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Condominio accusato di sversare liquami dalla colonna fecale nella proprietà di un terzo

Con la consulenza del tecnico di fiducia il terzo può pretendere in giudizio il risarcimento dei danni?
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Il condominio, in quanto custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno: in caso contrario risponde, ai sensi e per gli effetti della previsione di cui all'art. 2051 c.c., dei danni procurati da tali cose comuni ad un condomino o ad un terzo.

L'applicabilità dell'art. 2051 c.c. si giustifica in relazione alla ricollegabilità di quei danni all'inosservanza, da parte del condominio, dell'obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa.

Il condomino - custode non può, quindi, sottrarsi a responsabilità semplicemente dimostrando di essere stato diligente nella custodia della parte comune, ma deve provare che l'evento sia imputabile ad un caso fortuito, cioè ad un fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.

Merita di essere sottolineato che il danneggiato se vuole essere risarcito dovrà provare in giudizio la derivazione del danno dal bene condominiale, nonché l'esistenza di un rapporto di custodia tra il convenuto condominio e la cosa comune stessa; solamente ove sia assolto dal danneggiato tale onere della prova, spetterà poi al convenuto condominio la prova liberatoria del caso fortuito.

Chiarito quanto sopra viene da domandarsi se a fondamento della richiesta dei danni sia sufficiente la perizia di parte a firma di un tecnico.

La questione è stata recentemente esaminata dal Tribunale di Potenza nella sentenza n. 957 del 19 luglio 2023.

Condominio che sversa liquami dalla colonna fecale nella proprietà di un terzo. Fatto e decisione

La vertenza prendeva l'avvio quando il proprietario di un immobile adiacente ad un caseggiato lamentava infiltrazioni di liquame provenienti dalla colonna fecale dell'edificio condominiale vicino e, conseguentemente, inviava successive richieste di intervento urgente alla collettività condominiale per risolvere la problematica.

Successivamente incaricava un tecnico per la redazione di una perizia di parte avente ad oggetto la stima dei danni.

Secondo tale documento i danni subiti e rilevati dal locale erano dovuti prevalentemente a percolazioni fuoriuscenti dalla rete fecale del confinante condominio e l'intervento da effettuare per rimuovere la fonte dei danni arrecati al locale era la riparazione/sostituzione della rete fognaria del condominio.

Sicuro delle conclusioni contenute nella predetta relazione, il proprietario citava in giudizio il condominio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni tutti.

Secondo il convenuto però la domanda, oltre che generica, non era supportata da alcuna prova poiché l'attore si era limitato a fare affidamento sulla sola perizia del consulente di parte posta a fondamento dell'atto di citazione. Il Tribunale ha dato ragione al condominio.

Lo stesso giudice ha evidenziato come la perizia di parte, non sia una fonte di prova, in quanto non solo essa è formata al di fuori del giudizio, ma la sua precostituzione non trova disciplina nell'ordinamento: in altre parole l'attore con tale documento non ha assolutamente provato la rottura o il malfunzionamento della condotta fognaria, così come l'eventuale percolazione dalla detta rete fognaria; del resto il Tribunale ha notato come la perizia di parte depositata in atti non avesse neppure contenuto tecnico atteso che il consulente di parte non aveva effettuato alcuna attività di ispezione, indagini, sondaggi ed ogni altra attività che fosse finalizzata alla verifica delle condizioni della rete fognaria e della provenienza dei liquami percolanti nel locale da un'eventuale rottura della tubazione.

Ripartizione spese per la colonna di scarico

Considerazioni conclusive

Ai fini della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni procurati da cose in custodia grava sul danneggiato l'onere di provare l'esistenza di un danno risarcibile ed il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.

L'art. 2051 c.c., pertanto, non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass. civ., Sez. Un., 30/06/2022, n. 20943; Trib. Catania, Sez. III, 16/01/2017).

Si deve considerare però che le risultanze di una consulenza tecnica di parte, in quanto consacrate in un documento nel quale il perito di parte ha espresso le sue valutazioni tecniche e, dunque, ha fornito la rappresentazione di fatti tecnici, possono essere apprezzate dal giudice liberamente.

Pertanto, qualora il magistrato le abbia ritenute condivisibili ai fini della decisione, esse assumono il valore di argomenti con cui il giudice ha espresso il suo convincimento.

In altra parole la consulenza di parte non ha valore di prova ma di "indizio" per il giudice, che potrà prudentemente e liberamente apprezzarla.

La consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce quindi una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (Cass. civ., sez. III, 29/01/2010, n. 2063).

Sentenza
Scarica Trib. Potenza 19 luglio 2023 n. 957
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