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Attività di culto in condominio: quando lamentarsi è un diritto…non provato

Attività di culto in condominio e limiti del regolamento contrattuale.
Avv. Fabrizio Plagenza - Foro di Roma 

Ancora una volta, con una recente sentenza, la n. 1016 pubblicata il 19.8.19, l'Autorità Giudiziaria e, nello specifico, il Tribunale di Udine, è tornato ad occuparsi dell'attività di culto in condominio.

La questione, come noto, è delicata alla luce dei diritti e degli obblighi spettanti e gravanti su chi si trova, da un lato, ad esercitare un diritto costituzionalmente garantito e, dall'altro, a chi ritiene che, in ambito condominiale, debbano in ogni caso prevalere i diritti strettamente connessi all'immobile ed al bene comune.

I fatti di causa. Il Condominio conveniva in giudizio la proprietaria di un'unità immobiliare sita nello stabile condominiale, concesso in locazione nonché la conduttrice del predetto immobile, chiedendo che venisse ordinata, ad entrambe solidalmente, l'immediata cessazione della destinazione illegittima data al bene, adducendo la violazione del regolamento condominiale.

In particolare. il Condominio esponeva che il locale era condotto in locazione da un'associazione culturale il cui statuto prevedeva, tra le altre una serie di attività di utilità sociale prestate a favore degli associati o di terzi tra cui "assistenza morale ed economica ai propri associati e loro familiari anche nel Paese di origine in caso di malattia grave che impedisca di svolgere un'attività lavorativa o in caso di morte; accoglienza ed aiuto degli immigrati appena giunti in Italia; promozione di attività di formazione ed educazione dei figli degli immigrati appena giunti in Italia per agevolare l'inserimento sociale e scolastico e la conoscenza della propria cultura di origine".

In sostanza, il Condominio agiva in giudizio allegando - a suo dire - la prova che l'immobile era stato destinato, astrattamente e concretamente, a luogo di culto.

Tale circostanza, secondo la tesi attorea, si poneva in contrasto con l'art. 4 del regolamento condominiale che prevedeva che gli appartamenti dovessero essere destinati ad uso di abitazione e che "potranno essere destinati ad uso di studio professionale, ambulatorio medico ed uffici in genere, con la precisazione che destinazioni diverse dovranno ottenere la preventiva autorizzazione dell'assemblea con la maggioranza dei due terzi del valore dell'edificio". Non risultava, di fatto, che fosse stata richiesta alcuna preventiva autorizzazione.

I limiti alla proprietà privata imposti dal regolamento contrattuale

Si costituivano in giudizio sia la proprietaria del locale commerciale che l'Associazione conduttrice dell'immobile, che chiedevano il rigetto della domanda, eccependo, in particolar modo, che il Condominio non aveva fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, esponendo che l'Associazione non avrebbe svolto alcuna delle attività vietate dall'art. 4 del regolamento condominiale e che, le disposizioni regolamentari che precludono determinati utilizzi dei locali in proprietà esclusiva "sono di strettissima e rigorosa interpretazione" e dunque le disposizioni regolamentari del Condominio non potevano apparire chiare, né risultava provata la destinazione del locale, astrattamente e concretamente a luogo di culto.

Inoltre, per i convenuti, il regolamento condominiale non escludeva esplicitamente e chiaramente l'attività e, "quand'anche l'associazione esercitasse un'attività di culto nei propri locali", ciò non costituiva di certo "una modifica della destinazione d'uso dell'immobile incompatibile con il regolamento condominiale".

In ogni caso, veniva negato il fatto che tra le attività dell'associazione vi fosse quella di svolgere attività di culto "ed ammesso che ciò avvenga - sostenevano i convenuti - non costituisce di certo attività tale da determinare disturbo fino al punto da configurare immissioni eccedenti la normale tollerabilità".

La decisione. Diciamo subito che la decisione del Tribunale, prima che entrare nel "vivo" della questione, culturale e costituzionale prima che di merito, ha inequivocabilmente evidenziato le lacune sul piano probatorio.

Ha, infatti, ritenuto che la domanda attorea fosse manifestatamente infondata, evidenziando la genericità dell'atto introduttivo del giudizio e la mancanza di contestazione specifica, da parte del Condominio, sui fatti allegati dai convenuti.

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Di talché, il Condominio non aveva fornito la prova dei fatti introdotti con l'atto di citazione.

