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Attenti ad invocare solo le disposizioni dell'articolo 1123 del codice civile: i regolamenti e le decisioni unanimi prevalgono sempre e comunque

Cosa si nasconde dietro la formula salvo diversa convenzione?
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

La ripartizione delle spese condominiali è certamente uno dei maggiori problemi degli amministratori, in quanto causa di continui litigi e di puntuali impugnazioni collegate alle singole attribuzioni dei costi di gestione.

Quando i prospetti tabellari vengono consegnati ai condòmini si diffonde quasi sempre un malcontento "a prescindere", anche e soprattutto a causa della non approfondita conoscenza delle norme e dei regolamenti da parte degli amministrati.

Il riferimento principale è ancora una volta quanto statuito nell'art. 1123 cod. civ., intimamente collegato - per i motivi che vedremo - alla vicenda giudiziaria sfociata nell'ordinanza numero 24925 del 7 ottobre scorso, resa dalla Sezione VI Civile della Corte di Cassazione.

Partiamo dalla norma codicistica e vediamo cosa è accaduto.

"Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà, salvo diversa convenzione".

E ancora, "Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne".

Fin qui, il primo e secondo comma del richiamato articolo 1123 del codice civile.

L'Ordinanza della Cassazione, innanzi menzionata, giunge al termine di una vicenda giudiziaria insorta circa dieci anni fa, intrapresa da una società palermitana che aveva impugnato il rendiconto e la conseguente ripartizione delle spese proprio a causa della errata interpretazione dell'assunto codicistico che al primo comma termina con le parole "... salvo diversa convenzione ".

In pratica, nella fattispecie in esame, la "diversa convenzione" si identificava con l'esistenza di un regolamento condominiale del fabbricato, attraverso il quale nel lontano 1989 si era previsto che - a fronte dell'esistenza di quattordici proprietari originari - "tutte le spese per l'uso e il godimento delle parti comuni verranno sopportate dai condomini proprietari in ragione di 1/14 ciascuno...".

Poiché, nel tempo, a seguito del frazionamento di alcune unità immobiliari il numero delle quote era passato da 14 a 16, la parte ricorrente aveva ritenuto inesatta la ripartizione delle spese, rilevando che non era stato considerato il numero degli attuali proprietari ma il numero delle quote originariamente stabilito nel regolamento stesso.

"Tutta la censura - afferma oggi la Cassazione - ruota sull'interpretazione del regolamento condominiale, dovendosi intendere lo stesso come finalizzato a dividere le spese in rapporto a quattordici quote, e non al numero degli effettivi proprietari delle singole porzioni immobiliari".

Ripartizione errata delle spese condominiali e opposizione a decreto ingiuntivo

E a nulla vale, come sostenuto in giudizio dalla proprietà ricorrente, che alcuni capannoni costituenti le unità del Condominio in esame siano stati nel frattempo frazionati, rimanendone però invariata la dimensione. "Il regolamento, del resto - si legge nell'Ordinanza - non vieta la suddivisione delle unità immobiliari comprese nel condominio, e ciò può rendere possibile, semmai, una revisione delle tabelle millesimali".

Insomma, sia il Tribunale di Palermo - sezione distaccata di Carini, che la locale Corte di Appello avevano visto giusto, confermando la bontà dell'operato di una amministrazione condominiale ben capace di comprendere e interpretare un regolamento datato ma oltremodo preciso, che si era correttamente preoccupata di stabilire la suddivisione delle spese per quote uguali giacché correlate a vantaggi di cui i condomini avevano indistintamente beneficiato.

Torniamo allora alle tre paroline che completano il primo comma dell'articolo 1123 cod. civ.: "salvo diversa convenzione".

Come afferma la Suprema Corte nell'Ordinanza in esame, "i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall'art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, e la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce di natura contrattuale), ovvero in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità, o col consenso di tutti i condòmini".

Il Giudice di legittimità, con l'Ordinanza in commento, ritiene in sostanza che la natura delle disposizioni codicistiche non possa precludere l'adozione di discipline convenzionali atte a differenziare gli obblighi dei partecipanti nella concorrenza agli oneri di gestione del condominio, essendo possibile attribuire questi ultimi in proporzione maggiore o minore rispetto alle quote individuali di proprietà.

E ancora, in assenza di limiti posti dall'art. 1123 cod. civ., la deroga convenzionale al criterio dettato dalla norma in ordine alla ripartizione delle spese condominiali può finanche giungere a dividere in quote uguali tra i condomini gli oneri generali e di manutenzione delle parti comuni, e addirittura a prevedere l'esenzione totale o parziale per taluno dei condòmini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime.

Un concetto non nuovo, per gli addetti ai lavori. Già dieci anni fa, con sentenza n. 18477 del 9/8/2010 resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, si è osservato come "la sostanza della diversa convenzione ai sensi dell'art. 1123, comma 1 c.c., da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata".

Ne consegue - e si chiarisce dunque definitivamente - che l'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti una disciplina convenzionale di ripartizione delle spese ai sensi dell'art. 1123, comma 1, cod. civ., sia sindacabile in sede di legittimità "solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l'omesso esame di fatto storico ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.".

La chiarezza espositiva dell'Ordinanza dello scorso 7 ottobre non potrà dar luogo ad ulteriori equivoci. Con buona pace di tutti coloro che - impegnati esclusivamente a decodificare pregi e difetti di norme codicistiche e tabelle millesimali, omettono sistematicamente di effettuare con rigorosa attenzione le necessarie valutazioni interpretative in ordine ai regolamenti e alle unanimi volontà assembleari, verso cui - fortunatamente - viene lasciata per legge ogni più ampia discrezionalità alla comunità condominiale, in perfetta aderenza alle prerogative e concetto stesso di proprietà privata.

È legittima la modifica del riparto delle spese sulla base dei criteri indicati dalla legge?

Sentenza
Scarica Corte di cassazione ordinanza n. 24925 del 7 ottobre 2019-1
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