Il trasferimento della proprietà, anche a seguito di esecuzione forzata, dell'unità immobiliare in regime di condominio ricade nella previsione dell'art. 63, quarto comma, Disp. att. c.c., a mente del quale "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente".
Tale disposizione, finalizzata a garantire la stabilità finanziaria del condominio in caso di modifica della compagine condominiale, solleva numerose questioni interpretative.
Una di esse è sicuramente quella dell'individuazione del momento in cui sorge l'obbligo di pagamento delle spese condominiali allorché si registri un differimento temporale tra l'assunzione della delibera che autorizza la spesa e la data in cui la stessa viene sostenuta (si pensi alle spese di rifacimento della facciata dell'edificio). In questi casi chi risponde dei contributi condominiali: il condomino venditore o l'acquirente?
Preliminarmente è importante ricordare che le parti possono contrattualmente prevedere su chi ricada l'obbligo di pagamento di quelle spese condominiali che, pur deliberate dall'assemblea, non siano ancora state sostenute. In questo modo si possono evitare futuri e complessi contenziosi.
Anche perché la Suprema Corte non è riuscita a esprimere un indirizzo univoco con riguardo a tale questione, potendosi addirittura individuare tre distinti orientamenti.
È comunque opportuno evidenziare che tale accordo, pur efficace nei rapporti interni alle parti della vendita, rimane inopponibile al condominio, che potrà comunque sempre giovarsi del principio di solidarietà di cui al predetto art. 63 Disp. att. c.c.
La prima e più risalente interpretazione giurisprudenziale ritiene che l'obbligo di contribuzione alle spese condominiali sorga al momento dell'assunzione della delibera dell'assemblea condominiale con cui le stesse sono approvate (si vedano: Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1992, n. 11981; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1996, n. 9366; Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4393; Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1998, n. 981; Cass. civ., sez. II, 2 maggio 2013, n. 10235).
Di conseguenza sarebbe in ogni caso tenuto al pagamento il soggetto che risultava essere proprietario dell'unità immobiliare al momento dell'assunzione della deliberazione.
Un secondo filone individua invece come decisivo il momento della concreta attuazione di quanto deliberato dall'assemblea e reputa quindi obbligato al pagamento delle spese colui che era proprietario dell'unità immobiliare nel momento in cui sono stati eseguiti i lavori (si vedano: Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4393; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2003, n. 6323; Cass. civ., sez. II, 1° luglio 2004, n. 12013; Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2008, n. 23345).
Infine, a partire dal 2010, si è venuta formando una ulteriore e più articolata interpretazione, che si fonda sulla tipologia di spesa, distinguendo tra gli interventi di manutenzione ordinaria, da una parte, e quelli di manutenzione straordinaria e le innovazioni, dall'altra.
Si è osservato che nel primo tipo di lavori la nascita dell'obbligazione viene a coincidere con il compimento effettivo dell'attività che comporta la spesa.
In questo caso l'obbligo del condomino, secondo la Suprema Corte, sorge non appena è compiuto l'intervento che genera la spesa, essendo effettuato dall'amministratore nell'ambito delle sue competenze e nell'interesse della collettività condominiale.
Nella seconda ipotesi, invece, la deliberazione assembleare ha valore costitutivo dell'obbligazione, poiché rientra nella competenza dell'assemblea la scelta relativa all'opportunità dell'intervento e all'individuazione dell'ammontare della spesa.
Di conseguenza, sempre secondo la Suprema Corte, in questi casi è obbligato al pagamento chi risulti essere proprietario dell'unità immobiliare al momento della decisione assembleare, anche se l'intervento è destinato a essere effettuato molto tempo dopo (si vedano: Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654; Cass. civ., sez. VI, 11 novembre 2011, n. 23682; Cass. civ., sez. II, 2 maggio 2013, n. 10235; Cass. civ., sez. VI, 22 marzo 2017, n. 7395).
Quest'ultima interpretazione sembra essere oggi quella maggiormente seguita, ma si porta dietro un ulteriore problema, a sua volta risalente e di difficile soluzione, vale a dire la distinzione tra manutenzione ordinaria e straordinaria. In linea di principio può apparire semplice distinguere tra le due tipologie di interventi.
Si afferma infatti tradizionalmente che sono di ordinaria manutenzione quei lavori che, per la naturale deteriorabilità del bene comune, sono periodicamente necessari per mantenerlo in efficienza garantendone il perfetto uso (si pensi, ad esempio, alla sostituzione delle lampadine delle scale o alla verniciatura del cancello di ingresso del cortile comune), mentre sono di straordinaria manutenzione le opere che si rendono eventualmente necessarie per accadimenti non preventivabili o che comportano comunque una spesa ingente (si pensi, ad esempio, alla sostituzione dell'impianto di ascensore o al rifacimento del tetto a seguito di un evento atmosferico violento).
Tuttavia nella pratica non è sempre agevole distinguere tra le due tipologie di interventi, per le quali, come detto, vi è una differente competenza ad adottare le relative decisioni.