Né poteva darsi rilievo al tentativo ad opera del Condominio, ritenuto tardivo, di "correggere" il tiro, cercando mi modificare e precisare la domanda in corso di causa.

Il Condominio non ha dedotto né fatti specifici né circostanze che potessero poi tramutarsi in capitoli di prova ed essere confermate dalla prova testimoniale.

Per il Tribunale di Udine, sulla base di quanto era emerso, poteva dunque affermarsi che l'attività indicata nell'art. 4 dello statuto dell'Associazione non rientrava tra le destinazioni vietate di cui al comma 4 dell'art. 4 del regolamento che vietava che gli appartamenti e gli altri locali siano destinati ad uso di ambulatorio per malattie mentali ed infettive, scuola di musica, canto e ballo, laboratorio rumoroso, sia diurno che notturno. "Il Condominio, ripetesi, non ha rappresentato alcun episodio o dedotto alcun fatto di segno contrario all'attività svolta dall'Associazione.

Né può ritenersi sufficiente in tal senso affermare che le attività statutarie dell'associazione siano svolte anche in orario notturno".

Quanto alla "serenità condominiale", il Giudice non riteneva (anche per difetto di prova contraria) che l'esercizio dell'attività di culto possa, da un lato, costituire turbativa della tranquillità dei Condomini e sia contraria all'igiene e al decoro dell'edificio e, dall'altro, possa ritenersi estranea all'attività dell'Associazione poiché tra le varie finalità dell'associazione vi è anche quella di formazione ed educazione dei figli degli immigrati al fine di agevolare la conoscenza della propria cultura d'origine che - ed è fin troppo ovvio — comprende anche l'insegnamento della religione ed attività di culto.

Merita rilievo, inoltre, il passaggio con cui viene riportata all'evidenza la giurisprudenza intervenuta in casi analoghi, che ha ritenuto "ammissibile la destinazione data ad un seminterrato di un edificio condominiale - legittimamente destinabile, per norma regolamentare, ad uso commerciale - a centro culturale e di pratica religiosa in quanto le attività culturali e religiose, anche se diverse da quelle dominanti nel nostro Paese, attengono alle manifestazioni più elevate dello spirito e non sono tacciabili di ledere il decorso 0 di perturbare la tranquillità dell'edificio" (Corte appello Milano, 23.7.1991) e "I divieti previsti dal regolamento di condominio hanno carattere esemplificativo ma rispecchiano una ratio comune essendo indirizzati — tutti - allo scopo di tutelare il decoro e la tranquillità del caseggiato.

Intanto, l'assemblea non può introdurre a maggioranza un divieto ulteriore alla destinazione dei beni di proprietà esclusiva rispetto a quelli già previsti.

Vale a dire che l'assemblea non può vietare in via generale di destinare i locali a luogo di culto, postulando siffatto divieto che detta destinazione sia contraria alla tranquillità del caseggiato con una valutazione astratta ed aprioristica - fondata su di una premessa di fatto errata - ovvero che tutti i luoghi di culto siano contrari alla tranquillità del caseggiato - che conduce ad una conclusione di diritto non condivisibile, comprimendo i poteri di godimento dei proprietari oltre il limite consentito dal regolamento di condominio che fa riferimento al decoro ed alla tranquillità del caseggiato" (Corte Appello di Genova 13.1.2017 n.30).

In un recente articolo, avevo già affrontato l'argomento evidenziando come per giurisprudenza, un divieto alla presenza in condominio di un luogo di culto, che sia una moschea o altro, non potrà essere contenuto nel regolamento assembleare; viceversa, una limitazione in tal senso potrebbe esser disposta da un regolamento contrattuale, anche alla luce della giurisprudenza che sostiene questa tesi (cfr. Cass. 19229/2014; Cass. 21307/2016, Cass. 20237/2009; Cass. 16832/2009; Cass. 9564/1997; Cass. 1560/1995; Cass. 11126/1994; Cass. 23/2004; Cass. 10523/2003).

Ma la questione sottesa non può, in ogni caso, confrontarsi con i principi costituzionalmente garantiti e, nello specifico, avuto riguardo alla libertà di culto (art. 19 Cost.).

Quanto all'esito del giudizio di cui alla sentenza in commento, potremmo concludere invocando l'onere della prova anche per la preghiera.

Sentenza inedita
Scarica Tribunale di Udine n. 1016 del 19.8.19
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