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Locali portineria: il vincolo di destinazione sine die è valido?

Non sono ammessi accordi che in concreto svuotino le facoltà inerenti al diritto di proprietà per un tempo indefinito.
Avv. Marco Borriello 

La vicenda oggetto della presente pubblicazione nasce oltre sessant'anni fa, allorquando, i proprietari di una determina porzione immobiliare, facente parte di un condominio, destinarono e adibirono la medesima a portineria del fabbricato.

Il tutto avvenne con un'apposita convenzione, debitamente trascritta nei registri immobiliari e nei successivi atti di trasferimento della proprietà, all'interno della quale gli originari contraenti stabilirono la perpetuità del vincolo de quo.

Ebbene, l'accordo così delineato era valido? È possibile limitare tanto incisivamente il diritto di proprietà, al punto da svuotarlo di contenuto? La convenzione in discussione è valida oppure contrasta con la pacifica interpretazione del dettato dell'art. 1379 c.c.?

Ha risposto a queste domande la recente sentenza della Cassazione n. 26980 del 14 settembre 2022. Nel relativo procedimento, secondo i ricorrenti, ogni vincolo di destinazione dei locali di loro proprietà si era ormai estinto e l'ente doveva essere condannato al rilascio del bene a loro favore. Sono stati, perciò necessari ben tre gradi di giudizio per mettere un punto alla questione.

Approfondiamo meglio, però, il caso concreto.

Locali portineria: il vincolo di destinazione sine die è valido? Il caso concreto

Nel lontano 1961, i proprietari di un immobile, a titolo gratuito, avevano convenuto con la società titolare dell'edificio di destinare questo bene ad uso portineria.

Si trattava, altresì, di un impegno assunto sine die «detto impegno durerà in perpetuo salvo che le Parti… non convengano diversamente».

L'anzidetto accordo era trascritto nei registri immobiliari e, debitamente, menzionato nei successivi passaggi di proprietà della portineria. Perciò, da questo punto di vista, non si sarebbe potuto eccepire nulla.

Gli attuali titolari dell'immobile, invece, invocavano l'estinzione di ogni vincolo, per varie ragioni. Tra queste spiccava quella per cui contestavano la natura perpetua della destinazione. Non era possibile limitare, sine die, il loro diritto. Ciò contrastava con il dettato dell'art. 1379 c.c. Secondo i proprietari, la convenzione originaria era, quindi, nulla e priva di effetto.

La questione, dunque, era affidata alla risoluzione dei competenti uffici giudiziari, dinanzi ai quali era chiesto al condominio il rilascio dei locali.

La domanda, però, non trovava accoglimento né in primo grado né in sede di appello. Nemmeno il ricorso in Cassazione conduceva ad una diversa conclusione. Anche per gli Ermellini la convenzione tra i proprietari dell'immobile e l'allora società titolare dell'edificio, seppur risalente, era valida ed ancora efficace. In ciò, i giudici di merito non avevano sbagliato.

Vincolo di destinazione della proprietà sine die: cosa dice la legge?

Nel nostro codice civile è presente una norma che regola il divieto di alienazione, cioè il caso in cui due parti si impegnano affinché una di esse non ceda un determinato bene «Il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti (art. 1379 cod. civ.)».

Come è facile notare, si tratta un accordo che non può prevedere tale vincolo senza alcun limite temporale. In pratica, l'efficacia sine die di questo patto non è ammessa.

La norma, inoltre, per pacifica opinione giurisprudenziale, è applicabile in tutti i casi in cui i contraenti limitano, in modo significativo, il diritto di proprietà, senza alcun termine. Quindi, anche quando non è previsto un divieto di alienazione, ma un vincolo di altro tipo «La norma dell'art. 1379 c.c. con riguardo alle condizioni di validità — limite temporale di durata, rispondenza ad apprezzabile interesse di una parte — del divieto convenzionale di alienare, si applica, essendo espressione di un principio di portata generale, anche a pattuizioni che, come quelle contenenti un vincolo di destinazione, se pur non puntualmente riconducibili al paradigma del divieto di alienazioni, comportino, comunque, limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà (Cass. sent. n. 3082/1990) - art. 1379 cod. civ., che vieta la previsione di accordi che in concreto svuotino le facoltà inerenti al diritto di proprietà per un tempo indefinito, applicato da questa Corte anche ai vincoli di destinazione sul bene (Cass. n. 15240 del 2017; Cass. n. 12769 del 1999)».

Condòmino vincola sine die un immobile a favore del condominio: è possibile?

Nel caso in commento, l'immobile di proprietà di alcuni condòmini era vincolato, sine die, a favore del fabbricato. Questi poteva destinarlo come portineria.

Ebbene, per la Cassazione tale accordo, sebbene, perpetuamente, limitativo del diritto di proprietà dei singoli, era valido. I condòmini de quo, infatti, traevano, comunque, un'utilità dal bene, visto che era al servizio dell'edificio di cui erano parte «l'asservimento dell'unità immobiliare in discorso all'uso comune dei condomini è materialmente e funzionalmente collegata alla titolarità in capo ai danti causa di beni esclusivi all'interno del condominio.

Ne discende che il vincolo di destinazione, essendo volto a beneficiare di un servizio anche le unità immobiliari di proprietà esclusiva degli obbligati, si risolve non già in un azzeramento delle facoltà spettanti ai proprietari, ma in una convenzione che ne disciplina un uso diverso, certo meno intenso rispetto all'uso esclusivo, ma tale da non annullare qualsiasi utilità connessa al suo godimento o utilizzazione».

Insomma, il diritto di proprietà in questione, sebbene fortemente limitato, non era stato completamente annullato dal citato accordo, vista la possibilità di goderne e utilizzarlo, pro quota, in quanto condòmini. Per questo motivo, si trattava di un patto legittimo e non poteva certo essere accolta alcuna domanda di rilascio dei locali in contestazione.

Sentenza
Scarica Cass. 14 settembre 2022 n. 26980
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