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Ragioni di decoro, igiene e di tranquillità bloccano l'apertura del bar in condominio

Regolamento di condominio e limiti di destinazione d'uso.
Dott.ssa Marta Jerovante - Consulente Giuridico 

Le disposizioni regolamentari che incidono nella sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condominio (quali, ad esempio, quelle relative alla destinazione d'uso delle proprietà esclusive) hanno natura contrattuale e possono perciò essere modificate soltanto per iscritto e con il consenso unanime di tutti i condomini, essendo esse costitutive di oneri reali, o di servitù prediali da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari dell'edificio condominiale (Cass. civ., 18 aprile 2002, n. 5626).

Attività di affittacamere in condominio nonostante il divieto imposto dal regolamento. Analisi

Va infatti tenuto ben presente il principio secondo il quale le norme del regolamento assembleare non devono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 (art. 1138, comma 4, c.c.)? oltre che degli artt. 63, 66-67, 69 disp. att. c.c. (art. 72 disp. att. c.c.); il regolamento assembleare non può, in definitiva, contenere limitazioni o divieti alla destinazione o utilizzabilità delle proprietà esclusive, oppure criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli previsti dal codice civile: tali deroghe sono ammesse soltanto ove risultino deliberate all'unanimità.

Non solo: il regolamento di condominio, anche quando abbia natura contrattuale - in quanto approvato con consenso unanime dalla compagine assembleare -, non può comprimere irrazionalmente la naturale espansività del diritto dominicale dei condomini.

Il caso La proprietaria di un'unità immobiliare condominiale citava in giudizio il proprietario di un locale sito al pianterreno dello stabile e la conduttrice dello stesso immobile che vi svolgeva l'attività di bar.

In virtù della clausola regolamentare, secondo cui i locali posti al piano terreno non possono essere "adibiti a quelle forme di attività commerciali che possano risultare moleste, per ragioni di decoro, di igiene e di tranquillità (e cioè straccivendolo, rigattiere, osteria, pescheria, riparazione veicoli, vendita motocicli)", l'attrice chiedeva la cessazione della citata attività o, in subordine, la cessazione o la limitazione dei rumori, con condanna al risarcimento dei danni.

Nel corso del giudizio, il Comune, ammessa ed espletata la CTU richiesta dalla parte attrice al fine di accertare l'eventuale superamento della normale tollerabilità delle immissioni sonore prodotte dal bar, disponeva la limitazione oraria all'esercizio dell'attività in questione, imponendo la chiusura alle ore 22.00 (fino a quel momento aperto sino alle 00.30-1.00 nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì, fino alle ore 20.00 nei restanti giorni).

Il Tribunale, ritenendo la domanda attorea non fondata e comunque la questione risolta per effetto dell'ordinanza sindacale, la respingeva, negando altresì il riconoscimento della pretesa risarcitoria (per mancanza di prove del danno lamentato e, in ogni caso, del nesso di causalità tra l'asserito danno e le contestate immissioni sonore).

 Continua [...]

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Sentenza inedita
Scarica Corte di Appello di Bologna, 6 ottobre 2017, n. 2266
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