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Il canto solitario dell'amministratore di condominio

Breve analisi di una categoria professionale disgregata.
Daniela Zeba 

La forza di una categoria è l'unità. Solo con l'unità d'intenti, di vision e di mission si raggiungono traguardi ambiziosi per il benessere dei singoli componenti e questo può essere possibile attraverso leader illuminati e un forte senso di appartenenza.

Il leader illuminato ha a cuore il suo team ed il suo gruppo, è un esempio che stimola la partecipazione dei membri, che, con il loro attivo contributo, innescano un circolo virtuoso che porta a traguardi importanti nell'interesse collettivo.

Un gruppo coeso può fare miracoli, perché la compattezza, la fiducia e la visione comune avranno sempre la meglio su interferenze esterne ed egoismi.

Ecco...questo è quanto c'è di più lontano dal mondo dell'amministratore/gestore/imprenditore condominiale o immobiliare che dir si voglia.

Noi siamo differenti: ci preoccupiamo del nome, non della sostanza. Sì, perché sono anni che si discute di terminologia, come se questo fosse fondante ed essenziale a garantire la nostra reale identità.

Ed allora tutti a riempirsi la bocca con termini tipo "property", "facility","management","real estate", felici e convinti di rappresentare al mondo (solo per il nome) la propria diversità rispetto al triste, sfigato, semplice amministratore di condominio. In realtà pochissimi di noi possono, a ragione, definirsi "manager".

L'organizzazione imprenditoriale dello studio, unita all'erogazione di servizi ai clienti è appannaggio, forse, del 2% degli amministratori strutturati.

Per non parlare poi della sterile contrapposizione dei termini professionista-imprenditore, come se esercitare una professione intellettuale sia la negazione, tout court, dell'imprenditorialità.

La nostra forza sta proprio in questo dualismo che ci contraddistingue e che dobbiamo valorizzare, se vogliamo essere protagonisti del mercato immobiliare (sano).

Sarebbe ora di slegarci dalle logiche opportunistiche dei grandi gruppi immobiliari, a cui fa gola il nostro mercato, ma a cui manca l'elemento essenziale della professionalità, unita all'attenzione alla persona, in termini di rapporti umani.

I grandi gruppi, così come ora strutturati non saranno mai player privilegiati del nostro mercato, a dispetto di ogni previsione. In condominio la vera sfida sarà mantenere efficienza e contatto umano.

Noi siamo differenti: giochiamo in solitario. Nessuna categoria professionale è più disgregata della nostra. Sarà un caso che siamo "invisibili" in termini di potere contrattuale nei confronti delle istituzioni? Sarà un caso che siamo "intercambiabili" nei confronti dei condòmini, pronti a scambiarci con un ex salumiere improvvisatosi amministratore? Sarà un caso che manchiamo del tutto di rispetto nei confronti dei colleghi e ignoriamo cosa sia la deontologia?

Non abbiamo alcun senso di appartenenza, non sappiamo fare squadra né gruppo. Siamo polverizzati in miriadi di associazioni che non si rispettano e nella migliore delle ipotesi si ignorano e vanno avanti a mo' di armata Brancaleone. C'è chi ha i numeri e chi no.

Ma se è vero che i numeri non fanno la qualità è vero che la qualità, senza i numeri è poco significativa. Ma di unione né mai si è parlato, né si parla.

Né prima né dopo la riforma del 2012, le associazioni si sono fatte portatrici dei reali interessi degli associati, perché non hanno mai trasmesso unità d'intenti e non hanno mai rappresentato gli interessi della categoria in maniera incisiva e significativa: nessuna vision comune, nessun obiettivo significativo a breve, medio e lungo termine da perseguire insieme, in tema ad esempio di tutela, riconoscimento, previdenza.

Anche ora, che sembrerebbe essersi aperto un canale comunicativo con le istituzioni, per l'intenzione manifestata dal sottosegretario, on. Jacopo Morrone, di dare una forma adeguata di riconoscimento giuridico dell'amministratore, c'è chi si scaglia contro l'ipotesi di un registro e c'è chi si ostina a stare sull'Aventino, non prendendo posizione.

Come si spiegano tali atteggiamenti contrapposti? Ma, soprattutto: come possiamo pretendere di essere degli interlocutori credibili nei confronti delle istituzioni se i nostri rappresentanti si presentano in così totale disaccordo?

Proprio in questi giorni, abbiamo assistito a diverse prese di posizione, debitamente pubblicate su diversi organi di stampa, di alcuni presidenti di categoria in merito all'istituzione o meno del fatidico registro: perché un albo, a ben vedere, metterebbe in crisi il loro tradizionale ruolo, che, visto l'esito della riforma, è comunque sempre stato fallimentare. Con una regolamentazione, finalmente vi sarebbero regole certe, senza nuotare più nel mare dell'incertezza e del pressapochismo.

