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Violazione delle distanze tra costruzioni e Decreto “del Fare”.

Il Decreto del Fare: derogabilità delle distanze tra costruzioni.
Avv. Gian Luca Ballabio 

Disciplina sulle distanze legali: normativa civilistica e urbanistica.
In tema di distanze è possibile operare una distinzione, con tutti i limiti del caso, tra la disciplina contenuta nel codice civile e quella prevista dalla normativa urbanistica (nello specifico, il D.M. 1444/1968).

La disciplina civilistica pone dei limiti al diritto di proprietà attraverso delle prescrizioni poste a garanzia dei rapporti di vicinato; la norma "generale" del sistema è l'art. 873 c.c. il quale prevede che "le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore".

Come si calcola la distanza tra due costruzioni

La disciplina urbanistica, invece, contiene delle prescrizioni finalizzate ad un corretto assetto urbanistico posto a tutela di un interesse pubblico.

In particolare, la disposizione dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 stabilisce quali sono "le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee"; distanze che possono essere derogate "nel caso di gruppi che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche", e che quindi, in linea di massima, sono inderogabili sia dai privati che dalla pubblica amministrazione.

Per orientamento giurisprudenziale consolidato, infatti, si ritiene, da un lato (rapporti tra privati), che "in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati;

tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici" (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza del 23 aprile 2010 n. 9751);

dall'altro lato (nei confronti della P.A.), che "In tema di distanze tra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444 (che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti), imponendo limiti edilizi ai comuni nella formazione di strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime,ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata" (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. del 13 aprile 2010 n.8767).

Da quanto precede discende, pertanto:

  • che: le distanze previste dal codice civile possono essere derogate attraverso un patto tra privati (ad es. Tizio concede a Caio di costruire ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla normativa codicistica);
  • le maggiori distanze, invece, previste dal D.M. 1444/1968 non possono essere né dai privati né dalle amministrazioni pubbliche (ad es. un Comune non può consentire con i propri strumenti urbanistici che "tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti" vi sia un distacco inferiore ai 10 m previsti dall'art. 9, comma 1, n. 2) del D.M. 1444/1968, ma potrà unicamente prevede una distanza uguale o maggiore).

Le norme degli strumenti urbanistici in materia di distanze, infatti, "sia che si riferiscano al confine oppure all'altra costruzione, sono destinate a tutelare sia l'interesse dei vicini alla fruizione di un distacco congruo, sia quello della collettività all'instaurazione di un assetto urbanistico sotto ogni aspetto ordinato (cfr. Corte di Cass. Civ., sez. II, sent. del 24 marzo 2005 n. 6401; ivi sent. del 29 aprile 1999 n. 4343).

Inderogabilità della normativa urbanistica da parte della Regione alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 16 gennaio 2013 n.6.

L'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione prevede che "lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) ordinamento civile (…)", mentre sono materie di legislazione concorrente (Stato e Regioni) quelle relative al "governo del territorio" (art. 117, terzo comma, Cost.) che comprende l'urbanistica e l'edilizia (C. Cost., sent. 16 giugno 2005 n. 232, ivi sent. del 24 dicembre 2003 n. 362 e sent. 7 luglio 2004n. 196) e comunque "tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti e attività (C. Cost., sent. 15 ottobre 2003).

Tali attribuzioni di competenze sono state alla base della sentenza della Corte Costituzionale n.6/2013 la quale ha stabilito che l'art. 1, secondo comma, della legge regionale Marche n. 31 del 1979, che consentiva ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel D.M. n. 1444 del 1968 senza rispettare le condizioni stabilite dal medesimo decreto ministeriale, dovesse "essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto eccede la competenza regionale concorrente del «governo del territorio», violando il limite dell'«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato" (C. Cost, sent. del 16 gennaio 2013 n.6).

Le norme delle distanze tra fabbricati, infatti, rientrano nella materia "ordinamento civile" posta a tutela dei rapporti tra proprietari di fondi finitimi e pertanto nella "competenza esclusiva" dello Stato (ex art. 117, comma 2, lett. l), Cost.) e non in quello concorrente.

Tuttavia è innegabile che talvolta alcuni fabbricati possano incidere su porzioni di territorio che in virtù di determinate caratteristiche debbano essere tutelate attraverso una disciplina derogatoria delle distanze previste dall'art. 9 del D.M. 1444/1968.

