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Quando risponde il condominio per la caduta per le scale della condomina? A quale titolo? Quali sono i valori di riferimento?

Prova del nesso eziologico tra la cosa in custodia (vano scala) e la caduta.
Avv. Anna Nicola 

La condomina cita in giudizio il condominio per ottenere il risarcimento del danno a causa della caduta per le scale. Espone in particolare l'attrice che, in quelle circostanze di tempo e luogo, si procurava gravi lesioni fisiche, cadendo per via della disposizione insidiosa del vano scale che dal piano interrato conduce al piano terra.

Addebitando al convenuto una responsabilità a norma dell'art. 2051 c.c., conclude l'attrice affinché il Tribunale condannasse il Condominio per i danni subiti a seguito dell'incidente.

La fattispecie concerne il Tribunale di Milano n. 2956 del 5 aprile 2022.

Il condominio solleva eccezione di carenza di legittimazione passiva chiedendo di chiamare altro condominio e compagnia di assicurazione, il giudice dispone l'integrazione del contraddittorio, vengono assunte le prove, compresa la CTU medica e si arriva a decisione.

Il tribunale ritiene che l'attrice abbia provato gli elementi costitutivi delle domande proposte in giudizio.

Prova dell'an debeatur

Con riferimento all'an debeatur, in particolare, si osserva quanto segue. Nell'atto introduttivo del presente giudizio l'attrice afferma che, in data 15 aprile 2015, mentre arretrava per aprire la porta che si affaccia sul cortile interno del Condominio, cadeva nel vuoto a causa della posizione particolarmente insidiosa del vano scala e dell'assenza di un'apposita balaustra, oltre che di una qualsiasi segnalazione del pericolo.

L'attrice, in particolare, lamenta la carenza di manutenzione del predetto spazio condominiale da parte del Condominio convenuto, quale custode ex art. 2051 c.c., nonché il mancato rispetto, ad opera dello stesso, dei minimi requisiti di sicurezza e dispositivi di protezione confacenti allo stato dei luoghi.

La fattispecie prospettata dall'attrice rientra pertanto nell'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., relativo alla responsabilità per cose in custodia.

Giova premettere che, per consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l'art. 2051 c.c. configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva che prescinde da qualunque connotato di colpa.

Come ha recentemente affermato la Cassazione, "Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva" (Cass. civ., sez. VI, ordinanza n. 27724/2018).

Ed ancora, la Cassazione ha correttamente ritenuto che "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere" (Sentenze gemelle della stessa sezione 16 novembre 2017-1° febbraio 2018, n. 2480, n. 2481 e n. 2482).

Spetta dunque all'attore provare il nesso di causa tra la cosa in custodia e l'evento dannoso allegato secondo il disposto dell'art. 2697 cod. civ., oltreché la qualità di custode vigente in capo al convenuto.

Prova del nesso di causalità

Risulta provato il nesso eziologico tra la cosa in custodia (vano scala) e la caduta. In particolare, dai documenti prodotti e dall'espletata istruttoria, risultano provati lo stato insidioso dei luoghi e la dinamica del sinistro occorso, così come riportata nell'atto introduttivo del presente giudizio; dinamica che peraltro non risulta essere specificatamente contestata dal convenuto e dai terzi chiamati e che per l'effetto deve intendersi come pacifica e riconosciuta ai sensi dell'art. 115 c.p.c..

Pertanto, essendosi prodotto il danno quale naturale conseguenza della particolare condizione potenzialmente lesiva posseduta dal vano scala del Condominio convenuto, risulta provato il nesso di causalità materiale tra la cosa in custodia e l'incidente.

Il responsabile dell'evento

Il soggetto legittimato passivo, alla luce dell'istruttoria, non è il condominio, bensì i chiamati in causa.

In capo al Condominio convenuto non vige alcun rapporto di custodia relativo ai luoghi in cui si è verificato il sinistro, ma è altrettanto chiaro che detto rapporto di custodia debba essere ricercato nelle posizioni di Iupiter e Condominio Box, entrambe chiamate in causa dal convenuto principale.

Occorre chiarire preliminarmente se la chiamata vada inquadrata come chiamata in garanzia (propria o impropria) o come chiamata del terzo responsabile, anche al fine di stabilire l'operatività nella vicenda processuale del principio dell'estensione automatica del contraddittorio.

È noto che, a norma dell'art. 106 cpc, ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene la causa comune o dal quale pretende di essere garantita.

