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Home-restaurant, bed and breakfast e divieti del regolamento condominiale. Verso nuovi orizzonti interpretativi

Le nuove attività commerciali in condominio e il vulnus delle norme del regolamento.
Avv. Rosario Dolce del Foro di Palermo 

Tipologie di regolamenti a confronto. Il regolamento condominiale è disciplinato dall'articolo 1138 codice civile e consta dell'atto che lo consacra tangibilmente. Si discorre di regolamento "contrattuale" qualora lo stesso sia stato accettato da tutti i condòmini, nessuno escluso.

La genesi formativa coincide, in genere, con il consenso prestato dalle parti in sede di compravendita della unità immobiliare.

Il regolamento "contrattuale" per dirsi tale deve essere poi sicuramente richiamato all'interno del rogito notarile e/o nella nota di trascrizione.

Si può anche verificare il caso in cui il regolamento anche se non materialmente inserito nel testo del successivo contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio, fa corpo con esso, in quanto richiamato per relationem (tra le tante, App. Milano, 1 febbraio 2006).

Il regolamento "assembleare", diversamente, è il "testo" approvato dall'assemblea secondo le maggioranze di cui all'articolo 1136 2° comma c.c..

In quanto tale l'atto è riconducibile mediamente a tutti i condòmini anche in virtù del principio di non contestazione e/o acquiescenza.

Le differenze. Tuttavia la vera differenza tra i due tipi di "atto" si conviene nella portata ed efficacia delle rispettive clausole, o meglio di talune di esse. Mentre le norme del regolamento contrattuale sono in grado, di incidere sulla proprietà privata e quindi di comprimerla - se del caso con previsioni stringenti (si pensi ai divieti di destinazione d'uso) - quelle di natura assembleare possono al più rispondere alla disciplina sulla gestione dei beni comuni.

I divieti "classici" e il vulnus delle nuove attività commerciali. Per quanto è dato qui interessare le norme del regolamento contrattuale sono in grado di inibire, se previste, lo svolgimento all'interno dell'edificio condominiale, o meglio all'interno delle singole unità immobiliari di cui esso consta, di specifiche attività, quali, a titolo esemplificativo, gli alloggi per attività di gabinetti medici e per la cura di malattie infettive, locali sanatorio, pensione e locanda. Il vulnus di simili previsioni regolamentarie - in genere elaborate negli scorsi decenni, prima della costruzione degli attuali fabbricati - riguarda però la relativa "attualizzazione": difatti, residuano ampi dubbi sulla relativa estensione alle nuove "vesti" commerciali assunte dalle stesse attività.

Si pensi, ad esempio, al Bed and brekfast o l'affittacamere in quanto attività potenzialmente riconducibili all'interno di quella che una volta era definita "Pensione"; ovvero all'attività di "home restaurant" rispetto quella improntata originariamente come semplice "locanda".

Le risposte da dare a simili quesiti non sono però sempre scontate e la giurisprudenza, in punto, pare ondivaga. Per tentare, allora, di porre chiarezza possiamo condividere le tecniche utilizzate dai giudici per addivenire ad una soluzione.

Il presupposto su cui iniziare l'indagine è quello, innanzitutto, di catalogare le norme del regolamento per tipologia o funzione. Ebbene, di solito, i divieti ed i limiti di destinazione impresse alle proprietà individuali sono formulati nei regolamenti condominiali:

  • sia mediante elencazione delle attività vietate (ad esempio: pensione, locanda, discoteca, cinema, sala da ballo, scuola di canto o di musica, studio medico, postribolo, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, uffici aperti al pubblico, ecc.);
  • sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare (ad esempio: turbamento della quiete, dell'amenità e della tranquillità dei condomini, contrarietà all'igiene, alla signorilità ed al decoro dell'edificio, ecc. - non escludendo che si possa anche imporre specifiche destinazioni quali le attività industriali o commerciali, vendita al minuto o all'ingrosso, ecc.).

