messo nuovamente in dubbio l'approdo del 2005.

In particolare, un filone interpretativo più recente ritiene insanabilmente nulle le delibere assembleari di approvazioni di piani riparto di spese ovvero di criteri di ripartizione delle spese non conformi a quelli legali o regolamentari, senza fare differenza tra deroga ed errata applicazione.

La legge è legge ed ogni difformità è da ritenersi foriero di nullità in quanto l'assemblea esorbita delle proprie competenze, giungendo a soluzioni non consentitegli.

Per la Seconda Sezione questa distinzione non ha ragion d'essere. Non è chiaro, si legge nel testo del provvedimento in esame quale sia il senso «di inibire all'organo assembleare con la più grave sanzione invalidante unicamente l'adozione di deliberazioni "normative" in materia di ripartizione delle spese, aventi, cioè, ad oggetto la disciplina di esborsi eventuali e futuri, dei quali vengano fissate preventivamente le modalità di distribuzione in difformità della preesistente disciplina legale o regolamentare. D'altro canto, l'avversato distinguo tra ripartizioni di spesa errate annullabili e nulle imporrebbe una malsicura ricostruzione dell'effettivo contenuto della dichiarazione di volontà dell'assemblea, se ed in quanto limitata alla ripartizione di quella determinata spesa, mentre apparirebbe comunque indispensabile prescegliere un metodo tipologico che dia rilievo unicamente agli oggettivi effetti pregiudizievoli della delibera sulle sfere patrimoniali individuali».

In sostanza dice la Cassazione, ponendo anche l'accento sulla difficoltà d'interpretare la volontà dell'assemblea, in termini sostanziali non c'è differenza tra deliberare "le spese per il compenso dell'amministratore andranno ripartite in parti uguali", oppure approvare una delibera che senza questa dichiarazione di volontà faccia propria la medesima modalità di riparto direttamente inserita nel rendiconto.

Non solo, dicono gli ermellini nell'ordinanza n. 24476, il distinguo tra delibere nulle e annullabili fa sì che una serie di approvazioni errate consecutive che «pur disattendano in concreto, senza dichiarate finalità modificative, i criteri stabiliti dalla legge o dalla convenzione, possa poi assurgere alla dignità di comportamento univocamente concludente, protrattosi nel tempo, dal quale si ricavi l'accettazione da parte di tutti i condomini di metodi convenzionali di distribuzione delle spese, come supponeva ammissibile un risalente orientamento giurisprudenziale (Cass. 15 ottobre 2004, n. 20318; Cass. 12 ottobre 2000, n. 13592; Cass., 27 marzo 1998, n. 3251; Cass., 17 maggio 1994, n. 4814; Cass., 16 luglio 1991, n. 7884)».

Partendo da questa ultima considerazione, sommessamente chi scrive fa notare che si tratta di argomenti che si espongono a delle obiezioni. In primis si rammenta che la modifica dei criteri di riparto per facta concludentia non è unanimemente riconosciuta come possibile; ma non solo.

Quand'anche così fosse, cioè quand'anche si accettasse che i comportamenti concludenti possano rappresentare una diversa convenzione ai sensi dell'art. 1123 c.c., ciò non porterebbe a concludere che l'errore, cioè il travisamento di un dato, sia paragonabile a manifestazione di volontà di modificare quel dato.

Un errore è tale ed esaurisce i propri effetti limitatamente a quella deliberazione. Se per errore non si è mai convocato un condòmino, quell'errore non rappresenta manifestazione della volontà di escluderlo dal condominio con conseguente nullità di tutte le delibere adottate senza avvisarlo.

Ogni singola delibera resta annullabile, così come stabilito dagli artt. 1137 e 66 c.c. Al più di nullità si potrebbe parlare solamente ove una delibera stabilisca che Tizio non è condòmino e non deve essere mai convocato.

Lo stesso dicasi per le spese: approvare per dieci anni di seguito una spesa errando nell'applicazione del riparto non vuol dire avere espresso la manifestazione di derogare al criterio previsto dalla legge.

L'intenzione dei condòmini può essere compresa leggendo la delibera; l'errore si distingue dalla presa di posizione espressa, in quanto per quest'ultima serve un atto volitivo chiaramente verbalizzato. Fare sbagliando, è cosa diversa dal fare volontariamente.

Si può dire che non v'è differenza tra queste due delibere solamente rinunciando all'applicazione dei canoni ermeneutici previsti per l'interpretazione delle delibere, cioè quelli dettati per la materia contrattuale.

Resta poi, un fatto, eminentemente concreto, che va considerato: la disarmonia di cui parlava Terzago. A tutt'oggi non v'è certezza sull'applicazione di determinati criteri.

Per portare l'esempio più eclatante il riparto della spesa per il servizio di pulizia scale si esegue con applicazione dell'art. 1124 ovvero solamente con la parte di tabella ex art. 1124 c.c. che riguarda l'altezza del piano? Risulta più coerente con l'intera disciplina condominiale, tendenzialmente orientata a favorire la speditezza della gestione, mantenere in vita la distinzione tra errore e deroga, ovvero è un approdo migliore, per esigenze prettamente giudiziarie, ricondurre tutto alla figura della nullità per difformità dalla legge? Anche su questi aspetti, a nostro avviso, dovrà essere valutata la questione.

L'errore nella redazione delle tabelle millesimali giustifica la loro revisione anche a maggioranza

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