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Chiamata in causa: comune o garanzia

Nella prima ipotesi, la comunanza può consistere nell'identità dell'oggetto e del titolo tra il rapporto sostanziale dedotto e quello che fa capo al terzo. In questi casi, in genere, il convenuto nega la propria legittimazione passiva indicando come vero obbligato e responsabile il terzo che chiama in giudizio e di fatto instaura una controversia pregiudiziale nei confronti dell'attore e del terzo, connessa per oggetto e titolo con quella inizialmente contro di lui proposta.

Nella seconda ipotesi (chiamata in garanzia), ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo affinché questi risponda al suo posto in virtù di uno stesso titolo o di un legame diretto tra la causa principale e quella accessoria (c.d. garanzia propria); oppure la parte chiama in giudizio il terzo per fare in modo che questi sia chiamato a rispondere di quanto essa sia tenuta eventualmente a prestare alla controparte in caso di soccombenza, in base ad un titolo diverso ed indipendente da quello dedotto con la domanda principale o in base a un titolo connesso con il rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (c.d. garanzia impropria).

In questo ultimo caso, la responsabilità dell'uno e dell'altro traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diversi ed è esclusa l'esistenza di un legame tra preteso creditore e garante.

La differente qualificazione della chiamata in giudizio del terzo, lungi dall'essere operazione meramente descrittiva, si riversa sul piano degli effetti processuali e dell'operatività del principio dell'estensione automatica del contraddittorio.

Qualora il convenuto abbia chiamato in causa il terzo perché questi risponda al suo posto nella qualità di soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda si estende automaticamente al terzo intervenuto senza necessità di un'esplicita istanza in tal senso da parte dell'attore (Cass. n. 30601/2018; Cass. n. 3641/2013; Cass. n. 2094/2013; Cass. n. 5057/2010).

Il Giudice può, quindi, direttamente emettere nei confronti del terzo una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta senza incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass. n. 17954/2008).

In questo caso, si ha, dunque, un ampliamento della controversia originaria: oggettivo, in quanto la nuova obbligazione dedotta dal convenuto si inserisce nel tema della controversa, e soggettivo poiché il terzo chiamato diventa un'altra parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto (Cass. n. 6883/2008).

Inoltre, i diversi rapporti processuali diventano inscindibili, in quanto legati da un nesso di litisconsorzio necessario che non può essere scisso neppure in sede di impugnazione (Cass. n. 11946/2003).

Nel caso, invece, di chiamata in garanzia (propria o impropria) la domanda dell'attore non si estende automaticamente al terzo intervenuto, data l'autonomia sostanziale dei due rapporti anche se confluiti in un unico processo (Cass. n. 6623/2016).

Pertanto, se l'attore vuole proporre domanda anche nei confronti del terzo chiamato, deve formulare nei suoi confronti espressa e autonoma domanda, che potrà trovare fondamento anche in fatti diversi rispetto a quelli posti a base del rapporto di garanzia, avvalendosi della facoltà disciplinata dalla legge (Cass. n. 27525/2009; Trib. Milano 24 giugno 2011, n. 8526).

Tanto detto, nel qualificare la chiamata in causa del terzo in un senso o nell'altro, è costante in giurisprudenza l'orientamento per cui il Giudice non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo invece individuare l'effettiva volontà della stessa, e quindi il contenuto sostanziale della pretesa in ordine alle finalità in concreto perseguite, tenendo conto non solo della volontà espressamente formulata, ma anche di quella che possa implicitamente o indirettamente essere desunta dalle deduzioni e dalle richieste, dal tipo o dai limiti dell'azione proposta, dal comportamento processuale assunto (Cass. nn. 20610/2011, 8036/2004, 259/2005, 20912/2004, 14682/2001).

Quanto all'estensione automatica della domanda originaria dell'attore nei confronti del chiamato, indispensabile presupposto è l'unicità del rapporto controverso.

Tale presupposto non ricorre se il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'Attore come "causa petendi" della domanda e, nel caso di azione risarcitoria, se il chiamante deduca un titolo di responsabilità differente da quello dedotto dall'Attore.

Una situazione cosiffatta va invece assimilata a quella della chiamata in garanzia impropria, per la ragione che il chiamato viene coinvolto nel giudizio non già perché il chiamante ne deduca la responsabilità diretta ed esclusiva nei confronti dell'Attore, sulla base dell'unico rapporto fatto valere dall'Attore medesimo, bensì perché deduce un diverso rapporto connesso che comporta un obbligo di rilievo dalla responsabilità invocata nei suoi confronti con la domanda introduttiva.

Chiamata autonoma

Nel caso in esame, il Tribunale ritiene che la chiamata in causa dei terzi, proposta dal convenuto, sia da qualificare come l'esercizio di un'azione avverso un soggetto alternativamente obbligato nei confronti dell'attrice rispetto al Condominio stesso; pertanto, l'estensione del contraddittorio ai terzi chiamati, cui in ogni caso l'attrice non ha rinunciato ha natura automatica.

