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Questo è mio e me lo gestisco io. Condominio e beni comuni: uso e limiti all'utilizzo

Parti comuni: uso e limiti all'utilizzo da parte del singolo condomino.
Avv. Paolo Accoti 

Negli immobili in condominio coesistono sempre beni di esclusiva proprietà dei singoli condòmini e beni invece riferibili all'intera collettività.

Per le proprietà private nulla quaestio, ogni singolo proprietario/condomino può utilizzare a piacimento il suo immobile, fatti salvi i vincoli eventualmente disposti dal regolamento condominiale contrattuale – generalmente richiamato negli atti di acquisto – ovvero da quello assembleare, ma solo quando è approvato da tutti i partecipanti al condominio.

Per quanto concerne i beni comuni l'utilizzo, normalmente disciplinato dal regolamento condominiale se presente (è obbligatorio quando il numero dei condomini è superiore a dieci ex art. 1138 c.c.), è concesso a tutti i condòmini indistintamente.

Beni comuni risultano, ai sensi dell'art. 1117 c.c., se il contrario non emerge dal titolo:

1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;

2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;

3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

Diciamo subito che una speciale disciplina è prevista, dall'art. 1122 -bis c.c., in materia di interventi effettuati dal singolo condominio sulle parti comuni dell'edificio per quel che concerne le antenne o parabole e quelli relativi alle energie rinnovabili, sostanzialmente il riferimento è ai pannelli solari.

A tal proposito, infatti, è stabilito che le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e, in generale, per i flussi informatici, ivi compresi i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze, sono consentiti nei limiti in cui rechino il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio.

Allo stesso modo è consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato.

Nel caso in cui per siffatte installazioni sia necessaria una modificazione delle parti comuni, è necessario che il condomino dia comunicazione in tal senso all'amministratore, al quale deve indicare dettagliatamente la tipologia e la modalità di esecuzione dell'intervento.

Riteniamo che se l'installazione senza necessità di modifiche è liberamente realizzabile dal condomino, non altrettanto può dirsi delle installazioni che abbisognino di modifiche delle parti comuni.

La comunicazione delle modifiche all'amministratore, infatti, non è fine a se stessa, bensì diretta al vaglio e all'approvazione da parte dell'assemblea, la quale delibererà con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio (art. 1136 co. V c.c.), trattandosi di innovazione finalizzata al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 co. I c.c.).

Con la stessa maggioranza, peraltro, l'assemblea può prescrivere modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio.

A richiesta degli interessati, e con riferimento all'installazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile, la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio delibera in merito alla ripartizione dell'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.

L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.

Per la realizzazione degli anzidetti impianti, i proprietari delle unità immobiliari devono, in caso di necessità rinveniente dalla progettazione e dall'esecuzione delle opere, consentire l'accesso attraverso le loro abitazioni.

Per inciso, interessante notare come il legislatore abbia stabilito – ragionevolmente – per le innovazioni riguardanti il singolo condomino delle maggioranze più elevate, rispetto a quelle concernenti la totalità degli stessi.

Tanto è vero che, per le medesime innovazioni afferenti le installazioni radiotelevisive centralizzate, la maggioranza richiesta è quella di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c. e, pertanto, la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio.

Ferma restando la speciale disciplina appena esaminata, in linea di principio ad ogni singolo condomino è consentito anche un uso più intenso della cosa comune, quand'anche con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, fatti salvi, come detto, gli eventuali limiti imposti dal regolamento.

Il principio si rinviene dall'art. 1102 c.c., per il quale, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.

Ad ogni modo, il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti.

Ciò posto, si rileva come la norma stabilisca un duplice limite all'utilizzo della cosa comune da parte di ogni singolo condominio: 1) non alterare la destinazione del bene; 2) non impedire agli altri comunisti il pari uso.

Per costante principio giurisprudenziale, per limitazione delle facoltà di godimento da parte degli altri condomini, non deve intendersi solo quello di fatto esercitato, ma anche quello cui la cosa comune per le sue oggettive caratteristiche potenzialmente si presti (Tra le tante: Cass. nn. 9875/2012, 22341/09, 5753/07), pertanto, l'uso del bene comune da prendere a riferimento per verificare l'eventuale lesione del diritto degli altri condomini, è quello potenziale e non l'effettivo.

Tanto è vero che: “In tema di uso della cosa comune, per verificare se l'utilizzo diretto e più intenso da parte di un condomino sia legittimo ex art. 1102 cod. civ. e non alteri il rapporto di equilibrio tra i partecipanti, occorre aver riguardo non tanto alla posizione di coloro che abbiano agito in giudizio a tutela del loro diritto, quanto all'uso potenziale spettante a tutti i condomini, proporzionalmente alla rispettiva quota del bene in comunione” (Cass. civ., 23/06/2014, n. 14245).

