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Consentito l'uso del bene comune ma solo nei limiti di legge

Illegittimo aprire un varco nel muro perimetrale se con l'intervento si occupa, anche se in parte minima, l'area comune.
Avv. Adriana Nicoletti 

È fatto abituale che i condomini utilizzino beni della collettività per esigenze personali, ma questo non si deve tradurre nel mancato rispetto dei diritti che gli altri partecipanti vantano sugli stessi beni. È, altresì, il Codice civile a dettare le regole anche se tramite una disposizione che non è rigorosamente riferibile al condominio, ma è a questo applicabile per espresso richiamo normativo.

In tali circostanze il comportamento del condomino, quindi, è illegittimo se tale da determinare turbative o molestie nei confronti delle persone e cose comuni e, quanto a queste ultime, se produca una alterazione della loro struttura e funzionalità originaria.

Questi sono i principi che ritroviamo nella sentenza n. 2147 pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli pubblicata, in data 15 maggio 2024, la quale si è venuta a trovare di fronte ad una fattispecie particolare.

Illegittima realizzazione di un cancello su porzione di area condominiale. Fatto e decisione

Il giudice di prima istanza, nell'ambito di una causa incardinata dal Condominio nei confronti di un condomino, accoglieva parzialmente le domande proposte nell'atto di citazione, condannando il convenuto alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate; al conseguente ripristino dello stato dei luoghi; alla eliminazione di un varco pedonale e carrabile dallo stesso realizzato nel muro perimetrale, nonché al rifacimento del muro perimetrale abbattuto ed al ripristino dell'area adibita a posto auto.

Avverso la decisione, fondata su CTU e prove testimoniali, il soccombente proponeva appello lamentando, tra l'altro, che il primo giudice aveva violato gli artt. 1102 e 1120 c.c.

Il Collegio, pronunciatosi per la parziale fondatezza del gravame, ha qualificato la domanda non come negatoria servitutis (in tal modo, infatti, era stata originariamente indicata dall'attore) ma come azione ex art. 1102 c.c. in quanto l'apertura del varco, che aveva collegato l'immobile di proprietà dell'attuale appellante con il viale condominiale, rappresentava una tipica fattispecie rientrante nell'ambito applicativo della norma richiamata.

Il condomino, tuttavia, pur avendo esercitato il diritto riservatogli dall'art. 1102 c.c. senza impedire agli altri partecipanti di utilizzare in pari misura lo stesso bene (nella specie: il viale condominiale), aveva occupato - anche se in minima parte - uno spazio condominiale apponendo un cancello di scorrimento posto a chiusura del noto varco, costituendo - di fatto - un peso a carico del bene comune.

Questo aveva portato la Corte a decidere che la struttura doveva essere arretrata in modo da rendere nuovamente libera l'area comune.

Installazione di cancello automatico: innovazione o modifica?

Riflessioni sulla legittimità dell'uso dei beni comuni in condominio

Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di appello partenopea, che sono più che condivisibili, consentono di fare una riflessione sulle due norme che il giudice di primo grado avrebbe asseritamente violato: ovvero gli artt. 1102 e 1120 c.c., spesso oggetto di richiamo contestuale anche se tali disposizioni sono soggettivamente ed oggettivamente diverse tra loro.

L'art. 1102. c c. è collocato all'interno dell'istituto della comunione, ma si applica costantemente al condominio in forza del rinvio contenuto nell'art. 1139 c.c., essendo disposizione assolutamente compatibile con l'impianto normativo che disciplina l'istituto medesimo.

È, altresì, una disposizione che individua la titolarità di un diritto in capo ad un soggetto che sia parte della comunione ovvero del condominio e che, conseguentemente, lascia allo stesso il potere non solo di utilizzare la cosa comune ma anche quello di modificarla, se questo sia necessario per il miglior godimento della stessa.

Tale diritto, infine, incontra un duplice limite: il rispetto della destinazione del bene e la garanzia che gli altri partecipanti possano fare un uso paritario della res secondo il proprio diritto.

In merito alla conservazione della destinazione originaria della "res communis" va evidenziato che la ratio sottesa alla norma consiste nel fatto che le eventuali modifiche apportate dal comunista/condomino non devono snaturare il bene oggetto di utilizzo.

Sul punto è stato precisato che "la destinazione della cosa comune - che, a norma dell'1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l'uso del bene - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l'uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa. In particolare, in mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria circa l'uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione ex art. 1102 cit., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini e, cioè, dall'uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare" (Cass. 28 agosto 2020, n. 18038).

Vi è, poi, il secondo limite da rispettare e che - come detto - è rappresentato dal rispetto dell'altrui diritto all'uso del bene comune da parte del singolo.

Sulla questione la giurisprudenza si è più volte pronunciata definendo la nozione di pari uso che "non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri.

Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica, solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto" (da ultimo sempre Cass. n. 18038/2020).

Nella fattispecie oggetto della decisione del Collegio di Napoli, tuttavia, si è prospettata una situazione ancora differente: ovvero l'occupazione, anche se in minima entità, di un'area comune tramite l'apposizione del cancello e del relativo binario di scorrimento.

Il tipo di intervento eseguito (stabile), che non aveva impedito agli altri condomini di esercitare il proprio diritto d'uso sul viale condominiale, costituiva un'indebita occupazione del suolo comune che si era tradotta nella costituzione di un peso per l'area medesima.

Da ciò la corretta decisione della Corte non di condannare il condomino alla eliminazione del varco e del relativo cancello, ma molto più semplicemente a provvedere al suo arretramento per eliminare lo sconfinamento messo in atto.

Da ultimo pacifica la non applicabilità al caso dell'art. 1120 c.c. che è norma estranea in quanto avente ad oggetto delibere che sono assunte dalla maggioranza e finalizzate alla realizzazione di innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior godimento delle cose comuni.

Sentenza
Scarica App. Napoli 15 maggio 2024 n.2147
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