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Casa costruita sul terreno della compagna: l'ex convivente abbandonato può richiedere al giudice di essere indennizzato per il lavoro svolto e la restituzione del denaro versato?

La nuova costruzione deve considerarsi una vera e propria espansione del terreno sul quale insiste, anche da un punto di vista giuridico.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

È possibile che due coniugi vogliano costruire una casa su un determinato terreno.

Chiaramente sarebbe opportuno prevenire ogni problema cointestando il terreno, di modo che i coniugi diventino comproprietari del bene costruito.

È possibile però che la casa sia costruita sopra il terreno di uno dei coniugi.

In tal caso, secondo l'articolo 934 c.c. il proprietario del suolo acquisisce la proprietà dell'immobile edificata sul terreno, già al momento dell'incorporazione. In altre parole la nuova costruzione, infatti, non può considerarsi come un bene nuovo e distinto dal suolo sul quale insiste, ma deve considerarsi una vera e propria espansione del terreno sul quale insiste, anche da un punto di vista giuridico.

La costruzione si incorpora al suolo ed appartiene immediatamente al proprietario di questo, senza che possa essere attribuita rilevanza alcuna alla sua consistenza o alla sua destinazione.

Il principio vale anche tra coniugi con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale di uno di essi diventa a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta, previo assolvimento dell'onere della prova di aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di chiedere all'altro coniuge le somme spese a tal fine.

È ammessa la possibilità di derogare al principio di accessione mediante una specifica pattuizione fra i coniugi che possono stabilire una diversa ripartizione dei beni. In mancanza di tale accordo il meccanismo previsto dal codice è chiaro: il coniuge che ha costruito opere sul fondo di proprietà esclusiva dell'altro non diventa comproprietario della costruzione e può solo chiedere la ripetizione delle somme erogate purché ne provi l'esborso.

Questi principi valgono anche se la costruzione viene fatta da un convivente sul terreno di proprietà dell'altro compagno?

La risposta è contenuta nella motivazione della sentenza della Cassazione n. 5086 del 16 febbraio 2022.

Convivente more uxorio e costruzione sul suolo dell'altro convivente: la vicenda

Un convivente more uxorio costruiva una casa sul terreno della compagna; successivamente, i rapporti personali trai due conviventi cambiava; il convivente continuava a rimanere nella casa. La compagna si rivolgeva al Tribunale per richiedere il rilascio del predetto fabbricato di sua proprietà occupato dal convivente.

Quest'ultimo si costituiva in giudizio e, in via riconvenzionale, chiedeva il pagamento dei miglioramenti e delle addizioni apportate, nel periodo dii convivenza more uxorio, sull'immobile costruito.

Il Tribunale accolse la domanda riconvenzionale subordinata e condannava la compagna al pagamento di un indennizzo per le migliorie e le addizioni, corrispondente alla metà del valore dell'immobile. La Corte d'appello ribaltava la decisione di primo grado.

In relazione ai miglioramenti, la Corte aveva applicato l'art. 936 c.c., secondo cui qualora il proprietario preferisca ritenere le opere sul proprio fondo in tutto o in parte realizzate dal terzo, deve pagare, a scelta, il valore dei materiali ed il prezzo della manodopera o l'incremento di valore del terreno.

Convivente more uxorio e costruzione sul suolo dell'altro convivente: la decisione

Secondo la Cassazione i giudici di secondo grado sono caduti in errore. Secondo i giudici supremi l'art. 936 c.c. può trovare applicazione soltanto quando l'autore delle opere non sia legato al proprietario del suolo da un rapporto giuridico che detti una specifica disciplina delle opere ivi realizzate.

In particolare l'articolo 936 c.c. deve essere applicato soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo.

La norma perciò non si applica nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate dal convivente o da chi sia legato ad una relazione sentimentale con il proprietario del suolo ed abbia impiegato denaro e tempo libero per la costruzione di una casa comune (non a vantaggio esclusivo del convivente).

Quindi, in considerazione della proprietà esclusiva del terreno e dell'operatività del principio dell'accessione, i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal convivente servono di fatto a realizzare una costruzione che è entrata, per le regole che disciplinano i modi di acquisto della proprietà, nella proprietà esclusiva della compagna.

Il convivente - che sfortunatamente non si è tutelato in alcun modo ed al quale non potrà essere riconosciuta la comproprietà del bene che ha contribuito a costruire con il suo apporto economico e lavorativo - avrà però diritto a recuperare il denaro versato e ad essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente per quella determinata finalità (in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento).

I giudici di secondo grado invece hanno erroneamente ritenuto applicabile l'art.936 c.p.c., secondo cui qualora il proprietario del terreno preferisca ritenere le opere sul proprio fondo in tutto o in parte realizzate dal terzo, deve solo pagare, a scelta, il valore dei materiali ed il prezzo della manodopera o l'incremento di valore del terreno.

Sentenza
Scarica Cass. 16 febbraio 2022 n. 5086
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