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“Scambio di coppie”, se il regolamento di condominio lo vieta non conta chi esercita l'attività

Se un condòmino subisce una condanna ad un non facere per la violazione del regolamento, è responsabile per le successive trasgressioni.
Avv. Marco Borriello - Foro di Nola 

Il condòmino è tenuto al rispetto delle disposizioni contenute nel regolamento condominiale. Tra queste potrebbero esserci anche delle restrizioni in merito a determinate quanto particolari attività da esercitare all'interno della propria abitazione.

È il caso, ad esempio, dello «"scambio di coppie" ma anche delle altre attività sessuali altrimenti e variamente trasgressive, ad esempio pornografiche o di prostituzione, ugualmente lesive dei concetti tutelati dal Regolamento (Corte di Appello di Milano sent. n. 3095/2018)».

In tali circostanze, i condòmini inadempienti potrebbero essere condannati all'immediato rispetto del regolamento condominiale nonché al pagamento di una somma per ogni violazione successiva alla sentenza.

È proprio il caso che è stato esaminato nell'ambito di un procedimento giunto dinanzi alla Cassazione e risolto con la decisione n. 29131 del 18 dicembre 2020.

Vediamo, pertanto, quali sono stati i fatti che hanno condotto i giudici del "Palazzaccio" ad esprimersi sulla vicenda.

"Scambio di coppie", se il regolamento lo vieta non conto chi esercita l'attività: il caso

In un condominio era stato accertato che, all'interno dei locali di un appartamento, si praticava lo "scambio di coppia". Si trattava, però, di un'attività che non era consentita dal regolamento condominiale.

Per questo motivo, i proprietari del bene era citati in giudizio e condannati all'immediata interruzione del comportamento contrario alle disposizioni regolamentari nonché al versamento di un importo per ogni violazione successiva alla sentenza.

Sulla base di tale titolo giudiziale, la parte attrice agiva in esecuzione nei confronti di quella convenuta, evidentemente, non conformatasi al disposto della sentenza de quo.

Dalla descritta procedura esecutiva nasceva un'opposizione dei proprietari dell'immobile dove si svolgeva l'attività incriminata che, però, non trovava accoglimento né in prima istanza e nemmeno a seguito del proposto appello.

Si giungeva, quindi, in Cassazione dove i ricorrenti sostenevano che il titolo esecutivo opposto non poteva avere efficacia in considerazione del fatto che, nelle more dell'intera vicenda, era mutato il conduttore dell'immobile.

Non c'era, altresì, alcuna prova che, all'interno dei suddetti locali, il nuovo inquilino svolgesse la pratica sessuale in contestazione.

Inoltre, essi affermavano di non poter essere colposamente responsabili per un comportamento tenuto da altri all'interno del proprio appartamento.

La Suprema Corte, valutati gli elementi a sua disposizione, ha rigettato, integralmente, il ricorso con relativa conseguente soccombenza sulle spese.

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Contestualmente alla condanna con la quale si impone al convenuto l'osservanza di un certo comportamento o l'inibizione a svolgere una determinata attività, è possibile gravare la parte soccombente dell'onere di pagare una somma di denaro.

In particolare, quest'ultimo obbligo scatterebbe nel caso in cui non dovesse essere rispettata la sentenza e per ogni comportamento successivo e contrario al disposto giudiziale.

Inoltre, la predetta statuizione potrebbe essere utilizzata, come qualsivoglia titolo esecutivo, per precettare ed incassare, coattivamente, gli importi derivanti dalle violazioni anzidette.

L'insieme di queste regole trova riscontro nel codice di procedura civile «Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.

Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza…

Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile (Art. 614bis cod. proc. civ.)».

Lo scopo di questa norma, evidentemente, è quello di stimolare l'adempimento di questi particolari precetti giudiziali. Infatti, il timore di dover pagare la somma fissata dovrebbe consigliare il rispetto della sentenza.

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Nella decisione in esame, si chiarisce che il titolo azionato in esecuzione era stato emesso anche nei confronti dei proprietari dell'immobile in cui si era svolta e si praticava l'attività vietata dal regolamento condominiale.

Per questo motivo, come si legge in motivazione, i condòmini non potevano sfuggire all'esecuzione anche se lo "scambio di coppia" era stato, successivamente, consentito dal nuovo conduttore dei locali «la pronuncia di cui al titolo esecutivo, consistente nella condanna a cessare lo svolgimento dell'attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell'immobile dei ricorrenti, era stata emessa (anche) direttamente nei confronti di questi ultimi, così come la condanna al pagamento di una somma di danaro per l'eventuale inosservanza dell'obbligo.

Di conseguenza, il titolo aveva efficacia diretta nei loro confronti, anche nella parte relativa al pagamento della somma di danaro per l'inosservanza dell'obbligo di "non facere", ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., per il solo fatto che l'attività vietata continuasse ad essere svolta nel loro immobile, e ciò indipendentemente dal relativo conduttore».

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Inoltre, chiariscono gli Ermellini, il ricorso «è manifestamente infondato nella parte in cui i ricorrenti deducono la violazione dell'art. 2043 c.c. e degli artt. 3 e 24 Cost., sostenendo che non sarebbe ravvisabile una responsabilità colposa a loro imputabile per l'attività svolta nel proprio immobile dal soggetto conduttore dello stesso, trattandosi di una questione evidentemente non deducibile in sede di opposizione all'esecuzione, in quanto coperta dal giudicato.

Nel giudizio di cognizione all'esito del quale si è formato il titolo esecutivo essi sono stati infatti condannati direttamente, in proprio, ad impedire la continuazione di tale attività in quanto contrastante con il regolamento di condominio, nonché al pagamento di una somma di danaro, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., per l'eventuale inosservanza dell'obbligo».

I titolari del bene, quindi, nel giudizio di opposizione all'esecuzione, non avevano nemmeno la facoltà di scagionarsi, sostenendo che il tutto era avvenuto senza alcuna responsabilità, anche indiretta. Essi avrebbero potuto farlo, tempestivamente, soltanto nel precedente giudizio di cognizione.

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Sentenza
Scarica Cass. 18 dicembre 2020 n. 29131
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