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Il credito condominiale e la reazione del moroso

Il condomino moroso ha determinare strade per dimostrare i suoi pagamenti e per sfuggire l'azione di ingiunzione. Alcune precisazioni si rendono necessarie.
Avv. Anna Nicola 

Deve essere qui esaminata la decisione del tribunale di Nocera con la sentenza n. 1220 del 10 agosto 2022.

Vediamo i fatti di causa.

Credito condominiale e reazione del moroso: la vicenda

Il Tribunale prima di entrare nel merito della fattispecie effettua alcune precisazioni preliminari di rilievo per il caso in esame. Queste sono le seguenti considerazioni:

  • il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo;
  • è valida la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, Cass. 3636/07), la cui ammissibilità - così come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta - risulta oramai definitivamente codificata dall'art.16 del d.lgs.5/03, recettivo degli orientamenti giurisprudenziali ricordati;
  • per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare "concisamente" la sentenza secondo i dettami di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni - di fatto e di diritto - "rilevanti ai fini della decisione" concretamente adottata;
  • che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come "omesse" (per l'effetto dell'errore in procedendo), ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante;

premesso tutto ciò entra nel merito della vicenda ed espone le motivazioni delle decisioni

Cessazione della materia del contendere

Preliminarmente, questo giudice rileva come possa e debba farsi luogo ad una pronuncia di intervenuta cessazione della materia del contendere se è stato emesso nel frattempo provvedimento di revoca del decreto ingiuntivo inizialmente come titolo esecutivo posto a base del precetto opposto.

Dal che si osserva come sia venuto meno il diritto dell'opponente a veder affermare l'inesistenza della pretesa creditoria.

Questa circostanza implica la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di bisogno di tutela giurisdizionale da parte dell'opponente (Cass. n. 98/5207).

La giurisprudenza è concorde nell'osservare sentito il rilievo anche d'ufficio della predetta situazione qualora il fatto determinativo della ridetta cessazione del contendere risulti, come nella fattispecie, acquisito in causa (Cass. 93/ 9401; e che tale circostanza possa ritenersi "acquisita in causa" è dato indurre dal fatto che essa sia stata dedotta dall'opponente ed asseverata dall'opposto.

In applicazione di tali in questa sede non vi è più importo di contendere.

Inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse

Altrettanto preliminarmente, peraltro, va rilevata la ricorrenza di un'ipotesi di inammissibilità della domanda, sotto il profilo, rilevabile d'ufficio, di un caso di carenza sopravvenuta di interesse ad agire dell'opponente.

Visto quanto detto, risulta acclarato, nelle more del giudizio, è sostanzialmente venuto meno il titolo posto a base del precetto opposto.

Questa circostanza implica ineludibili conseguenze in ordine alla esistenza di un valido e concreto interesse ad agire degli opponenti stessi. Che decade in toto.

Su questo argomento, si reputa l'autonomia dell'interesse ad agire dal diritto sostanziale è scolpita nella sua descrizione quale "bisogno di tutela giurisdizionale", configurabile e sussiste se il ricorso all'A.G. si presenti come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo del diritto dedotto in giudizio o, più in generale, alla situazione antigiuridica lamentata e, quindi, per evitare che l'attore subisca un danno ingiusto al proprio patrimonio giuridico.

Si ritiene quindi che la norma ex art. 100 c.p.c. abbia portata specificamente precettiva, quale norma che impone il rispetto, nel caso concreto, dell'effettività della relazione, da mezzo a fine, stabilita dall'ordinamento tra la tutela esperita e l'interesse tutelato.

Pertanto, per proporre una domanda è necessario avervi interesse, derivandone la funzione dell'interesse ad agire quale condizione di ammissibilità della domanda. La giurisprudenza, del resto, sotto vari e convergenti profili, muove da tempo in questa direzione (Cass. 11/12051; C. 10/15355; C. 06/115085; C. 02/3060; C. S.U. 00/565, per citarne alcune).

In particolare, secondo la tesi tradizionale, il principio dell'interesse ad agire esprime l'esigenza che oltre all'affermazione dell'esistenza del diritto sostanziale ricorra sempre anche uno stato di fatto lesivo (in senso lato) del diritto medesimo, per il tramite dell'affermazione della lesione da parte dell'attore (Cass. n. 88/4232). Per costante giurisprudenza, l'interesse de quo deve essere concreto ed attuale (Cass.07/24434).

L'interesse deve sussistere al momento della proposizione della domanda e, comunque, al momento della decisione (Cass. 09/16341).

L'assenza di interesse è rilevabile anche di ufficio, dovendosi inquadrare la relativa pronuncia nella formula della inammissibilità della domanda, sulla scorta, peraltro, di una valutazione fortemente discrezionale del giudice.

In tema di opposizione all'esecuzione, in particolare, ciò è tanto più vero in considerazione della natura del procedimento, costituente azione di mero accertamento negativo attivata sulla scorta di un processo di cognizione totalmente autonomo.

