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Misure di coercizione indiretta in condominio: di cosa si tratta?

È invece importante promuovere questo tipo di istituti che coadiuvano l'esecuzione dei provvedimenti di obblighi di fare o non fare.
Avv. Caterina Tosatti 

La sentenza n. 5751 del 4 marzo 2024, emessa dalla Corte di Cassazione, affronta un caso di applicazione delle cc.dd. astreintes (o misure di coercizione indiretta) previste dall'art. 614 bis c.p.c.

In particolare, esaminando un caso connesso al rapporto tra una proprietà privata ed una condominiale, la Corte ha anche trattato della differenza tra le due versioni della norma di cui all'art. 614 bis c.p.c., introdotto nell'ordinamento nel 2009 e poi riformato nel 2015.

Misure di coercizione indiretta in condominio: di cosa si tratta? Fatto e decisione

Un Supercondominio agiva con ricorso per danno temuto ex artt. 1172 c.c. e 688 c.p.c. onde ottenere che venisse ordinato a Tizia di eseguire le opere necessarie per la messa in sicurezza delle scarpate e dei manufatti, di sua proprietà, dai quali derivava appunto il pericolo di frana e crollo rispetto alla sottostante strada gravata da servitù condominiale.

Il Tribunale accoglieva il ricorso del Supercondominio e condannava pertanto Tizia all'esecuzione dei lavori indicati dalla CTU svolta, provvedimento confermato anche in sede di reclamo promosso da Tizia.

Tizia promuoveva il giudizio di merito, onde accertare l'inesistenza del diritto del Supercondominio all'esecuzione degli interventi indicati in CTU a sue spese, ma il Tribunale rigettava le sue domande.

Avendo Tizia promosso appello, anche la Corte d'Appello di Torino, la cui pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione da cui la pronuncia che commenteremo, confermava quanto già deciso.

A questo punto, Tizia ricorre per cassazione e la Corte accoglie, dei sei motivi di impugnazione, accoglie solamente due, di cui, per quanto qui ci interessa, quello relativo all'applicazione fatta, dal Tribunale prima e dalla Corte d'Appello poi, dell'istituto delle astreintes previsto dall'art. 614 bis c.p.c.

Sostiene Tizia l'erronea applicazione, da parte della Corte d'appello, dell'art. 614 bis c.p.c., non ricorrendo, nel caso, un obbligo di fare infungibile, perché per realizzare le opere di contenimento l'obbligata deve rivolgersi a terzi, mentre dette opere avrebbero potuto essere attuate forzosamente dal Condominio, ai sensi dell'art. 669 duodecies c.p.c.

Dobbiamo premettere un excursus normativo concernente l'art. 614 bis c.p.c.

Tale norma fu introdotta nel nostro ordinamento con la Legge 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 04 luglio 2009 ed applicabile alle procedure instaurate dopo tale data.

Al momento della sua introduzione, l'art. 614 bis c.p.c. era rubricato "Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare" e prevedeva che "Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento."

Spiega la Corte che la ratio di tale intervento legislativo risiede nella volontà di assicurare l'adempimento degli obblighi di fare infungibili e, perciò, insuscettibili di esecuzione forzata in forma specifica, attesa la necessità che la prestazione sia eseguita dall'obbligato. In poche parole, solamente il soggetto condannato può eseguire l'obbligazione oggetto della condanna, senza poter ricorrere ad altri per farlo.

La Legge 06 agosto 2015, n. 132 (conv. d.l. 83/2015) modificò tale articolo: la rubrica divenne "Misure di coercizione indiretta" e fu modificata la prima parte, aggiungendo "Con il provvedimento di condanna il giudice all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro […]": pertanto, detta modifica rese applicabile la norma anche agli obblighi di fare, fungibili o meno, nonché agli obblighi di consegna e rilascio, oltre che agli obblighi di non fare, già prima inclusi.

Tale modifica divenne applicabile a tutti i giudizi pendenti nel momento di entrata in vigore della Legge.

Da quanto ci riporta la Corte, alla fattispecie che coinvolge il Supercondominio e Tizia era applicabile, ratione temporis, la prima versione della norma, in quanto, per la natura stessa

del provvedimento irrogativo della misura di coercizione indiretta, è indubbio che esso sia regolato dalla disciplina processuale in vigore al momento in cui esso è emesso, non rilevandone i mutamenti successivi, in base al noto principio generale tempus regit actum (e salva una eventuale diversa disciplina transitoria, che, sul punto, non può rinvenirsi).

Ciò comportava che il Tribunale (e la Corte d'Appello) avrebbero potuto applicare l'art. 614 bis c.p.c. solamente laddove a Tizia fosse stato imposto un obbligo di fare infungibile o un obbligo di non fare, perché solamente a tali situazioni era applicabile la norma in quel momento.

