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Immissioni rumorose e decoro architettonico nel caso del ristorante al piano terra del fabbricato condominiale. Quali prove?

Decoro architettonico, immissioni rumorose e dimostrazione della violazione ed intollerabilità
Avv. Eliana Messineo - Foro di Reggio Calabria 

Capita spesso che i locali del piano terra di un edificio condominiale siano adibiti ad uso commerciale ospitando uffici, negozi, ristoranti. L'attività di ristorazione è senza dubbio quella che espone maggiormente i condòmini ad immissioni rumorose e che, in caso di modifiche ai locali, quali apposizione di insegne, vetrine e fari, potrebbe determinare un pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato.

È il caso portato dinanzi alla Corte di Cassazione, Sez. 2 civ., che si è pronunciata con ordinanza n. 18928 del 2020.

L'ordinanza in esame, seppur incentrata prevalentemente sul valore probatorio delle allegazioni difensive e delle valutazioni necessarie per stabilire la sussistenza o meno di un pregiudizio al decoro architettonico o di immissioni rumorose intollerabili, assume notevole importanza poiché conferma e ribadisce alcuni principi di diritto in materia, dando continuità ad orientamenti giurisprudenziali consolidati.

Decoro architettonico e immissioni rumorose. La vicenda

Il Tribunale di Roma rigettava tutte le domande con le quali un condòmino, proprietario di un appartamento posto al secondo piano di un edificio condominiale sito in Roma, aveva chiesto di accertare che la condotta di una società esercente attività di ristorazione in due distinte e comunicanti unità immobiliari poste al piano terra del fabbricato lo esponeva ad intollerabili immissioni rumorose.

L'attore chiedeva anche di condannare la predetta società a ripristinare lo stato dei luoghi e a risarcirlo dei danni subiti, previo accertamento delle opere realizzate, consistenti nell'apertura di una porta, nella apposizione di una tenda, di due voluminose insegne luminose, di vetrine e di fari, che recavano pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio e che erano state realizzate in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative e in violazione della normativa regolamentare.

La Corte d'Appello, adita dal condòmino, rigettava quasi tutti i motivi d'impugnazione e accoglieva solo quello relativo alla richiesta di rimozione dell'insegna luminosa recante la scritta "Irish Pub".

La Corte d'Appello non riteneva provate le opere asseritamente realizzate all'interno dell'edificio, (copertura finestre, prese d'aria della guardiola, utilizzo di spazi comuni), sicché con riferimento a tali doglianze, confermava la sentenza di primo grado, mentre per le opere accertate confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui le aveva ritenute legittime, considerandole espressione del diritto del condomino ex articolo 1102 c.c.

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Con riferimento invece alla doglianza relativa alla violazione del decoro architettonico, la Corte d'Appello riteneva che la stessa fosse fondata solo relativamente all'insegna luminosa recante la scritta "Irish Pub" in considerazione dell'impatto visivo del manufatto sulla facciata che era notevole e costituiva un'alterazione appariscente e di non trascurabile entità tale da provocare un pregiudizio estetico all'insieme.

Per la Corte d'Appello, sussisteva, pertanto, con riferimento a detta insegna, la lesione del decoro architettonico dello stabile.

Con riferimento alla domanda relativa alle immissioni intollerabili di rumore, la Corte d'Appello confermava il rigetto, assumendo che era del tutto sfornito di prova l'assunto in fatto dell'attore.

Spettava infatti a quest'ultimo fornire la dimostrazione dell'esistenza delle asserite immissioni e solo in presenza della prova delle stesse i giudici avrebbero potuto disporre una CTU per verificare l'eventuale superamento della soglia di normale tollerabilità.

Il Condòmino proponeva ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

Il valore probatorio delle allegazioni a sostegno della domanda di violazione del decoro architettonico e della domanda relativa alle intollerabili immissioni rumorose. La decisione

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, nel dare continuità al proprio orientamento consolidato confermando determinati principi di diritto, si sofferma sul valore probatorio delle allegazioni necessarie nel giudizio di merito per provare l'eventuale pregiudizio del decoro architettonico e la sussistenza di immissioni rumorose, determinati dall'attività di ristorazione svolta nei locali adibiti a pub nel fabbricato condominiale.