Ciò comporta, atteso che l'opposizione è portata contro il precetto in considerazione della sua attitudine potenzialmente lesiva del diritto dell'intimato, che l'interesse ad agire sussiste se e fin quando il precetto stesso conservi tale sua attitudine e potenzialità lesiva. L'intervenuta sospensione della efficacia esecutiva della sentenza oggetto della intimazione portata dal precetto opposto prima della decisione del giudizio scaturito dall'opposizione ad esso, con la conseguente perdita della potenzialità lesiva di quello specifico atto di precetto, sulla scorta del quale non può più essere iniziata l'esecuzione, comporta la carenza di interesse ad agire dello stesso opponente.

Si stabilisce, pertanto, nel peculiare giudizio di opposizione al precetto, una stretta interdipendenza funzionale tra l'interesse dell'opponente all'accertamento negativo del credito portato dal precetto opposto e la perdurante potenzialità lesiva dello stesso precetto nei suoi confronti, il che, in caso di azzeramento di tale potenzialità lesi-a per qualsivoglia motivo, fa venir meno l'interesse del debitore al suddetto accertamento negativo nella sede del giudizio di opposizione, con la conseguenza che, in questo caso, ove mai residuasse un diverso ed autonomo interesse dello stesso debitore all'accertamento negativo del credito stesso egli potrebbe e dovrebbe proporre nuova ed autonoma diversa azione di accertamento, non più legata ad una opposizione al precetto che ha perso la sua ragione giustificativa.

All'accertamento dell'intervenuta inammissibilità e, comunque, della cessazione della materia del contendere consegue la relativa declaratoria, la quale, tuttavia, non esime questo giudice dal provvedere sulle spese di giudizio, valutando se sussistano al riguardo giusti motivi di totale o parziale compensazione, ovvero attribuendo dette spese all'una o all'altra parte secondo il criterio della soccombenza virtuale. Nella fattispecie, tale soccombenza virtuale deve intendersi come reciproca in capo alle parti.

Invero, quanto al motivo di opposizione, costituente opposizione ex art. 615, c.1, c.p.c., nella parte di cui ai motivi dell'atto introduttivo, sostanzialmente tutti quelli non afferenti al quantum della pretesa creditoria, si deve ritenere tale opposizione inammissibile, Preliminarmente, questo giudice si avvale del proprio potere/dovere di operare la corretta qualificazione giuridica dell'opposizione come proposta, al di là ed oltre il nomen juris attribuitole dall'opponente.

Sul punto non v'è dubbio che la presente opposizione debba essere qualificata opposizione ex art. 615, c. 1, c.p.c.

Essa, infatti, ha ad oggetto una censura riguardante l'an oltre che il quantum dell'esecuzione minacciata (cfr. Cass. sez. III civile. 1-2-02 n. 1308).

Essa, come tutte le opposizioni al precetto, tende a far valere, a norma e nell'ambito del contorno normativo ex art. 615 cpc, l'invalidità, l'inopportunità, l'incongruenza dello stesso, ponendo in discussione il diritto dell'opposto a procedere all'esecuzione.

I principi di soccombenenza virtuale

Tale opposizione è, come detto, in parte infondata siccome inammissibile. Del tutto inammissibile è, infatti, l'opposizione ex art. 615 c.p.c., nella parte in cui contesta il diritto stesso dell'opposto di intimare il precetto nei confronti dell'opponente, deducendo a sostegno fatti anteriori e/o coevi alla formazione di un titolo di natura e contenuto giudiziali.

Invero, non v'è dubbio che l'odierno opposto agisca in forza di un titolo esecutivo di natura e contenuto giudiziali, sentenza, e che le doglianze e/o censure riguardanti la formazione del provvedimento avrebbero potuto e dovuto esser dedotte e fatte valere solo nel relativo procedimento di impugnazione.

Con l'opposizione, l'odierno opponente, invece, deduce sul punto esclusivamente questioni afferenti alla validità del titolo de quo, contestando il diritto dell'opposto in forza di argomentazioni desunte dalla vicenda posta a base del provvedimento monitorio.

Quindi, la presente opposizione pone in discussione il diritto dell'opposto a procedere all'esecuzione a fronte di un titolo esecutivo giudiziale, per motivi o fatti anteriori o coevi alla sua formazione, fuori della sede propria ed esclusiva dell'impugnazione del titolo stesso.

Orbene, a questa stregua, questo giudice non può non procedere, ai fini della determinazione della soccombenza virtuale, ad una previa verifica di ammissibilità dell'opposizione come proposta e l'opposizione va dichiarata per questa parte inammissibile trattandosi, peraltro, di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio in ogni momento del giudizio.

Sul punto, si nota che il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni incidenti sulla formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza (o del diverso provvedimento giudiziale) che costituisca il titolo medesimo (Cass. Civ. sez. III 7/10/2008 n. 24752).

Altresì, ai fini della legittimità dell'esecuzione forzata è sufficiente che il titolo esecutivo sussista quando l'azione esecutiva è minacciata o iniziata e che la sua validità ed efficacia permangano durante tutto il corso della fase esecutiva, sino al suo termine finale.

