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La prescrizione del reato di appropriazione indebita commesso dall'amministratore di condominio: effetti della Riforma Bonafede. Profili di illegittimità costituzionale

Quali saranno gli effetti della riforma Bonafede sull'operato dell'amministratore di condominio?
Avv. Roberto Rizzo - Foro di Cosenza 

Ispirandoci a "Pane, Amore e Fantasia", capolavoro cinematografico diretto dal grandissimo Luigi Comencini nel 1953, il titolo del commento che oggi sottoponiamo all'attenzione dei lettori potrebbe essere "Condominio, prescrizione e fantasia", posto che, senza avere il talento artistico del Maestro neorealista, ma guidati dalla medesima attenzione per le umane vicende, chiederemo oggi, a chi avrà la bontà di assecondare la nostra onirica visione, uno sforzo d'immaginazione del tutto particolare: quello di seguirci in un ideale viaggio fantastico, in avanti nel tempo, al fine di analizzare quale sviluppo concreto potrebbe avere il caso oggi sottoposto ad esame, se solo si fosse verificato in epoca successiva all'entrata in vigore della c.d. Riforma Bonafede, ossia la Legge n. 3 del 09.01.2019, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 2019, la quale -attraverso la sostituzione del secondo comma dell'art. 159 del c.p. e la contestuale abrogazione del terzo e del quarto comma del medesimo articolo, nonché del primo comma dell'art. 160 c.p.- sancisce (al novellato art. 159 c.p.) che, dal 1° gennaio 2020: "(…) Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell'irrevocabilità del decreto di condanna(…):"

Naturalmente, giova premettere che per "prescrizione" intendiamo: una causa di estinzione del reato determinata dal decorso di un periodo di tempo variabile -di volta in volta stabilito dalla Legge- in relazione alle diverse fattispecie criminose; essa sottende al venir meno dell'interesse dello Stato a punire una determinata condotta ritenuta penalmente rilevante.

Con la Sentenza in esame -Cassazione, Seconda Sezione Penale, Sentenza n. 2568 del 18.10.2019- la Suprema Corte ha confermato le Sentenza rese, rispettivamente, in primo ed in secondo grado, dal Tribunale di Milano, in data 16.10.2012 e dalla Corte d'Appello di Milano il successivo 29.06.2018, riconoscendo, dunque, definitivamente la colpevolezza di un Amministratore di Condomino che si era appropriato indebitamente di una ingente quantità di denaro della quale era entrato in possesso in ragione del proprio mandato.

La Corte di Cassazione, nel ritenere inammissibile il ricorso, ribadiva la legittimità della condanna di quest'ultimo alla pena di giustizia per la fattispecie di reato prevista e punita dall'art. 646 c.p. (appropriazione indebita), con conseguente condanna alle spese in favore della Cassa Ammende istituita presso il Ministero della Giustizia.

Recita l'art. 646 c.p.: Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata."

Nel testo della Sentenza, si individua chiaramente il principio di diritto enunciato -nell'occasione- dalla Corte: "(…) Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (…)."

Nel caso di specie, a parere degli ermellini, la condotta integrante l'atto di dominio (ossia l'utilizzo consapevole della cosa altrui come propria) è stata temporalmente individuata come coincidente con l'evento della cessazione dalla carica di amministratore, avvenuta nel 2012, in quanto è proprio a partire da quel momento che, non verificandosi la restituzione delle somme di cui si è entrati in possesso in ragione del proprio mandato, si qualifica e viene ad esistenza l'interversione del possesso, ossia il presupposto della fattispecie punita dalla norma in esame; l'appropriazione indebita appunto. (In questo senso, conforme Cassazione Penale, 2 Sezione, Sentenza n. 40870 del 20.06.2017)

La conseguenza di questa impostazione è che il termine prescrizionale previsto per il reato di cui all'art. 646 c.p. (sette anni e mezzo) comincia a decorrere -nell'interpretazione fornita dalla Suprema Corte nella Sentenza in commento- solo e soltanto quando l'amministratore, che si sia indebitamente appropriato di somme dei condomini in ragione del proprio incarico, cessa dalla carica, perché è proprio da quel momento in poi che, pur avendone la possibilità, non restituisce gli importi indebitamente sottratti in favore dei legittimi proprietari.

Truffa o appropriazione indebita: facciamo chiarezza.

Ma se i fatti narrati si fossero verificati -non tra il 2012, anno di cessazione dalla carica dell'amministratore condannato, ed il 2019, anno della pronuncia in commento, ma- in un periodo successivo all'entrata in vigore della riforma in parola -supponiamo a partire dal 2021 in poi- quali effetti si sarebbero concretamente determinati rispetto alla vicenda processuale narrata? Le conseguenze giudiziarie, per il Nostro amministratore infedele, sarebbero state le medesime? Il decorso della prescrizione sarebbe stato identico? Ci affidiamo, allora, alla capacità d'immaginazione dei lettori, chiedendo loro di seguirci, con pazienza, nello sviluppo del ragionamento dal quale siamo partiti.