Finalmente finirebbe il business legato alla formazione ed ai corsifici: niente più iscrizioni a garantire poltrone e posizioni di privilegio, ma solo chiarezza, riconoscimento e dignità professionale, che evidentemente infastidiscono i vertici associativi con un inevitabile depotenziamento delle loro funzioni. A questi dissenzienti che si proclamano a gran voce paladini della categoria, forti dei loro numeri, dico che dovrebbero non solo avere più rispetto dei loro associati, ma anche avere il coraggio di chiedere che ne pensano a proposito di un riconoscimento giuridico: sicuramente avrebbero delle amare sorprese.

Noi siamo differenti: non vogliamo stabilire regole. Si, perché è oggettivo che gli amministratori siano come delle amebe. La gran massa non si pronuncia mai, al massimo si lamenta sottovoce, ma non ha mai fatto, né fa niente per ribaltare la situazione avvilente in cui si ritrova.

Non ha mai avuto un moto d'orgoglio, muta di fronte a politiche inadeguate, rassegnata di fronte ad incombenze sempre crescenti, incapace di fare valere la propria professionalità nei confronti dei clienti, disposta a "calarsi le braghe" pur di non perdere i condomini. Gli amministratori non si sono mai battuti per il loro riconoscimento ed i loro diritti. Al contrario di altri, ritengono che le regole non siano necessarie, che la propria zona di comfort sia un mercato distorto, iniquo e senza barriere, caratterizzato dalla concorrenza sleale e dalla mancanza di deontologia, con la benedizione "urbi et orbi" delle associazioni.

Noi siamo differenti: non ci interessa l'equo compenso. Adoriamo il mercato delle vacche. Evidentemente gli amministratori adorano il mercato iniquo e volto al ribasso, in totale deregulation.

Perché lottare per un compenso equo e proporzionale alla qualità ed alla quantità della prestazione offerta? Perché questo tipo di mercato lo impone. Perché ce lo hanno detto i "guru" che ci vogliono meri venditori di servizi e pretendono di insegnarci chi siamo e cosa vogliamo.

Premesso che credo anch'io che il futuro della nostra professione sia nella qualità dei servizi integrati erogati, e che sono favorevole all'organizzazione imprenditoriale, non ritengo giusto però che si disconosca la natura intellettuale del lavoro dell'amministratore di condominio, ed aborro che sia sancita per legge l'eventualità della retribuzione. Dovremmo pretendere il diritto ad un equo compenso, e chiedere, contemporaneamente l'abolizione dell'art. 1335 c.c. nella parte in cui si prevede l' "eventualità" del compenso. La nostra professione dovrebbe avere tutela pari a quella delle professione ordinistiche tradizionali.

Pari opportunità e pari trattamento perché ad oneri debbono corrispondere onori, equi e proporzionali. Non c'è mestiere, dal più umile, cui si contesti la retribuzione, che può essere oggetto certamente di trattativa, ma su basi certe. Solo per l'amministratore di condominio questa regola universale non vale e il paradosso è che l'amministratore di condominio è anche l'unica professione regolamentata direttamente dal codice civile, alla quale non si risparmia alcun onere e/o responsabilità civile e/o penale, ma di cui non si prevede una retribuzione certa.

Noi siamo differenti: il masochismo ci piace, ma a tutto c'è un limite. In quest'ottica, parlare di equo compenso senza regolamentare radicalmente la professione non ha senso. E si badi bene, non si tratta di pretendere canali privilegiati o protezionismi di sorta, anzi: sacrosanta sia la libera concorrenza dinamica, se però a svolgere il lavoro di amministratore sono persone preparate, che entrano sul mercato superando una prova comune e sottostando alle stesse regole.

Tutti uguali ai blocchi di partenza, senza interni, improvvisati o con pretesa di diritti acquisiti: esame di stato per tutti e ogni tassello tornerebbe magicamente al suo posto.

Su questo presupposto avverrebbe l'autoregolamentazione.

Si creerebbe un mercato sano in cui si esplicherebbe la libera concorrenza,

Questo significherebbe serietà.

Questo rappresenterebbe la svolta.

Questo tutelerebbe il condòmino che è il primo a cercare serietà e competenza certificata ed oggettiva del proprio amministratore.

Questo implicherebbe probabilmente (e finalmente) la fine di Fantozzi.

Questo implicherebbe (finalmente) la fine delle associazioni così come tradizionalmente considerate.

Sarebbe l'alba di una nuova entusiasmante era.

Questo è (e probabilmente rimarrà) il mio sogno.

Se solo fossimo meno differenti…

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