Ne consegue che, così come è inammissibile per tardività un'opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dopo il materiale compimento dell'esecuzione forzata, allo stesso modo non è possibile travolgere gli atti di una procedura esecutiva assistita fino al suo termine finale da valido titolo esecutivo e rispetto alla quale la successiva caducazione del titolo stesso non può avere valenza retroattiva per inferirne l'invalidità di una procedura legittimamente iniziata e portata a definitivo compimento (fattispecie in cui l'azione esecutiva era stata iniziata ed ultimata sulla base di un decreto ingiuntivo revocato dopo che l'esecuzione era stata completata) (Cass. civ. sez. III 31/3/2007 n. 8061).

Con l'opposizione avverso l'esecuzione fondata su titolo giudiziale l'opponente non può addurre (come, invece, è accaduto nel caso che ne occupa) motivi inerenti a fatti estintivi o impeditivi anteriori o coevi a quel titolo, i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo (Cass. 18/4/2006 n.8928).

E, del pari, con l'opposizione all'esecuzione forzata fondata su un titolo esecutivo giurisdizionale possono farsi valere solo i fatti posteriori alla formazione del provvedimento costituente titolo esecutivo, non essendo ammissibile un controllo a ritroso della legittimità e della fondatezza del provvedimento stesso fuori della impugnazione tipica e del procedimento ad essa conseguente (Cass. Civ. sez. III 14/10/2011 n. 21293).

La presente opposizione, avendo ad oggetto anche (e limitatamente ai) motivi pienamente afferenti al merito del decreto costituente titolo esecutivo, si inserisce pedissequamente, pertanto, nel percorso interpretativo come appena delineato, conseguendone la sua inammissibilità.

Fondata è invece la presente opposizione, sempre ai fini della attribuzione della soccombenza virtuale, quanto al motivo relativo alla escussione dell'odierno opponente con particolare e specifico riguardo ai motivi riferiti alla previsione di cui all'art. 63 disp. att. c.p.c.

La problematica dell'eseguibilità del titolo emesso nei confronti del condominio nei confronti dei singoli condomini deve necessariamente tener conto del regime giuridico applicabile alle obbligazioni facenti capo al condominio.

A tal proposito, deve essere evidenziato che la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, è ormai concorde nell'inquadrare le obbligazioni assunte dai condomini (e, per essi, dall'amministratore) per le parti comuni nella categoria delle obbligazioni parziarie, caratterizzate dalla divisione della prestazione tra i vari debitori, per cui ciascun condomino è tenuto a pagare il debito solo per la sua parte (Cass., Sez.II, 19-4-2000, n. 5117; Cass., Sez. II, 12 giugno 1996, n. 1286; Cass., Sez. II, 12 aprile1996, n. 8530) e non più in quella delle obbligazioni solidali, in cui ciascuno è tenuto all'adempimento di tutta la prestazione, con effetto liberatorio nei confronti di tutti e con diritto di rivalsa nei confronti degli altri condebitori (Cass., Sez. II, 11 novembre 1971, n. 3235; Cass., Sez. II, 10 maggio 1956, n. 3897).

Tanto premesso, questo giudice ritiene di aderire all'orientamento più recente, il qua le fa rientrare l'obbligazione plurisoggettiva dei condomini nella categoria delle obbligazioni parziarie, in quanto più aderente al dato normativo. Da tale impostazione, che appare condivisibile per quanto sopra evidenziato, consegue che l'esecuzione nei confronti del condomino non può che svolgersi soltanto in proporzione alla quota.

Infatti i titoli esecutivi ottenuti contro un Condominio, in persona dell'amministratore, possono essere fatti valere nei confronti dei singoli condomini solo in proporzione delle rispettive quote e non per l'intero come infatti, correttamente, preteso dall'opposto (Cass. S. U., n. 9148 del 08/04/2008).

Nella specie, peraltro, emerge, alla stregua degli atti versati dall'opponente, che la quota spettante al condomino Napoli era già stata dallo stesso corrisposta al condominio, non potendo, pertanto, farsi luogo neanche alla determinazione del quantum dovuto dall'opponente stesso in ragione del titolo azionato e ridurre la pretesa intimata all'effettiva obbligazione sussistente in capo all'opponente.

Ma, ai fini che ne occupano, rileva, ancora, l'art. 63 disp. att. c.c., laddove prevede l'obbligo del creditore di preventivamente escutere il patrimonio del condomino moroso, valendo, peraltro, il beneficio della preventiva escussione solamente a favore dei condomini virtuosi e non del condominio.

Il primo comma dell'art. 63 disp. att. c.c., così come modificato dalla L. n. 220 del 2012, prevede l'obbligo dell'amministratore del condominio di comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi, mentre il successivo secondo comma stabilisce che detti creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini morosi a loro comunicati.

Sentenza
Scarica Trib. Nocera Inferiore 10 agosto 2022 n. 1220
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