Sulla domanda di violazione del decoro architettonico: L'apprezzamento sull'alterazione del decoro architettonico del fabbricato è rimessa al giudice di merito.

Nella specie, la Corte d'Appello ha motivato in sentenza sulle ragioni per le quali i manufatti realizzati dalla società esercente attività di ristorazione non concretizzavano un'alterazione del decoro del fabbricato condominiale, distinguendoli rispetto all'insegna luminosa recante la scritta " Irish pub" ritenuta, invece, lesiva.

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Conseguentemente, per la Cassazione, avendo la Corte d'Appello motivato, senza vizi, sul punto della inesistenza di pregiudizio al decoro del fabbricato condominiale, tale apprezzamento non poteva essere più sottoposto al sindacato di legittimità.

La fattispecie in esame diventa, così, l'occasione per la Corte di Cassazione di ribadire il seguente principio di diritto:

"Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio.

La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione". (Sez. 2, Sent. n. 10350 del 2011).

Sulla domanda di violazione del decoro architettonico: La perizia stragiudiziale non ha valore di prova e l'ammissione di CTU è rimessa al potere discrezione del giudice di merito.

Nella specie, la Corte d'Appello ha rigettato il motivo d'appello con il quale si chiedeva di disporre la consulenza tecnica d'ufficio e ciò, nonostante l'appellante avesse allegato una perizia giurata stragiudiziale.

Sul punto, la Corte di Cassazione ribadisce che costituisce orientamento consolidato quello secondo il quale:

"La perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto" (Sez. 5, Ord. n. 33503 del 2018).

In ogni caso il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è incensurabile nel giudizio di legittimità salvo che ciò abbia comportato l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo (ex plurimis Sez. 1, Sent. n. 7472 del 2017).

Sulla domanda relativa alla sussistenza di immissioni rumorose: In sede di legittimità non sono ammessi temi di contestazione nuovi, né consulenze tecniche c.d. "esplorative".

La Corte d'Appello ha confermato la decisione di primo grado per assenza di prova delle immissioni rumorose. Per il Condòmino ricorrente, la predetta Corte non ha considerato che non vi era contestazione sul punto ed erroneamente non ha ammesso il necessario espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio.

Per la Cassazione, l'asserita mancanza di contestazione della presenza di immissioni rumorose da parte del convenuto rappresenta una censura nuova, dedotta soltanto in sede di legittimità anche perché il ricorrente non ha indicato se la stessa costituisse un motivo di appello.

All'uopo, la Corte di legittimità richiama un proprio orientamento consolidato secondo il quale il ricorrente, a pena di inammissibilità della censura, deve non solo allegare l'avvenuta deduzione della censura dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, deve anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto.

L'indicazione esatta del riferimento all'atto in cui è stata dedotta la specifica doglianza è necessaria al punto da essere richiesta a pena di inammissibilità poiché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio.

Quanto alla consulenza tecnica, la Cassazione ribadisce come la stessa non possa supplire alla mancata allegazione e prova dell'esistenza in fatto delle immissioni rumorose.

Tali ragioni sono conformi alla giurisprudenza della stessa Corte che non ammette le c.d. consulenze esplorative, ritenendo necessario per l'espletamento delle stesse che vi sia almeno un principio di prova, anche solo indiziaria, che possa far ritenere sussistente il fatto da provare.

Con riferimento specifico alla tematica delle immissioni rumorose, la Corte indica a solo titolo esemplificativo, la seguente prova necessaria a sostegno della domanda attorea.

Indicazione dei testimoni almeno sugli orari o verbali di accesso dei vigili o della polizia a seguito di chiamate in orario notturno anche effettuate da terzi, giacché il fastidio da musica e schiamazzi si diffonde a raggiera.

Il Collegio ha inteso, così, dare continuità al seguente principio di diritto:

"La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze.

Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (Sez. 6-1, Ord. n. 30218 del 2017).

Sentenza
Scarica Cass. 11 settembre 2020 n. 18928
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