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L'attività di affittacamere in condominio è consentita se non è espressamente vietata dal regolamento

Se il regolamento condominiale prevede il divieto per lo svolgimento dell'attività alberghiera, il proprietario potrà fare l'affittacamere?
Avv. Enrico Morello 

Sussiste una differenza tra l'attività di affittacamere e l'attività alberghiera, costituita dalla differenza nella durata della permanenza dell'ospite e dai servizi offerti, di tal che anche se un regolamento condominiale prevede il divieto per lo svolgimento dell'attività alberghiera, il proprietario potrà fare l'affittacamere.

Questo il principio pronunciato dalla sentenza numero 1947 depositata dal Tribunale di Milano il 22 febbraio 2018.

La vicenda oggetto della decisione principiava con un ricorso da parte di un condominio il quale chiedeva la cessazione da parte di due proprietarie di un appartamento di cessare la loro attività di locazione.

In particolare la condomina convenuta aveva locato il proprio appartamento ad una società, la quale aveva suddiviso l'immobile in svariate stanze che poi aveva sublocato a terzi.

La convenuta proprietaria dell'appartamento contestava, tra le altre cose, la propria legittimazione passiva nella causa, dato che l'immobile era da lei stato locato alla predetta società e quindi pretendeva di essere tenuta da questa completamente indenne.

La sentenza in commento principiava sottolineando il principio in ragione del quale il proprietario è sempre responsabile per le violazioni del regolamento commesse dal locatario del proprio immobile.

Afferma il decidente, infatti, che "il proprietario di un immobile ubicato all'interno del condominio è obbligato al rispetto del regolamento condominiale ed è responsabile di fronte alla collettività condominiale della violazione del regolamento anche se operata dal conduttore del bene essendo tenuto ad imporre a quest'ultimo il rispetto del regolamento" (principio espresso, oltre che nella citata sentenza di merito, altresì in Cass. n. 11859/2011).

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In caso di violazioni del regolamento, quindi, spetta primariamente al proprietario pretendere dal conduttore la cessazione delle condotte lesive. Conseguentemente in caso di violazione il proprietario è responsabile per le azioni del conduttore "qualora non dimostri di avere adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176 cod. civ.".

Nel caso in questione, quindi, la condomina era legittimamente convenuta nel giudizio. Passando all'analisi del merito, invece, il decidente partiva dall'analisi del regolamento condominiale. Questo regolamento, definito pacificamente come contrattuale, prevedeva che negli alloggi dello stabile fosse vietato "tenere locande o pensioni" e "l'esercizio di industrie e di altre attività imprenditoriali".

Il condominio ricorrente assumeva nelle proprie difese come le parti convenute avessero illegittimamente trasformato l'appartamento in una attività imprenditoriale di affitta camere e quindi avessero violato i predetti precetti regolamentari. Il giudice, con la sentenza citata, rigettava tale interpretazione.

Secondo il decidente, infatti, di cruciale importanza era la distinzione tra l'attività di affittacamere (e quella alberghiera) e l'ordinaria locazione di alloggi. L'attività di affittacamere, infatti, presuppone la prestazione di servizi personali quali il riassetto del locale e la fornitura della biancheria da letto e da bagno che sono invece assenti nei contratti di locazione.

Ulteriore differenza era inoltre rappresentata dalla durata dei rapporti in quanto la locazione ha certamente una durata più lunga rispetto all'attività di affittacamere.

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Nel caso oggetto del giudizio le stanze erano state tutte fornite arredate e ammobiliate, ma senza alcun servizio aggiuntivo di pulizia o sostituzione di biancheria e tutti i contratti erano stati sottoscritti con gli occupanti per un periodo di quattro anni.

Nel caso in oggetto, quindi, a parere dell'autorità giudicante il rapporto in essere con gli occupanti non era quello, temporaneo e transitorio, di affitta camere, ma piuttosto una serie di contratti di sublocazione a carattere stabile e senza servizi personali aggiuntivi.

In presenza di tali caratteristiche, difatti, la forma contrattuale non poteva essere che quella sopra descritta.

Nel condominio in questione, ai sensi del regolamento contrattuale vigente, l'attività svolta dalla convenuta non era vietata in quanto il divieto era solo quello rivolto alle attività di pensioni o locande, le quali per definizione prevedono una breve durata di permanente e servizi aggiuntivi quali cambio di biancheria da letto e da bagno e soprattutto un servizio di vitto che era pacificamente esclusa nel caso preso in esame.

L'interpretazione del regolamento doveva essere di tipo restrittivo, e non estensivo, ragione per cui ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi come consentito.

Esplicitando detto principio il giudice affermava che "le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni".

Secondo il decidente, quindi, nessuna regola era stata violata in quanto l'attività svolta non rientrava né in quelle di locanda o pensione, né in quella imprenditoriale, dato che questa era svolta dalla società che gestiva gli affitti nei propri uffici, mentre le stanze site in condominio erano utilizzate per civile abitazione.

In ragione di tale argomentazione, quindi, il giudice rigettava la domanda del condominio.

Sentenza
Scarica Trib. Milano sent. del 22.02.2018
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