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È legale il gazebo posto a tre metri di distanza?

Il giudice civile può accertare l'illegittimità di un'opera edilizia abusiva?
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Crotone, con la sentenza n. 35 del 16 gennaio 2023, ha affrontato l'ennesimo caso di violazione di diritto di veduta in condominio. Si tratta di una questione ben nota e più volte affrontata all'interno di questo portale.

La sentenza in commento è tuttavia di particolare interesse per almeno due ragioni:

  1. il giudice ha evidenziato come non si possa adire la giurisdizione ordinaria per far dichiarare l'illegittimità edilizia di un'opera;
  2. è legale il gazebo posto a tre metri di distanza, essendo questo il limite da rispettare per non violare il diritto di veduta del vicino. Analizziamo il caso specifico.

Gazebo in condominio: il caso

Il proprietario di un appartamento sito al terzo piano di un edificio conveniva in giudizio il condomino sottostante, reo a suo dire di aver edificato, sul proprio terrazzo di pertinenza esclusiva, un manufatto che ostruiva la vista sul corso principale e sulla strada sottostante.

A dire dell'attore, l'opera costruita era priva di autorizzazione in quanto era stata unicamente autorizzata la costruzione di una tettoia amovibile.

Chiedeva, pertanto, l'accertamento dell'illegittimità della costruzione e del pregiudizio a lui recato con conseguente disposizione della demolizione dell'opera, del ripristino dello status quo ante e del risarcimento del danno.

La difesa del convenuto

Si costituiva parte convenuta, la quale si difendeva eccependo l'assoluta regolarità dell'opera consistente in un gazebo che non solo era stato costruito all'interno della sua proprietà esclusiva ma era stato perfino autorizzato dall'assemblea.

Per quanto riguarda la presunta violazione del diritto di veduta, il convenuto riferiva di aver rispettato le distanze imposte dall'art. 907 cod. civ. (tre metri) e che il manufatto, per come strutturato, non sarebbe stato comunque idoneo a limitare il diritto dell'attore.

Trattavasi infatti di un gazebo con intelaiatura in legno sul quale, previa comunicazione al Comune di Crotone, erano stati installati frangiventi in plastica, senza mutamento della struttura, che era rimasta amovibile. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda giudiziale.

La natura dell'azione giudiziaria

Il Tribunale di Crotone, con la sentenza n. 35 del 16 gennaio 2023 in commento, ha provveduto innanzitutto a qualificare l'azione promossa dall'attore, inserendola nell'alveo dell'actio negatoria servitutis.

La giurisprudenza in materia ritiene infatti che configura actio negatoria servitutis la domanda del proprietario di rispetto delle distanze legali tra costruzioni (Cass., 18 dicembre 1997, n. 12810).

Più precisamente, in tema di azioni a difesa della proprietà, costituisce actio negatoria servitutis non solo la domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche quella volta all'eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere l'effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto del terzo, corrispondente all'esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l'acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui.

Ne consegue che l'azione diretta ad ottenere la riduzione in pristino, a favore di colui che ha subito danno per effetto della violazione delle distanze legali o del diritto di veduta, deve qualificarsi come actio negatoria servitutis, essendo volta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore libero da servitù vantate da terzi, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dare luogo a servitù.

Il giudice ordinario non può ordinare la demolizione dell'opera abusiva

Il Tribunale di Crotone deve rigettare la domanda volta a ottenere la demolizione dell'opera abusiva, trattandosi di materia devoluta alla giurisdizione amministrativa.

A seguito dell'espletamento della Ctu, infatti, emergevano alcune irregolarità del manufatto. Nello specifico, il Consulente deduceva che, per i materiali utilizzati e le tecniche costruttive messe in opera, l'opera assumeva le caratteristiche di vera e propria "nuova costruzione", per questo soggetta al rilascio di titolo abilitativo e al rispetto delle distanze legali dettate dall'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, distanza non rispettata nel caso di specie.

Secondo il Tribunale di Crotone, sebbene la valutazione del Ctu sia corretta e condivisibile sul piano dell'accertamento tecnico, altrettanto non lo è quanto alla questione della violazione delle distanze «in quanto egli indica erroneamente come applicabile l'art. 9 del D.M. 1444/1968 dettato per la distanza tra le costruzioni, mentre nella fattispecie in esame l'attore esercita la propria azione al fine di accertare l'illegittimità del manufatto, che tuttavia è valutazione non demandabile al giudice ordinario, ma di competenza del giudice amministrativo, e di accertare il pregiudizio recato al Familiari per la violazione della visuale».

È legale il manufatto che rispetta la distanza di tre metri

Secondo il giudice calabrese, nel caso di specie va applicato il disposto dell'art. 907 cod. civ., secondo il quale «Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri».

Il terzo comma della medesima disposizione precisa inoltre che «Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia».

Tanto precisato, la Suprema Corte ha affermato che «Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 cod. civ. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita» (ex multis, Cass., sent. n. 955 del 16.1.2013).

Non essendo la struttura collocata in violazione dell'art. 907 cod. civ., che prescrive la distanza di tre metri, la domanda dev'essere rigettata.

Sentenza
Scarica Trib. Crotone 16 gennaio 2023 n. 35
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