In molti fabbricati, il regolamento condominiale in vigore non si limita a disciplinare l'uso delle cose comune e a dettare le norme da rispettare per il decoro dell'edificio, ma arriva anche a comprimere le facoltà di godimento delle proprietà esclusive.
In un regolamento, quindi, si può leggere che il titolare/condòmino dell'immobile non può destinare la proprietà ad uso ufficio o ad attività commerciale, essendo essenziale mantenere, esclusivamente, la destinazione abitativa nel cespite. Oppure, viene sancito il divieto di svolgere negli appartamenti determinate attività ricettive, quale quella di bed and breakfast.
Ovviamente, è innegabile che questi limiti, ove previsti, incidono sulla possibilità di utilizzare, liberamente, la proprietà privata. Pertanto è molto importante stabilire in che modo questi vincoli possono essere imposti.
Ebbene, si è espressa sull'argomento una recente sentenza della Corte di Appello di Milano. Sto parlando del provvedimento n. 799 del 9 marzo 2022, con il quale l'ufficio meneghino ha risolto un contrasto sull'applicazione di un regolamento condominiale in un edificio milanese.
Non mi resta, perciò, che descrivere più approfonditamente il caso concreto.
Regolamento, limiti alla proprietà e opponibilità: il caso concreto
In un condominio, il proprietario di un immobile al pian terreno concedeva il bene in locazione affinché il conduttore lo utilizzasse come ristorante. Tale circostanza, però, preoccupava gli altri proprietari.
Essi, infatti, riunitisi in assemblea, deliberavano di reagire a questa situazione, anche mediante un legale, visto che il regolamento vietava di «impiegare i locali destinati a solai-sottotetti, cantine, garage, magazzini, negozi, per un uso diverso da quello cui sono destinati». A questo punto, il locatore impugnava la detta assemblea, invocandone la nullità.
Il giudizio si svolgeva dinanzi al Tribunale di Milano, dove si costituivano sia il condominio sia il conduttore del cespite. Al termine del primo grado, il magistrato concludeva per l'accoglimento della domanda, riconoscendo la nullità del deliberato.
Era, perciò, inevitabile l'appello per il condominio, visto che l'ente non accettava il fatto che il regolamento e la citata clausola limitativa non potessero avere efficacia nei riguardi di un soggetto ritenuta conoscenza del predetto peso.
Ebbene, la Corte di Appello di Milano ha confermato il primo giudizio. L'ufficio de quo ha sancito, per la seconda volta consecutiva, che non era stata data prova che la proprietaria dell'immobile al piano terreno avesse esplicitamente accettato o dichiarato di conoscere il vincolo per cui si era discusso.
Regolamento condominiale contrattuale: le servitù atipiche
È opinione diffusa e pacifica nella giurisprudenza che le clausole limitative della proprietà individuale, contenute in un regolamento condominiale contrattuale, siano delle servitù atipiche, in quanto non incidono sull'estensione del diritto, ma solo sul suo esercizio «La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni "propter rem", difettando il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio (Cass. n. 21024/2016)».
Trattasi, perciò, di un peso che influisce sulla possibilità di utilizzare l'immobile. Non è, infatti, possibile destinare i locali ad un uso diverso da quello descritto nella clausola. Una limitazione non da poco che riguarda, innanzitutto, coloro che hanno sottoscritto il regolamento e/o che l'hanno accettato così come predisposto dal costruttore.
Cosa accade, però, per gli aventi causa dagli originari condòmini vincolati dal regolamento contrattuale? Essi dovranno, ugualmente, rispettare la servitù atipica, ove prevista, e, in caso affermativo, a quali condizioni?
Regolamento condominiale contrattuale: opponibilità delle servitù atipiche
Secondo un orientamento giurisprudenziale, per opporre ai terzi acquirenti una servitù atipica prevista da un regolamento condominiale contrattuale, sarebbe sufficiente il richiamo o la menzione del medesimo nell'atto di acquisto «la limitazione ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. civ. n. 1921/2016)».
Per la Corte di Appello di Milano e secondo altre decisioni della Cassazione, è, invece, necessario qualcosa in più.
L'ufficio meneghino, infatti, afferma che, al fine di rendere opponibile una clausola del regolamento condominiale con cui si limita l'esercizio del diritto sulle proprietà individuali, è necessario che la stessa sia stata specificatamente trascritta nei registri immobiliari.
Se ciò non è avvenuto, la disposizione può essere imposta all'acquirente soltanto se questi prende esplicitamente atto della medesima nella propria compravendita «Tale certezza di conoscenza, come ha precisato la Corte di Cassazione, in assenza di trascrizione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto delle specifiche clausole limitative ex artt. 2659, co. 1 n. 2 e 2665 c.c. […] queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto (Cass. sent. n. 6769/2018)».
Per la Corte di Appello di Milano, non è, invece, sufficiente il rinvio al regolamento o la trascrizione in toto del medesimo per imporre ai terzi acquirenti una servitù atipica prevista in esso «l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., "non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale".
Quindi, ai fini della certa opponibilità, l'atto da trascrivere nei registri immobiliari non è il regolamento condominiale ma le singole convenzioni costitutive di servitù previste nel regolamento».