Quantum debeatur

Circa il quantum debeatur, il Giudice accoglie le conclusioni assunte dal C.T.U

Ai fini del risarcimento, il danno biologico deve essere considerato in relazione all'integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana (così la Corte Costituzionale n. 356/1991; v. altresì Corte Costituzionale n. 184/1986).

Un primo arresto della Cassazione a Sez. Unite (sentenza n. 26972-3-4-5/2008, c.d. "sentenze di San Martino"), ha statuito che, nell'ambito del danno non patrimoniale, è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, procedendo ad un'adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico in ragione dell'effettiva consistenza delle sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Successivamente la Suprema Corte (cfr. Cass., ord. "decalogo" n. 7513/2018) ha precisato che il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico relazionali). Il danno alla salute, quindi, non comprende i pregiudizi dinamico relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale, cui segue anche il danno da sofferenza soggettiva interiore.

In netto contrasto con le sentenze di San Martino 2008, i punti 8 e 9 dell'ordinanza "decalogo" n. 7513/2018 stigmatizzano: 8) "in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)"; 9) "ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione".

Questo indirizzo è stato confermato anche dalla sentenza Cass. n. 28989/2019 (che rientra tra le c.d. "sentenze San Martino 2019"), e da numerose altre fino alla recente sentenza Cassazione n n. 25164/2020.

Ne consegue pertanto che, ai fini della personalizzazione, il danno alla vita di relazione è risarcibile oltre la misura liquidata in base ai punti percentuali accertati in sede medico legale qualora si sia concretato non già in conseguenze comuni a tutti i soggetti che patiscano quel tipo di invalidità, ma in conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili; laddove, quindi, consista in una conseguenza straordinaria, specificamente allegata e provata dall'attore, non avente base organica e quindi estranea alla determinazione medico legale (cfr. ord. "decalogo" n. 7513/2018).

Con riguardo al quantum, la Cassazione ha statuito che, nella liquidazione del danno biologico, quando, come nella fattispecie concreta, manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziari.

Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono.

L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (Cass., sent. n. 12408/2011).

Ebbene dopo ampia analisi, l'Osservatorio di Milano ha ritenuto di rendere le tabelle compatibili con i nuovi orientamenti della Cassazione (segnatamente, con i menzionati munti 8 e 9 dell'Ordinanza cd. decalogo) e della Medicina legale e con gli artt. 138 e 139 Codice Assicurazioni.

A tal fine, nell'edizione 2021, si è proceduto ad una rivisitazione grafica della Tabella del danno non patrimoniale da lesione del bene salute e della (correlata) Tabella del danno definito da premorienza, fermi i valori monetari come aggiornati secondo gli indici ISTAT.

Per quanto riguarda la Tabella del danno da lesione del bene salute, l'Osservatorio, lasciando invariati i valori espressi nella seconda e quarta colonna della Tabella, ha apportato le seguenti modifiche:

a) nella terza colonna della Tabella (che nella edizione 2018 conteneva solo l'indicazione dell'aliquota percentuale di aumento del punto di danno biologico per la componente di sofferenza soggettiva) è stata aggiunta la specifica indicazione dell'aumento in termini monetari;

b) nella quinta colonna della Tabella (che nella edizione del 2018 recava solo l'ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale/sofferenza soggettiva) è stata aggiunta l'indicazione dell'importo monetario di ciascuna delle citate componenti;

c) infine, si è aggiornata la terminologia usata nell'intestazione delle colonne, prendendo atto che le voci di danno non patrimoniale, prima denominate "danno biologico" e "danno morale/sofferenza soggettiva", sono attualmente dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina definite, rispettivamente, come "danno biologico/dinamico-relazionale" e "danno da sofferenza soggettiva interiore" (media presumibile), ordinariamente conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica accertata.

Circa l'entità del risarcimento, il giudice liquiderà senz'altro l'importo indicato nella quinta colonna come compensativo del "danno biologico/dinamico-relazionale".

Dovrà invece valutare se l'importo indicato sempre nella quinta colonna, come presumibilmente compensativo del "danno da sofferenza soggettiva interiore media", sia congruo in relazione alla fattispecie concreta, diminuendolo, confermandolo o eventualmente aumentandolo sulla base di precise allegazioni e prova di circostanze di fatto, sempre tuttavia nell'ambito della forbice percentuale di personalizzazione indicata nell'ultima colonna della Tabella milanese.

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Sentenza
Scarica Trib. Milano 5 aprile 2022 n. 2956
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