La conseguenza pratica di ciò è che l'autorizzazione dell'organo assembleare ben si pone come necessaria, allorché ci sia da valutare se l'installazione per le modalità con le quali deve avvenire costituisca o meno pregiudizio per il decoro architettonico, utilizzo improprio di bene comune e, in genere, pregiudizio per gli interessi comuni degli altri condomini (In tal senso: Trib. Nocera Inferiore, 03/07/2013), laddove invece le innovazioni, ovvero le nuove opere da realizzare, non mutino la sostanza e non alterino la destinazione delle parti comuni in quanto rendano possibile l'utilizzazione secondo la funzione originaria senza incidere sul decoro architettonico o la statica dell'edificio, ai sensi dell'art. 1102 c.c. possono essere apportate dal singolo condomino a proprie spese per conseguirne un uso più intenso senza necessità che debbano essere deliberate dall'assemblea condominiale (Cfr.: Trib. Padova, 21/03/2014).

Da ultimo, la Corte di Cassazione si è spinta anche oltre, giungendo ad affermare come l'utilizzo della cosa comune può essere legittimo anche quando si concretizza in un limitato, e non pregiudizievole, uso esclusivo del bene, ferma restando in tali casi la necessità della preventiva approvazione assembleare.

Tant'è vero che: “L'uso più intenso della cosa comune può estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima, poiché l'utilizzo va rapportato alla funzione della res communis, di talché se esso non incide sulla sostanziale fruibilità della cosa da parte degli altri condomini, deve ritenersi pienamente legittimo.

Al contrario opinando si perverrebbe ad affermare la legittimazione di azioni sostanzialmente emulative, perché prive di apprezzabile interesse, da parte del singolo condomino nei confronti della comunità condominiale” (Cass. civ., 04/05/2015, n. 8857).

Riassumendo, pertanto, fermi restando i limiti quantitativi e qualitativi all'utilizzazione da parte dei singoli condomini della cosa comune, relativi al pari uso del bene e alla non alterazione della normale destinazione della cosa, detto uso non presuppone un utilizzo uguale, identico e contemporaneo del bene comune, ma solo attuale e potenziale, secondo un principio di ragionevolezza in merito all'utilizzo che gli altri condomini devono poter ugualmente fare.

Utilizzo che può estendersi anche ad un limitato uso esclusivo del bene che, tuttavia, non deve incidere sulla concreta fruibilità del bene da parte degli altri condomini.

Diversamente opinando, si avrebbe una sostanziale immodificabilità della cosa comune da parte del singolo condomino, con la conseguente inutilizzabilità in modo più intenso rispetto agli altri.

In termini pratici, è consentito ad esempio al singolo condomino:

l'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale (Trib. Trento, 16/05/2013); l'uso dei cortili per l'accesso e la sosta di veicoli, ove le caratteristiche e le dimensioni lo consentano ed i titoli non vi ostino (Cass., 15/06/2012, n. 9875); l'installazione nel muro perimetrale comune di una cassetta della posta e di una pulsantiera citofonica personale (App. Roma Sez.

IV, 20/04/2011); l'installazione di due pensiline al di sopra dei balconi annessi all'immobile di proprietà dei condomini, incastrate nella muratura portante e sormontate da una copertura in coppi, con relativo canale di gronda per la raccolta ed il deflusso di acque piovane (Trib. Bologna, 14/02/2011); l'installazione, nel muro di confine comune, di un meccanismo fotocellulare per l'apertura automatica del cancello inserito nel muro, non sporgente all'interno del fondo prospiciente il lato opposto del muro stesso (Cass., 21/10/2009, n. 22341); l'installazione di un ascensore nel condominio di un edificio, con o senza delibera di supporto, a seconda che il regolamento condominiale richieda o meno la relativa autorizzazione (App.

Napoli, 27/03/2009); la realizzazione di un box per l'alloggio di una caldaia sul tetto (Trib. Tivoli, 27/01/2009).

Al contrario, non è consentito, anche in presenza di un'eventuale deliberazione favorevole adottata a maggioranza:

Napoli, 22/03/2010); la trasformazione - anche solo di una parte - del tetto dell'edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino (Cass., 12/03/2007, n. 5753); l'installazione, a servizio del proprio laboratorio, di un macchinario sul cortile del fabbricato, che stabilmente occupati una determinata superficie dell'area comune condominiale (Cass., 6/11/2006, n. 23608).

STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI

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