Posto che -come premesso- la Legge n. 03 del 09.01.2019 abolisce, di fatto, la prescrizione, dalla sentenza di primo grado sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, molto più che probabilmente, l'Amministratore -come abbiamo visto, condannato in primo grado dal Tribunale di Milano con Sentenza resa in data 16.10.2012- non avrebbe subito nessuno degli altri due gradi di giudizio.

Ecco cosa rischia l'amministratore che si appropria dei soldi dei condomini

Ed infatti, è noto che, dopo il primo grado, ciò che -più di ogni altra cosa- guida(va) nella loro azione i Giudici d'Appello e di Cassazione, è (o era) la necessità di concentrare quanto più possibile gli ulteriori gradi di giudizio attraverso una contenuta calendarizzazione delle udienze successive, al fine di evitare il maturare della prescrizione -e la conseguente estinzione del reato- a processo non ancora definito; una volta che questo pericolo è stato scongiurato per effetto della sostanziale abrogazione della prescrizione, è venuto meno l'interesse citato, con la conseguenza che il mandatario condannato in primo grado (con condanna non definitiva) ha acquistato -per mantenerla a lungo- la poco felice condizione di "eterno imputato".

Il salto in avanti nel tempo che abbiamo timidamente ipotizzato, com'è evidente, ha lasciato intravedere foschi scenari: senza voler esprimere un giudizio di merito sulla riforma, sia perché riteniamo di non averne le competenze tecniche, sia perché lasciamo volentieri questo compito a chi è a ciò preposto, non vogliamo - e forse non dobbiamo- sottrarci dall'effettuare alcune considerazioni di carattere sistematico.

Dato per scontato che l'intento perseguito dal legislatore del 2019 sia stato quello di evitare -nel massimo grado- l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, è evidente la strategia realizzata: in un sistema processuale caratterizzato dalla cronica lentezza dei processi -per motivi che in questa sede non è possibile di approfondire- si è pensato di dilatare al massimo la prescrizione -sino ad abolirla- di modo che il decorso del tempo non potesse più mortificare la prioritaria esigenza di accertamento della verità, consentendo, dunque, ai Giudici di arrivare ad una decisione ponderata, senza doversi più preoccupare di una causa di estinzione del reato (quale la prescrizione), di fatto, molto spesso, indipendente dalla loro volontà.

Ma la domanda a questo punto è obbligata: è stata intrapresa la strada più giusta? Non è che la cura si rivelerà peggiore del male? Sono interrogativi ai quali, chi scrive, intende dare una risposta assolutamente personale, ma altrettanto netta e precisa.

Probabilmente, non si è tenuto conto di alcuni fattori:

1) in primo luogo, aumentando la distanza temporale tra la sentenza di primo grado e l' accertamento definitivo del reato, c'è il concreto rischio di compromettere la correttezza dell'accertamento medesimo;

2) in secondo luogo, proprio il passaggio del tempo, potrebbe concretamente rendere ineseguibile la sanzione, mortificando la certezza della pena;

3) ancora, come si concilia la condizione di "eterno imputato" di cui parlavamo poc'anzi, con il rispetto dei principi di cui all'art. 27 della Costituzione, quali il principio di non colpevolezza sino a condanna definitiva o la finalità riabilitativa della pena, posto che, sic stantibus rebus, l'imputato non viene posto in condizione di programmare la propria esistenza, dominata dall'incertezza più totale?

4) ed infine, come tutto questo potrebbe conciliarsi con l'esigenza di garantire il c.d. "giusto processo" di cui all'art. 111 della Costituzione?

Sono tutti interrogativi che offriamo -senza pretesa di una risposta univoca- all'attenta riflessione dell'amico lettore, non senza evidenziare, però, una certa preoccupazione di fondo: vi è il timore che l'intero impianto della Riforma sia stato mosso, più che dall'esigenza di realizzare una giustizia reale, da una volontà meramente persecutoria che mortifica la millenaria tradizione di civiltà del Nostro ordinamento giuridico e che autorevole dottrina ha definito -con una prorompente capacità descrittiva- come una mera "volontà di vendetta sociale" (Manes, Riforma della prescrizione, Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1, 2019, 557; Caiazza, Governo Populista e legislazione penale: un primo bilancio, Dir. Pen. Proc., 5, 2019, 589 e ss.)

A voi le conclusioni, nella speranza che il buon senso prevalga e che si possano risolvere i problemi della giustizia iniziando -non dalla rimozione, più o meno giustificabile, di uno degli effetti delle storture del sistema processuale penale, ma- dall'individuazione, e conseguente rimozione, delle cause effettive che tali storture hanno determinato.

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