Non è raro trovare due edifici, perfettamente, adiacenti. Non è, perciò, improbabile che ci siano delle unità immobiliari, nei rispettivi fabbricati, potenzialmente, in grado di essere messe in comunicazione da un'apertura realizzata all'interno del muro perimetrale.
In particolare, tale intenzione potrebbe tornare utile a chi diventa proprietario dei locali confinanti. In questo modo, migliorerebbe, senz'altro, la fruibilità dei propri immobili e, senza ombra di smentita, aumenterebbe il valore di mercato delle predette unità.
Resta da capire, però, se questa iniziativa sarebbe priva di risvolti giuridici e se possa essere realizzata senza ottenere alcun consenso altrui.
In particolare, come è facile intuire, ci sarebbe da considerare il condominio titolare del muro perimetrale. Ci si chiede, cioè, se sia necessario acquisire l'assenso di tutti i proprietari di questo fabbricato prima di aprire un passaggio tra le unità immobiliari facenti parte dei due distinti fabbricati.
A questa domanda ha dato risposta il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 3204 del 13 dicembre 2021.
Vediamo, perciò, cosa è accaduto in questo edificio fiorentino, prima di esaminare la questione giuridica emersa nel citato provvedimento.
Appartamento e varco nel muro perimetrale: il caso concreto
Una signora era titolare di tre distinte unità immobiliari adibite, originariamente, a bar, magazzino e laboratorio, facenti parte di due edifici confinanti.
Nel 2008 aveva provveduto a trasformare i predetti immobili in 4 mini appartamenti. Nel compiere la predetta trasformazione, la proprietaria aveva realizzate ben tre aperture nel muro perimetrale comune, con ciò suscitando la protesta degli altri condòmini.
Per questo la detta proprietaria era citata in giudizio allo scopo di vedersi dichiarare l'illegittimità dell'iniziativa nonché l'ordine di ripristinare il cosiddetto status quo ante.
La parte convenuta si costituiva, però, eccependo, in via riconvenzionale, l'avvenuta usucapione della servitù di passaggio.
Il Tribunale di Firenze, al termine di un'istruttoria caratterizzata dall'espletamento di una CTU, ha accolto la domanda attorea ed ha condannato la convenuta a chiudere i varchi presenti nelle sue unità immobiliari poste al confine tra i due edifici.
Uso legittimo del bene comune: apertura di varchi e diritti condominiali
Secondo il codice civile «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Art. 1102 cod. civ.)». Si tratta di un principio tra i più fondamentali della materia, sorto per regolare i rapporti tra i vari comproprietari e, sebbene riferibile alla comunione, pacificamente applicabile in ambito condominiale.
Ebbene, venendo al caso in esame, l'apertura di un varco nel muro perimetrale, per quanto giustificata dalla necessità di mettere in comunicazione due locali adiacenti, può rappresentare un uso legittimo della cosa comune oppure determina, inevitabilmente, un'intollerabile alterazione della destinazione del bene.
Vediamo cosa risponde a riguardo la giurisprudenza
L'apertura di un varco nel muro perimetrale costituisce una servitù di passaggio
Per il Tribunale di Firenze, senza con ciò discostarsi dalla giurisprudenza sull'argomento, l'apertura di un varco nel muro perimetrale comune di due edifici, allo scopo di mettere in comunicazione i propri locali, non rappresenta un uso legittimo della cosa comune.
Tale iniziativa non può, pertanto, giustificarsi invocando la norma di cui all'Art. 1102 cod. civ. «tali collegamenti hanno alterato la destinazione del muro perimetrale che ha la funzione di RECINGERE l'edificio, imponendo altresì un peso qual è una servitù a favore di beni di proprietà esclusiva a detrimento di un bene comune».
Più precisamente, l'utilizzo, in discussione, del muro perimetrale determina la costituzione di una servitù di passaggio a danno del condominio titolare del bene ed a favore del proprietario degli immobili messi in comunicazione «Cass. 5060/20 "… secondo il quale, in tema di uso della cosa comune, è illegittima l'apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell'edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini . . anche Cass. Sez. 2, 05/03/2015, n. 4501; Cass. Sez. 2, 06/02/2009, n. 3035; Cass. Sez. 2, 19/04/2006, n. 9036; Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708)».
È evidente, perciò che, senza il consenso di tutti i condòmini, è impossibile aprire il varco de quo.
Apertura varco nel muro perimetrale: è una servitù di passaggio non apparente
Secondo il Tribunale di Firenze, l'apertura di un varco nel muro perimetrale condominiale, fatta allo scopo di mettere in comunicazione degli immobili adiacenti, non è un'opera permanente e visibile per il fondo servente.
Per questo motivo, con tale iniziativa, non si può costituire una servitù di passaggio apparente «la servitù apparente è tale solo se al relativo esercizio sono destinate opere permanenti e visibili dal fondo servente, in modo da renderne presumibile la conoscenza da parte del proprietario di quest'ultimo (cfr. Cass. n. 2290/2004; Cass. n. 321/1998; Cass. Nr. 3556 del 1995 afferma che "L'apparenza della servitù, senza la quale non è possibile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, si identifica, in definitiva, nell'oggettiva e permanente sussistenza di opere suscettibili di essere viste anche se, in concreto, ignorate, che, per la loro struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell'altro"».
Questa ricostruzione giuridica impedisce che, in un caso come quello in commento, si possa invocare l'usucapione della servitù. Non è infatti possibile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1061 cod. civ. «Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione».