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Distanze legali e nuove vedute del vicino su area condominiale: e se tra i due edifici si trova un cavedio sotto il quale scorre un corso di acqua pubblica?

Per verificare o meno la violazione dell'articolo 905 c.c. si deve tenere conto anche di un corso di acqua pubblica?
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Secondo l'articolo 905 c.c., comma 1, non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo.

Allo stesso modo non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere (art. 905 c.c., comma 2).

Il divieto, fissato nella distanza minima di un metro e mezzo, tuttavia, cessa allorquando tra i due plessi vi sia una via pubblica (art. 905, comma 3). In particolare la cessazione del divieto di aprire vedute dirette e balconi verso il fondo del vicino a distanza inferiore a un metro e mezzo, agli effetti dell'art. 905 c.c., terzo comma, opera sia quando una via pubblica separi i due fondi vicini rendendoli fronteggianti, sia quando essa si ponga, rispetto alle vedute, ad angolo retto, ma non anche quando i fondi siano allineati lungo la medesima via pubblica: in tale ultimo caso, infatti, viene meno il presupposto previsto dalla norma della tutela della riservatezza delle proprietà limitrofe.

In ogni caso, merita di essere ricordato che la qualificazione di una strada come pubblica, ai fini dell'esonero dal rispetto delle distanze nell'apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905 c.c., terzo comma, esige che la sua destinazione all'uso pubblico risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedimento dell'autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall'usucapione, qualora risulti dimostrato l'uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all'acquisto del relativo diritto; resta invece escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene "uti singuli", essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all'uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti (Cass. civ., sez. VI - 2, 26/06/2013, n. 16200).

E se tra i due fondi vi è un corso d'acqua? Nel valutare la violazione delle distanze legali previste dall'articolo 905 c.c., terzo comma, si deve considerare anche un corso d'acqua pubblica? La risposta è contenuta nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Brescia n. 376 del 21 aprile 2020.

Distanze legali, nuove vedute del vicino su area condominiale e corso d'acqua pubblica. La vicenda

Il proprietario di un fabbricato vicino ad un condominio (costituito da autorimesse) apriva nuove luci e vedute; i condomini citavano in giudizio il titolare del detto fabbricato, sostenendo che le nuove aperture violavano le distanze legali dal confine.

Il convenuto osservava che tra i due edifici si trovava un cavedio sotto il quale scorreva un corso di acqua pubblica, negando la sussistenza del mancato rispetto delle distanze legali.

Il Tribunale sosteneva che i lavori di ristrutturazione dell'immobile del convenuto violavano le distanze previste dall'art. 905 c.c., condannando il titolare del fabbricato a ripristinare lo stato dei luoghi.

Il soccombente si rivolgeva alla Corte d'Appello, sostenendo l'invalidità della decisione di primo grado per violazione ed errata interpretazione dell'art. 905 c.c., esistendo nel sottosuolo al confine tra le due proprietà un corso d'acqua pubblico legislativamente individuato; inoltre sottolineava che le nuove vedute si dovevano considerare non come nuove aperture ma al più come aggravamento della servitù di veduta acquisita per usucapione.

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La decisione

La Corte d'Appello ha dato ragione al proprietario del fabbricato.

Infatti, come osservano i giudici di secondo grado, dagli accertamenti eseguiti nel corso delle operazioni peritali è risultata l'esistenza di un cavedio fra il muro perimetrale del fabbricato ed il condominio.

Il c.t.u. ha, inoltre, verificato non solo che il corso d'acqua era inserito nell'elenco dei corsi d'acqua del comune ma che era ancora esistente e continuava a scorrere al di sotto del piano delle autorimesse.

Di conseguenza la Corte ha ritenuto che il cavedio, costituito dalla tombinatura del sottostante corso d'acqua, avesse natura pubblica, integrando in tal modo la previsione del terzo comma dell'art. 905 c.c.

Quindi, secondo i giudici di secondo grado, il concetto di "via pubblica" può essere applicato al "cavedio costituito dalla tombinatura del sottostante corso d'acqua".

A tale conclusione si è pervenuti anche in considerazione della circostanza che la necessità di lasciare fra le due costruzioni finitime lo spazio libero costituito dal cavedio è dovuta alla possibilità di ispezionare e compiere interventi sul sottostante corso d'acqua in caso di necessità (App. Brescia 21 aprile 2020 n. 376).

Un canale non transitabile né utilizzabile dal pubblico, però, non è assimilabile all'interposizione della via pubblica che, a norma del 3° comma dell'art. 905 c.c., fa venir meno l'obbligo del rispetto della distanza minima (di m. 1,50) imposto dal 1° comma della stessa norma (Cass. civ., sez. II, 13/02/1987, n. 1575).

Allo stesso modo una fognatura interrata non può essere equiparata alla via pubblica.

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