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Nel caso di un uso intenso dei beni comuni le quote condominiali restano uguali?

In tema di spese condominiali, tale costo prescinde dall'uso effettivo delle cose comuni.
Avv. Marco Borriello 

In ambito condominiale, le quote comuni sono normalmente calcolate ripartendo i bilanci approvati secondo il valore millesimale delle rispettive unità immobiliari. Si tratta, chiaramente, di una regola che trova piena corrispondenza nel codice civile "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art. 1123 cod. civ.)".

La disposizione appena citata prevede, però, che una diversa convenzione tra i vari proprietari possa stabilire una divisione dei costi diversa da quella ordinaria. Ad esempio, potrebbe trattarsi di un regolamento condominiale contrattuale all'interno del quale le parti, o il predisponente costruttore, potrebbero aver sancito un onere diverso, maggiore o minore, a carico di alcune unità immobiliari.

Ha trattato questo argomento la recente sentenza del Tribunale di Roma n. 1271 del 24 gennaio 2024. In particolare, l'ufficio capitolino ha dovuto dirimere una lite avente ad oggetto l'impugnazione di un deliberato assembleare.

Con questa votazione, il consesso aveva stabilito che, in ragione di un uso più intenso dei beni comuni, un condòmino doveva pagare una quota spese maggiore rispetto a quella riferibile al valore millesimale del suo immobile.

Tale decisione era stata presa alla luce di una specifica disposizione contenuta nel vigente regolamento che attribuiva al consesso tale facoltà.

Ebbene era legittimo fare ciò? Nel caso di un uso intenso dei beni comuni le quote condominiali restano uguali o possono essere maggiorate?

Vediamo come ha risposto a queste domande il Tribunale di Roma.

Uso più intenso o minore dei beni comuni: come si calcolano le quote condominiali?

In tema di spese condominiali e dell'obbligo di contribuire alle medesime in proporzione al valore millesimale delle rispettive unità immobiliari, la comune e pacifica interpretazione giurisprudenziale spiega che tale costo prescinde dall'uso effettivo delle cose comuni.

Sull'argomento, ciò che è rilevante è l'uso potenziale delle parti condominiali e non quello effettivo. Per questo motivo, ad esempio, chi ha la casa sfitta non può pretendere di non versare o pagare meno il condominio.

Ovviamente, ricorda ciò anche il Tribunale di Roma con la sentenza in commento "l'obbligo di concorrere alle spese comuni in proporzione ai millesimi di proprietà prescinde dall'uso effettivo che il (...) faccia delle parti comuni dell'edificio, dovendosi far riferimento all'uso potenziale e non a quello effettivo.

Di conseguenza deve pagare anche il condomino che non fa uso delle parti comuni (magari perché tiene l'unità immobiliare sfitta); al contrario, chi usa più intensamente il bene, non per questo può essere chiamato a una maggiore contribuzione, precisandosi che l'intensità dell'uso non deve però essere tale da annullare il pari diritto degli altri condomini".

Quindi, l'uso più intenso o minore dei beni comuni è del tutto irrilevante in tema di spese. Almeno di regola, le quote condominiali devono essere calcolate, sempre, secondo il valore millesimale delle rispettive proprietà.

Parti comuni e utilizzo più intenso da parte di un condomino, il caso della recinzione condominiale

Uso più intenso dei beni comuni: per regolamento l'assemblea può alzare la quota spese?

In ambito condominiale, il calcolo delle quote comuni, basato sul valore millesimale dei rispettivi immobili, prescinde dall'uso effettivo dei beni e si fonda solo su quello potenziale. Non è possibile, perciò, aumentare o diminuire la quota di spettanza, nemmeno con una votazione a maggioranza dell'assemblea.

Tuttavia, la regola anzidetta può avere un'eccezione. Si tratta del regolamento condominiale contrattuale all'interno del quale potrebbe essere riconosciuta tale facoltà al consesso degli aventi diritto. Proprio ciò che è avvenuto nel caso oggetto della sentenza in commento.

Nel fabbricato in questione, infatti, l'assemblea aveva deciso di aumentare la quota condominiale di un proprietario poiché, attraverso gli ospiti del bed and breakfast del suo immobile, i beni comuni erano utilizzati intensamente. L'ascensore era sempre occupato dai vari turisti che si avvicendavano e vi era un uso frequente delle scale e dell'androne che portava questi beni a sporcarsi velocemente e in modo rilevante.

Insomma, in ragione di tali circostanze, l'assemblea aveva deciso, a maggioranza, di aumentare la quota ordinaria del proprietario. Tale votazione era stata legittima in virtù di un regolamento condominiale contrattuale, debitamente trascritto nei registi immobiliari e quindi opponibile anche ai terzi acquirenti.

Esso, infatti, attribuiva al consesso la facoltà di maggiorare il contributo ordinario alle spese generali nel caso di un uso più intenso dell'ascensore, delle scale e dell'androne del fabbricato "qualora gli appartamenti vengano destinati ad un uso consentito ma diverso da quello di abitazione, e per effetto di tale mutamento il condomino o i suoi aventi causa intensifichino l'uso dell'androne delle scale dell'ascensore, può con la maggioranza prevista dall'art. 1136, secondo comma, C.C. imporre una maggiorazione del contributo spese di gestione e di manutenzione dovuto a sensi del presente regolamento, per tali parti e servizi comuni".

Per tutti questi motivi, l'impugnazione del deliberato è stata respinta.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 24 gennaio 2024 n. 1271
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