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Le limitazioni legali della proprietà ed i concetti di ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione.

Un breve excursus in ordine al rispetto delle distanze legali tra disposizioni dei regolamenti edilizi locali, regionali e comunali, e la normativa codicistica.
Avv. Samantha Mendicino - Avvocato del Foro di Cosenza 

Un breve excursus in ordine al rispetto delle distanze legali, ai concetti giuridici da dover conoscere e dal rapporto tra le disposizioni dei regolamenti edilizi locali, regionali e comunali, e la normativa codicistica.

Violazione delle norme sulle distanze minime e riduzione in pristino stato. Le disposizioni che impongono il rispetto delle distanze tra costruzioni hanno carattere astratto, generale e sono cogenti, in considerazione dell'interesse pubblico legato ai bisogni di sicurezza, igiene e decoro.

Ed è per questo motivo che, in caso di violazione delle distanze legali o regolamentari, al giudice non è lasciato alcun potere discrezionale di bilanciamento degli interessi in gioco, dovendo egli ordinare la riduzione in pristino anche se questa possa incidere sulle parti della costruzione regolari (Cass. Civ., sent. n. 8691/2017). Ma cosa succede se i privati concordemente derogano alle norme in tema di distanze? La Cassazione con una recente pronuncia ha avuto modo di chiarire che, essendo tale normativa finalizzata a tutelare l'interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico, neppure l'accordo tra le parti può bypassarla, con la conseguenza giuridica della invalidità di qualsivoglia pattuizione (Cass. Civ., sent. N. 29092/2017).

Ma non solo: infatti, neppure l'eventuale rilascio di concessione edilizia, in violazione alle prescrizioni contenute nei piani regolatori o nei regolamenti edilizi locali, sfugge alla 'falciata' atteso che i principi generali contenuti in tali tipi di strumenti normativi locali debbono essere rispettati anche (e soprattutto) dalla autorità pubblica.

Tuttavia, può anche capitare che, in tema di 'limite minimo' nelle distanze, si possa verificare una divergenza tra le norme di salvaguardia delle regioni e quelle dei regolamenti edilizi locali. A tal proposito, si deve partire dal presupposto che le cd. norme di salvaguardia dettate dalle Regioni, in tema di distanze legali tra costruzioni, vanno considerate inderogabili solo con riferimento al 'limite minimo'.

Pertanto, se le disposizioni dei regolamenti locali dettano una disciplina che impone distanze minori, queste vengono considerate tamquam non esset, in virtù della natura cogente delle previsioni regionali in ordine al limite minimo di distanze e della conseguente sostituzione delle seconde norme alle prime.

Mentre, così non è, e dunque rimangono efficaci, allorquando le regole locali entrano in contrasto con gli strumenti urbanistici regionali per aver dettato criteri di distanze maggiori (Cass. CIv., sent. n. 10271/2016).

Tanto nel pieno rispetto dell'art. 873 c.c. a tenore del quale 'le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore'.

Il rispetto della distanza legale: la differenza tra la nozione di 'ristrutturazione', 'ricostruzione' e 'nuova costruzione'. Si può parlare di 'ristrutturazione' quando gli interventi posti in essere, comportando modificazioni esclusivamente interne, hanno interessato una costruzione della quale rimangano inalterate le componenti essenziali (ad es.: copertura, strutture orizzontali e muri perimetrali).

Quindi, ad esempio, rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia la trasformazione di una finestra in porta-finestra per l'accesso ad un preesistente lastrico solare atteso che, tale opera, non determina un aumento di volume e superficie e, dunque, non configura una nuova costruzione con conseguente inapplicabilità della normativa sulle distanze legali (Cass. CIv., sent. n. 10873/2016). Si deve parlare, invece, di 'ricostruzione' quando l'intervento ha fatto venir meno nell'edificio preesistente, per evento naturale o per volontaria demolizione, le suindicate componenti essenziali, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio e, soprattutto, senza aumenti della volumetria.

Infine, si deve parlare di 'nuova costruzione' allorquando l'intervento non solo ha fatto venir meno nell'edificio preesistente le componenti essenziali ma ha anche determinato aumenti di volumetria.