Nella prima ipotesi, è sufficiente, per stabilire se una data destinazione sia vietata o limitata, verificare se la stessa destinazione sia inclusa o meno nell'elenco tassativo. In questo caso si ritiene che, già in sede di redazione del regolamento, siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi rispetto alle singole date previsioni.

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Quindi, la semplice indicazione di una data destinazione delle unità immobiliari non può precluderne altre diverse, neppure in via estensiva (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4125).

Ciò perché la restrizione della sfera di dominio dei condomini sui beni di loro proprietà esclusiva è conseguibile con necessarie specifiche dichiarazioni di volontà, desumibili in modo chiaro, manifesto ed esplicito (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905).

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In altri termini le clausole, che inibiscono determinati usi delle unità immobiliari, limitano il diritto dominicale, comprimendo facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli, non possono essere assoggettate ad un'interpretazione estensiva (Cass. civ., sez.

II, 14 marzo 1975, n. 970 per la quale il divieto di adibire un immobile a "recapito professionale" non comprende anche quello di ambulatorio medico; più di recente, Cass. civ., sez.

II, 30 giugno 2011, n. 14460, che, a fronte di un divieto di destinare gli appartamenti ad uso di "gabinetto di cura malattie infettive o contagiose", ha ammesso la possibilità di adibire l'immobile a studio medico dermatologico; in ordine a peculiari fattispecie, tra le pronunce di merito).

Nella seconda ipotesi sopra trattata, rientrano le norme che precludono l'attività vietata non in sé, bensì in relazione al danno potenzialmente cagionabile alle parti comuni o ai singoli.

In questo caso è necessario accertare l'effettiva capacità della destinazione impressa all'immobile a produrre gli inconvenienti che si è voluto evitare nel regolamento.

Nondimeno, anche qui, al fine di eliminare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, le limitazioni de quibus devono risultare "da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibili di dar luogo ad incertezze" (così Cass. civ., sez.

II, 1 ottobre 1997, n. 9564, nel caso di un locale avviato a laboratorio per la preparazione e lo spaccio di prodotti suini, in cui si evidenziava che, dall'intrapresa attività, derivavano vibrazioni, cattivi odori, rumori, gravi disagi, anche per la sporcizia in cui venivano a trovarsi gli abitanti dell'edificio, a fronte del regolamento che proibiva qualsiasi «uso contrario all'igiene ed alla moralità»; conforme: Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2014, n. 19229; Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 3002; Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20237; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17893; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1995, n. 1560).

In conclusione, la definizione del quesito che ci siamo posti ammette una soluzione a "doppio binario": cioè senza la possibilità di affermare univocamente una tesi piuttosto che un'altra.

In effetti, laddove si aderisca alla tesi giurisprudenziale per cui i divieti alla proprietà privata, in quanto bene di rango costituzionale, per essere legittimi devono essere specifici - poiché non si è in grado di fornire una interpretazione estensiva ai medesimi -, allora, si dovrebbe convenire verso la tesi dell'impossibilità da parte del condominio e/o dei condòmini di poter opporre ad un altro partecipante il diritto di destinare il proprio immobile allo svolgimento di un'attività non esplicitamente vietata, anche laddove riconducibile al B&B o all'home-restaurant a fronte dei corrispettivi "Pensione" e "Locanda".

Viceversa, laddove si aderisca alla tesi del cumulo "controfattuale" per cui l'analisi del divieto va posta in correlazione alla ratio della norma e al suo ambito sistematico e soggettivo, allora, la conclusione che si potrà trarre dalla vicenda potrebbe essere inversa, nel senso di

ritenere vietate anche le attività incompatibili con i limiti imposti dalle norme - ad esempio alla quiete, al decoro, all'uso contrario all'igiene, allo svolgimento di attività imprenditoriali, etc - laddove mediamente riconducibili all'esercizio di attività quali quelle in disamina (B&B o all'home restaurant).

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