Mentre, osserva la Cassazione, la norma non era applicabile, in quel momento, ad obblighi di fare fungibili, ad obblighi di fare sub specie di consegna e rilascio ed alle obbligazioni pecuniarie.

Ciò premesso, in base a quanto detto sopra, la Corte spiega che, se l'interesse sotteso al diritto è realizzabile anche attraverso l'opera di un terzo, allora l'obbligazione è fungibile ed attuabile in via esecutiva, altrimenti, se esso è realizzabile solo per mezzo dell'attività dell'obbligato, allora l'obbligazione è infungibile e non è attuabile in via esecutiva.

In quest'ultimo caso, restando pur sempre ammissibile la richiesta di un provvedimento di condanna al giudice della cognizione ove l'interessato non voglia trasformare la pretesa sostanziale nel suo equivalente economico, a seguito di una vittoria nell'ambito del processo dichiarativo non può seguire l'esecuzione forzata, nell'eventualità che il soccombente condannato non si adegui all'ordine di prestazione impartitogli.

Ovvero, in altre parole, in caso di obbligo infungibile, detto obbligo, non potendo essere realizzato coattivamente, si 'trasforma' in una somma di denaro e, in caso di mancata esecuzione, non si potrà ottenere, per l'appunto, l'esecuzione dell'obbligo infungibile, bensì unicamente l'esecuzione dell'obbligo di pagamento della somma di denaro stabilita.

In questi casi, l'unico spazio per l'attuazione del diritto riconosciuto è dato dalla c.d. esecuzione indiretta, ossia dalla previsione di una misura coercitiva - ché è volta, aggiungiamo noi, a spingere il condannato ad adempiere ed adempiere celermente perché, in difetto, la somma iniziale di denaro che gli è stata imposta aumenterà, aggiungendosi la somma stabilita dal giudice per l'inadempimento o il ritardo.

È indubbio, prosegue la Corte, che, alla luce dell'art. 614 bis, la misura coercitiva va a rafforzare un provvedimento di condanna, quindi è irrogata in funzione della realizzazione di un rapporto obbligatorio - quello che il provvedimento di condanna crea tra creditore e debitore della prestazione infungibile, dove quest'ultimo è obbligato a pagare una somma in luogo del proprio adempimento.

Il limite naturale della norma è determinato dall'impossibilità materiale, da parte di un terzo, di surrogare l'attività dovuta dal debitore e soddisfare il creditore in via immediata e diretta. Non solo: secondo la Corte, che cita sé stessa, "nell'ambito dei rapporti obbligatori, il carattere infungibile dell'obbligazione di cui si è accertato l'inadempimento non impedisce la pronuncia di una sentenza di condanna, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì produttiva di ulteriori conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di persistente inadempimento del debitore (Cass. civ., Sez. 1, 23/9/2011 n. 19454; Cass. civ., Sez. lav., 5/9/2014, n. 18779)."

Ecco allora che, considerate le condanne avutesi nella fase cautelare prima e di merito poi, concernenti l'obbligo di Tizia a porre in essere i lavori indicati dalla CTU di I°, non siamo dinnanzi a condanne ad un obbligo di fare infungibile; infatti, i lavori ben potevano essere attuati sia dall'obbligata originaria, cioè Tizia, sia per mezzo di altri soggetti, con identico effetto satisfattivo per il creditore (Supercondominio), attesa l'assenza di attività materiali personali di cooperazione specifica richieste a Tizia dalle pronunce.

Pertanto, la condanna al pagamento della misura coercitiva a carico di Tizia va riformata. Accogliendo anche un ulteriore motivo di ricorso, la Corte ha cassato con rinvio a diversa sezione della Corte d'Appello di Torino, onde rieditare anche la parte della decisione relativa ad un'integrazione di CTU connessa ad una domanda riconvenzionale di Tizia contro il Supercondominio, erroneamente rese di Tizia contro il Supercondominio, erroneamente respinta dalla sentenza impugnata.

Considerazioni conclusive

L'istituto che abbiamo esaminato, ovvero le astreintes o misure di coercizione indiretta, conosce scarsa applicazione nella pratica, essendo probabilmente ancora poco conosciuto oppure richiesto in situazioni escluse dall'ambito di applicazione della norma (ad esempio, il pagamento di somme di denaro).

È invece importante promuovere questo tipo di istituti che coadiuvano l'esecuzione dei provvedimenti di obblighi di fare o non fare, particolarmente dipendenti dall'atteggiamento del debitore e dalla sua volontà ad adempiere.

Sentenza
Scarica Cass. 4 marzo 2024 n. 5751
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