Tale circostanza è sottolineata dalla giurisprudenza la quale ha chiarito che "poiché «i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri - per ragioni naturali e storiche - specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda - ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso - esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici» (C. Cost., sentenza 22 giugno 2005 n. 232), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost" (C. Cost., sent. del 16 gennaio 2013 n.6).

La «doppia funzione» di tali disposizioni "comporta che, anche ammettendo una potestà derogatoria in capo alla Regione in merito ai profili urbanistici, la stessa incontrerebbe un ostacolo ineludibile rappresentato dai puntuali diritti soggettivi dei singoli, la cui fonte è rintracciabile in una norma statale inderogabile.

In definitiva alla Regione è preclusa ogni ingerenza nei rapporti interprivatistici, ai quali la disciplina delle distanze tra costruzioni attiene in via primaria e diretta" (Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sentenza 30 agosto 2007 n. 832).

È necessario, quindi, trovare un punto di equilibrio tra la competenza esclusiva dello Stato (ordinamento civile) e quella concorrente Stato-Regioni (governo del territorio); punto di equilibrio che trova una sintesi normativa nell'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 che consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

In parole più semplici, consente che attraverso l'uso di determinati strumenti urbanistici si possa tutelare l'interesse pubblico, permettendo quindi di mitigare la inderogabilità delle norme dettate dallo Stato in virtù della propria competenza esclusiva, e per garantire un miglior governo del territorio.

Le deroghe alle distanze minime, infatti, "devono essere inserite in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, poiché la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati"(Corte Cost., sentenza del 10 maggio 2012 n. 114 ).

Alla luce dei principi e delle interpretazioni sopra enunciati la Corte Costituzionale, nella sua recente pronuncia (n.6/2013), ha ritenuto che la Regione Marche avesse illegittimamente consentito ai Comuni di derogare ai limiti imposti dal D.M. 1444/1968, in quanto le deroghe avvenivano anche al di fuori dei casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 9 del D.M. citato.

Il Decreto "del Fare": derogabilità delle distanze del D.M. 1444/1968 da parte della Regione.

Su tale consolidata interpretazione giurisprudenziale è intervenuto il legislatore con il Decreto c.d. "del Fare" (D.L. 21 giugno 2013 n. 69 convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98) che ha introdotto all'interno del Testo Unico dell'Edilizia l'art. 2-bis il quale prevede che "ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali".

Come osservato dal Servizio Studi della Camera tale previsione non chiarisce a sufficienza quale sia "l'effettiva portata normativa della disposizione, che «salvaguarda la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative»: tra le disposizioni integrative del codice è ricompreso, secondo giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, proprio l'articolo 9 del citato decreto ministeriale n. 1444/68 che le Regioni e le Province autonome potrebbero derogare in ragione della norma medesima".

La giurisprudenza, per ovvi motivi temporali, non si è ancora pronunciata, pertanto possiamo solo ipotizzare gli effetti che tale norma potrebbe avere nel nostro governo del territorio.

I primi commenti dottrinali ritengono che le Regioni e le Province autonome potranno consentire (con leggi e regolamenti) che gli strumenti urbanistici prevedano la costruzione di fabbricati a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal D.M. 1444/1968.

Ciò, sembrerebbe, a prescindere dal rispetto di quell'equilibrio tra i rapporti interprivati e interessi pubblici garantito, come sopra osservato, dall'inciso dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche".

È ragionevole ritenere che sia le Regioni che le Province autonome interpreteranno la norma in modo estensivo per poter intervenire in modo più penetrante in questa materia finora, come visto, a loro "sottratta" dalla giurisprudenza e dalla normativa di settore.

La conseguenza principale sarà un aumento dello sfruttamento del territorio da parte dell'attività edilizia. L'auspicio è che le Regioni e le Province autonome ponderino attentamente i riflessi che tale attività avrà su diritti umani e fondamentali tra cui quelli posti a tutela della proprietà, dell'ambiente, della salute.

In conclusione non resta che attendere, da un lato, l'attività normativa delle Regioni e delle Province autonome, dall'altro lato, le future pronunce della giurisprudenza (forse anche di legittimità).

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