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Nel caso di allaccio abusivo al contatore condominiale, il condomino risponde del reato di furto?

La Suprema Corte chiarisce la differenza tra i reati di furto e di appropriazione indebita nel caso di allaccio abusivo al contatore condominiale.
Avv. Nicola Frivoli 

Con sentenza emessa in data 23 marzo 2023, n. 17203, la Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, si è pronunciata sottolineando la distinzione tra i reati di furto di cui all'art. 624 c.p. ed appropriazione indebita ex art. 646 c.p., qualora il bene prelevato abusivamente sia l'energia elettrica dal contatore generale di un condominio.

Prelievo indebito di energia elettrica dal contatore condominiale: fatto e decisione

La questione verte sull'allaccio abusivo di un condomino il quale prelevava indebitamente dal contatore condominiale energia elettrica. La Corte rappresentava l'esistenza di un conflitto ermeneutico tra due diverse interpretazioni.

Secondo un primo orientamento, integra il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) e non quello di sottrazione di cose comuni, la condotta del condomino il quale, mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, si impossessa di energia elettrica destinata all'alimentazione di apparecchi ed impianti di proprietà comune (Cass. pen., sez. V, 15 novembre 2017, n. 57749; Cass. pen., sez. II, 21 marzo 2002, n. 13551).

Tale indirizzo si muove dal convincimento che l'energia elettrica sottratta costituisce energia appartenente pro-quota anche al condomino che la sottrae, tenendo perciò una condotta indebitamente appropriativa, esercitando l'agente un autonomo potere dispositivo del bene.

Invece, secondo altro orientamento, tale comportamento del condomino integra il delitto di furto (art. 624 c.p.) e non quello di appropriazione indebita, poiché la detta condotta dell'agente che, mediante allaccio abusivo al contatore condominiale si impossessi di energia elettrica destinata all'alimentazione di apparecchi ed impianto di proprietà comune (Cass. pen. sez. 5, 15 novembre 2017 n. 57749; Cass. pen. sez. II, 21 marzo 2002, n. 13551).

La distinzione tra i due orientamenti rinviene a seconda che vi sia o meno un potere di autonoma disponibilità sul bene. Ove quest'ultima sussista, il mancato rispetto dei limiti in ordine all'utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita, in caso contrario, invece, si configura il reato di furto.

Condividendo quanto osservato dalla Cassazione che l'energia della quale i singoli condomini possono disporre è l'energia che, transitando attraverso il contatore, serva in concreto le parti comuni o i beni comuni.

Al contrario, la condotta, variamente realizzata, attraverso la quale l'autore riesca a deviare il flusso dell'energia, dopo che essa è transitata dal contatore condominiale, verso gli impianti degli spazi ad uso esclusivo come il proprio appartamento, non si colloca all'interno dell'esercizio del potere dispositivo del quale ciascun condomino è titolare, ma al di fuori di quest'ultimo, come reso palese dal fatto che il risultato è conseguibile solo attraverso modalità di deviazione dell'energia che non raggiunge affatto gli spazi condominiali.

In buona sostanza, l'energia passata per il contatore condominiale è, proprio in ragione della destinazione assunta a servizio delle parti comuni, indisponibile ad un uso privato del condomino, che non ne acquisisce l'autonomo possesso e che, solo attraverso una condotta di sottrazione, la distrae a proprio esclusivo vantaggio.

Considerazioni conclusive

Per completezza, va rilevato che la misurazione dei consumi operata mediante li contatore non solo definisce la prestazione erogata in termini quantitativi ma, correlativamente, determina il momento in cui l'energia passa, secondo i termini contrattuali, dalla disponibilità del somministrante all'utente.

A valle del contatore condominiale la disponibilità dell'energia è solo della comunità dei condomini, che la destinano al funzionamento di beni comuni e non di ciascuno di essi autonomamente (Cass S.U. 9 ottobre 1996, n. 10495).

L'assenza di autonoma disponibilità del bene preclude, quindi, la possibilità di configurare il fatto come appropriazione indebita, considerato che, in tema di reati contro il patrimonio, ove l'agente abbia la detenzione della cosa, in mancanza di un autonomo potere dispositivo del bene è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita (Cass. pen sez. IV, 25 ottobre 2018, n. 54014).

In ragione degli indicati aspetti, la Suprema Corte ha ritenuto che nella sentenza impugnata la Corte di merito abbia correttamente qualificato il fatto in termini di furto aggravato.

In ricorso in conclusione è stato dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente a rifondere le spese processuali.

Sentenza
Scarica Cass. Pen. 23 marzo 2023 n. 17203
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