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La ristorazione non rientra tra le attività commerciali consentite dal regolamento condominiale

L'attività di ristorazione è diversa dall'attività commerciale.
Avv. Giuseppe Nuzzo - Foro di Lecce 

Il fatto. La s.r.l. titolare del ristorante gestito all'interno di un locale in condominio, e la società proprietaria del locale medesimo, impugnavano la delibera con la quale, tra l'altro, l'assemblea dei condomini aveva inibito l'esercizio dell'attività di ristorazione in attuazione del regolamento condominiale, il quale vieta la destinazione «la destinazione dei negozi ad uso "diverso da... commercio regolarmente autorizzato dalle autorità competenti».

La Corte d'Appello di Roma, ribaltando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda ritenendo il divieto posto dalla delibera perfettamente legittimo.

Secondo i giudici, infatti, «l'attività di ristorazione è eterogenea rispetto all'attività propriamente commerciale, giacché caratterizzata dalla creazione di un risultato economico nuovo rispetto alla materia prima trattata, e quindi piuttosto da intendersi come attività industriale».

Decisione ribadita anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, la n. 9402 del 4 aprile 2019.

La clausola del regolamento condominiale, che esclude la ristorazione solo in alcuni locali, è legittima.

I divieti alla proprietà privata previsti nel regolamento condominiale. Sappiamo che i divieti alla proprietà esclusive sono validi se contenuti in regolamenti di condominio di natura contrattuale, cioè accettati da tutti i proprietari del condominio.

Sappiamo anche che questo tipo di clausole, proprio perché idonee a limitare il diritto di proprietà esclusiva di ciascun condomino, devono essere interpretate in maniera restrittiva.

In altri termini, è vietato esattamente ciò che è indicato nel regolamento, senza la possibilità di interpretazioni estensive delle norme regolamentari.

L'attività di ristorazione è diversa dall'attività commerciale. Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, l'interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare i negozi ad uso diverso da "commercio regolarmente autorizzato dalle autorità competenti", secondo cui collide con lo stesso divieto l'esercizio dell'attività di ristorazione, non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, «rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l'interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a criticare il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice ed a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l'unica interpretazione possibile, né la migliore in astratto».

Regolamento di condominio e divieto destinazione a uso commerciale

La Cassazione ha ritenuto l'esercizio di un'attività di ristorazione esuli dalla mera attività di commercio (la quale si risolve nella semplice intermediazione e distribuzione dei prodotti, di per sé consentita dalla disposizione regolamentare).

L'attività di ristorazione, infatti: 1) o è connotata dalla trasformazione delle materie prime alimentari a fini di commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario, e dunque volta alla creazione di un risultato economico nuovo, elemento questo distintivo delle imprese industriali ex art. 2195 c.c.; 2) oppure consistente, in ogni caso, nella produzione di beni per la somministrazione di alimenti e bevande avvalendosi di laboratori di carattere artigianale.

Il ristorante non rientra tra le attività consentite dal regolamento di condominio. Per la Suprema Corte, non rileva decisivamente opporre in questa sede l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità o dalla dottrina in ordine alla nozione normativa di commercio, ai fini della riconducibilità ad essa dell'attività di ristorazione, in quanto l'interpretazione assegnando un valore prioritario al dato letterale ed individuando, quale ulteriore elemento, l'intenzione del legislatore, costituisce un'operazione ontologicamente distinta dall'interpretazione contrattuale in senso stretto, avendo questa ad oggetto la determinazione della volontà dei contraenti ed essendo perciò riservata al giudice del merito (la cui decisione resta censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica o per vizi di motivazione).

Il principio di diritto che è possibile trarre dalla sentenza in commento è il seguente: Non è consentita l'attività di ristorazione allorquando il regolamento condominiale contrattuale contenga il divieto di destinare i negozi ad uso diverso da commercio regolarmente autorizzato dalle autorità competenti.

Sentenza inedita
Scarica Corte di Cassazione n. 9402 del 4 aprile 2019.
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