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Può un condomino ricavare nuovi locali o ingrandire quelli esistenti nel sottosuolo del condominio?

La Suprema Corte ritorna ad esaminare il problema dell'escavazione in condominio.
Avv. Caterina Tosatti 

Interessante l'ordinanza n. 1561 del 19 gennaio 2023, emessa dalla Sezione VI della Corte di Cassazione, la quale, pur dichiarando inammissibile il ricorso introduttivo del procedimento, ha esaminato il tema dell'utilizzo del sottosuolo da parte dei condòmini.

La pronuncia

Un Condominio aveva ottenuto pronuncia di condanna nei confronti del condomino Tizio per aver costui realizzato opere nel sottosuolo condominiale, con imposizione di ripristino dello status quo ante.

Tizio impugna la pronuncia di primo grado e, avendo la Corte d'Appello rigettato il gravame, ricorre per Cassazione.

Secondo Tizio, il Tribunale non aveva tenuto conto del fatto che la porzione da lui ricavata nel sottosuolo dell'edificio condominiale poteva essere destinata ad esclusivo godimento della sua proprietà, con conseguente inoperatività del principio di cui all'art. 1117 c.c. Inoltre, Tizio sostiene che i proprietari della colonna interessata dall'edificazione avevano prestato il loro tacito consenso all'esecuzione dell'opera oggetto di causa ed erano comunque edotti della realizzazione dell'opera stessa, deducendo, in merito, che la costruzione realizzata dal proprietario sul suolo comune diviene, per accessione, di proprietà comune (a tutti gli altri condòmini, in uno con quello che edifica, N.d.A.) soltanto ove non risulti un accordo contrario, come sarebbe avvenuto nella fattispecie.

Tizio evidenzia che i lavori eseguiti -come certificato anche dal C.T.U. nominato in corso di causa- non avevano causato alcun danno alle strutture dell'edificio (questo perché il Condominio, in primo grado, aveva avanzato domanda riconvenzionale di risarcimento del danno causato alle strutture comuni).

Infine, Tizio si duole del rigetto dell'eccezione riconvenzionale di usucapione dei beni controversi, dei quali egli aveva acquisito il possesso non in modo clandestino, bensì pubblicamente, avendo provveduto a chiedere regolare licenza per la realizzazione degli interventi nel sottosuolo dell'edificio.

La Cassazione, con la pronuncia di cui sopra, dichiara il ricorso inammissibile, ritenendo sostanzialmente valide le motivazioni addotte dalle sentenze di merito, in particolare, dalla sentenza della Corte d'Appello oggetto di impugnativa.

Proprietà comune o privata e titolo contrario, repetita iuvant

I punti salienti della pronuncia di appello, ripercorsi dall'estensore dell'ordinanza, sono i seguenti:

  • Tizio non aveva documentato l'esistenza di un titolo contrario, idoneo a vincere la regola di attribuzione della proprietà del sottosuolo dell'edificio condominiale a tutti i partecipanti al condominio, prevista dall'art. 1117 c.c.;
  • la realizzazione di un locale interrato, mediante scavo nel sottosuolo dell'edificio condominiale, non era avvenuta sulla base di un regolamento negoziale tra Tizio e gli altri partecipanti al condominio;
  • di fronte ad una condotta sostanzialmente appropriativa di una parte di un bene comune - il sottosuolo dell'edificio condominiale- non poteva configurarsi un uso più intenso della cosa comune, ammesso dall'art. 1102 c.c.;
  • non sussistevano, in concreto, i presupposti per il riconoscimento dell'usucapione del locale oggetto di causa in favore di Tizio, in considerazione della natura non pubblica, ed anzi sostanzialmente clandestina, del possesso;
  • non poteva essere valorizzata, a contrario, la circostanza che il locale interrato fosse stato realizzato sulla base di licenza edilizia: infatti, la pubblicità legale degli atti autorizzatori è finalizzata alla loro eventuale impugnazione da parte degli aventi diritto, e non rileva in relazione alla notorietà del possesso, peraltro di opere non ancora realizzate; ed ancora, concreto, il locale non era stato realizzato sulla base dei titoli autorizzatori conseguiti da Tizio, bensì abusivamente, dopo la decadenza dei titoli predetti e rischiava quindi di essere oggetto di ordinanza di demolizione, allorquando il Condominio aveva appreso della sua esistenza e segnalato alla P.A. l'intervenuta realizzazione dello spazio interrato.

Citando sé stessa, la Corte di Cassazione rammenta l'interpretazione costante data alla materia oggetto di giudizio: «In materia di condominio, la zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio, in mancanza di un titolo che ne attribuisca ad alcuno di essi la proprietà esclusiva, rientra per presunzione in quella comune tra i condomini. Nessuno di costoro, pertanto, può, senza il consenso degli altri, procedere all'escavazione del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, limiterebbe l'altrui uso e godimento ad essa pertinenti" (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 29925 del 18/11/2019, Rv. 656251)»

Sottotetto e condominio, la Cassazione ribadisce il proprio orientamento

Ove il singolo proceda a realizzare scavi ed a creare o ampliare locali, egli commetterà uno spoglio della proprietà comune nei confronti degli altri condòmini, spoglio denunciabile dall'Amministratore con l'azione di reintegra, senza che si possa opporre l'eccezione feci, sed iure feci, dato che sussiste un limite ai poteri corrispondenti spettanti sulla cosa comune - cioè, manca il titolo contrario che attribuisce la proprietà esclusiva del sottosuolo al condomino che agisce in spoglio.

Ed ancora, la Corte non ritiene che il possesso spiegato da Tizio sia qualificabile come "pubblico" ai fini dell'usucapione, in quanto il giudice di merito aveva accertato che al locale di cui è causa si accedeva soltanto dalla proprietà di Tizio, mediante botola posta a livello del pavimento, dotata di scala retrattile non visibile all'esterno ed inoltre che Tizio aveva realizzato lo scavo senza alcuna autorizzazione degli altri partecipanti al Condominio e lo aveva utilizzato clandestinamente.

Sul punto, la Corte ribadisce che «In tema di possesso utile per l'usucapione, ai fini dell'accertamento della mancanza di clandestinità, è necessario che il possesso sia acquistato ed esercitato pubblicamente in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto col possessore" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11624 del 09/05/2008, Rv. 603421, relativa ad una fattispecie del tutto simile a quella oggetto del presente giudizio, in cui è stata cassata la sentenza di secondo grado, che aveva ritenuto pubblico il possesso in un vano accessibile solo mediante una botola d'ingresso, situata in un retrobottega, visibile solo a chi avesse la possibilità di entrare nel locale)».

Sentenza
Scarica Cass. 19 gennaio 2023 n. 1561
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