La conseguenza è che alla ipotesi di 'nuova costruzione' si applica la disciplina vigente in tema di distanze.

In giurisprudenza non è mancata la vicenda fattuale in occasione della quale è stato rammentato anche che allorquando si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze e alla relativa tutela ripristinatoria, si deve escludere che i regolarmente locali possano incidere, anche indirettamente con la previsione di soglie massime di incremento edilizio, sulle nozioni normative di 'ristrutturazione' e di 'nuova costruzione' nonché sui rimedi esperibili nei rapporti tra privati proprio perché, vertendosi in materia che tutela interessi pubblici, nessuna deroga può esservi apportata (Cass. Civ., sent. n. 29092/2017; Cass. Civ., sent. n. 17043/2015).

Che cosa succede se si costruisce a distanza inferiore a tre metri?

Quando la violazione delle distanze tra costruzioni danneggia lo spazio intermedio di un terzo. Diretta conseguenza, del fatto che le disposizioni sulle distanze tra costruzioni sono norme integrative di quelle contenute nel codice civile, è che risulta irrilevante la circostanza che lo spazio intermedio tra i due stabili appartenga ad un terzo (Cass. Civ., sent. n. 25890/2017).

Come si calcola la distanza tra due costruzioni

L'ipotesi della costruzione che supera l'altezza massima. Ma cosa succede quando il vicino costruisce un fabbricato violando le norme locali non sulla distanza tra edifici ma sulla altezza massima di un fabbricato? Ebbene, per la Suprema Corte, a tutela dei diritti, è azionabile esclusivamente il giudizio finalizzato ad ottenere il risarcimento dei danni ex art. 872 c.c. mentre non è possibile chiedere al giudice un provvedimento teso ad ottenere la riduzione nel pristino stato, mediante la demolizione dei piani dello stabile costruiti oltre il limite consentito dalle norme locali.

Tale conclusione viene giustificata dagli Ermellini sulla base della ontologica differenza tra le norme che regolano la distanza tra i fabbricati, integratrici del precetto codicistico, e le differenti norme che, invece, disciplinano solo l'altezza, in sé, degli stabili, senza porla in rapporto alla distanza intercorrente tra le costruzioni stesse e, dunque, che hanno solo valenza urbanistica.

Infatti, mentre nel primo caso l'interesse tutelato è l'esigenza pubblica connessa ai bisogni di ordine igienico e di sicurezza; nell'ipotesi delle norme che disciplinano solo l'altezza degli edifici, l'interesse tutelato è esclusivamente il valore economico della proprietà viciniori (Cass. Civ., sent. n. 10264/2016).

Già in altre occasioni, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che sono da ritenere integrative del precetto codicistico solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino, con qualsivoglia criterio o modalità, la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni.

Mentre, le norme che hanno come scopo principale la tutela degli interessi generali urbanistici, disciplinano solo le altezze in sé degli edifici, senza alcun rapporto con le distanze, tutelano, nell'ambito degli interessi privati, esclusivamente il già menzionato valore economico delle proprietà dei vicini (Cass. CIv., sent. n. 1073/2009).

Distanze legali, le sporgenze a funzione esclusivamente ornamentale ed i corpi di fabbrica. Rientrano nel concetto degli 'sporti', che non sono computabili ai fini delle distanze legali, solo gli elementi accessori o di rifinitura che hanno funzione meramente ornamentale e, dunque, i cornicioni, le canalizzazioni delle gronde, le mensole, le lesene ecc.

Mentre si considerano veri e propri 'corpi di fabbrica', computabili ai suddetti fini, le sporgenze che hanno particolari grandezze e, dunque, i balconi (Cass. Civ., sent. n. 18282/2016).

La veranda che chiude lo spazio aperto. Nell'ipotesi in cui si costruisce una veranda che chiude uno spazio aperto ma che resta allineata al profilo del fabbricato, l'aumento del volume delle superficie chiuse che ne deriva non incide in ordine all'obbligo del rispetto delle norme sulle distanze legali atteso che non ne riduce la distanza dal confine (Cass. CIv., sent. n. 9679/2014).

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