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Esclusa la violenza privata per chi installa le telecamere nel muro perimetrale della sua casa, ma la normativa privacy si applica ugualmente

Ulteriori precisazioni in merito alla sentenza della Corte di Cassazione n. 20527 del 2019
Avv.ti Carlo Pikler- Valerio Palma - Roberto Tomassoni Privacy And Legal Advice 2018 Srl 

Non costituisce un trattamento a carattere esclusivamente personale e domestico quello effettuato per oggettivi motivi di sicurezza della propria abitazione da un privato che monitori anche un'area di pubblico passaggio. La sentenza in commento (Cass. Sez. V Pen. n. 20527, del 13.05.19) è di notevole interesse, in quanto permette di chiarire, forse una volta per tutte, il delicato aspetto del bilanciamento di diritti apparentemente contrapposti.

Da una parte, infatti, si pone quello alla riservatezza personale (privacy), quest'ultimo a sua volta strettamente collegato al concetto di libera autodeterminazione dell'individuo e all'esplicazione della sua dignità. Dall'altra, però, si trova un diritto altrettanto fondamentale come quello della protezione della vita e che coinvolge il concetto di sicurezza anche sociale.

Le telecamere private possono andare ad inquadrare le aree di pubblico transito, previo semplice accordo vincolante con l'amministrazione comunale

Nel caso deciso la Corte affronta un capo di imputazione relativo al reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. In estrema sintesi, gli imputati sarebbero stati colpevoli di avere "costretto" gli abitanti della zona a cambiare le loro abitudini di vita, quindi coartando la loro libera capacità di autodeterminarsi, installando sul muro perimetrale della propria abitazione una telecamera che "monitorava" l'area pubblica di passaggio circostante.

Tralasciando gli aspetti di configurabilità del reato in oggetto e che hanno portato infine all'assoluzione dal capo di imputazione suddetto, in questo articolo ci vogliamo soffermare sui presupposti di liceità di un sistema di videosorveglianza privato.

Partiamo dall'assunto, ormai pacifico, che l'attività di videoriprendere (con o senza sonoro e con o senza registrazione) in luoghi dove compaiano persone fisiche identificabili (e cioè con una sufficiente risoluzione dell'immagine che consenta di andare oltre a una semplice macchia od ombra) comporta un trattamento di dati personali.

L'immagine di una persona fisica identificabile costituisce, infatti, un dato personale (art. 4, 1-2 Reg. UE 679/16; Cass. n. 17440/2015; Garante, provv. del 10/04/2010, doc web 1712680; idem, provv. del 01/01/04, doc-web 1044254).

Il Garante e la giurisprudenza hanno chiarito che l'utilizzo di telecamere da parte di privati è lecito unicamente se persegua finalità di tutela della sicurezza di persone e cose da un concreto pericolo di aggressioni altrui. Si sottolinea "concreto", poiché, in virtù dei noti principi di necessità, di pertinenza e non di eccedenza, nonché di proporzionalità fra i mezzi utilizzati e gli obiettivi da perseguire (cfr. art. 5, 1, let. c, Reg. UE cit.), essendo considerata la video sorveglianza uno strumento altamente invasivo della riservatezza individuale, il suo impiego dovrebbe essere considerato come l'estrema ratio.

Telecamera di videosorveglianza è finta? Nessun pregiudizio alla privacy

Così, ad esempio, la Cassazione (sent. n. 71 del 03.01.13) ha espressamente sancito che «l'installazione di impianti di video sorveglianza è illegittima ove avvenga in luoghi non soggetti a concreti pericoli per i quali non esistono effettive esigenze di controllo».

Dunque, occorre fare molta attenzione.

In pratica, in ambito privato è necessario che il titolare dell'impianto, in caso di contestazione, possa giustificare l'adozione del sistema per avere subito una serie di atti di vandalismo o di tentate rapine o di furti (magari avendo cura di conservare copia delle passate denunce).

La comprovata finalità di sicurezza, quindi, nell'ottica del bilanciamento di valori di pari rango, giustifica si la (parziale) compromissione del diritto alla riservatezza, ma ciò deve avvenire comunque «nei limiti dello stretto necessario (v. sentenze IPI, C-473/12, EU:C:2013:715, punto 39, nonché Digital Rights Ireland e a., C-293/12 e C-594/12, EU:C:2014:238, punto 52)»: Corte di Giustizia Europea (Quarta Sezione), C-212/13, sentenza 11.12.2014.

Pertanto, anche il posizionamento delle telecamere, il loro numero, l'angolo di ripresa, la possibilità di zoom oppure di motilità delle stesse, sono tutti elementi che incidono sulla concreta eccedenza (e quindi illiceità) o meno rispetto alla finalità perseguita.

Per intendersi, sarebbe inutile, oltre che (quasi) sicuramente sindacabile come illecito, dotare un Condominio di ridotte dimensioni e situato in un luogo relativamente tranquillo, di una ventina di telecamere in grado di monitorare ogni angolo dello stabile e tutta la zona circostante.

I soggetti che transitano presso un'area dove è in funzione un sistema di video sorveglianza, ad ogni modo, devono esserne opportunamente e previamente informati mediante l'affissione di un cartello (la così detta informativa breve) che:«

  • deve essere collocato prima del raggio di azione della telecamera, anche nelle sue immediate vicinanze e non necessariamente a contatto con gli impianti;
  • deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il sistema di video sorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno (o perché illuminato o perché comunque dotato di un sistema di catarifrangenza o di fluorescenza).
  • può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati al fine di informare se le immagini sono solo visionate o anche registrate.» (Garante, art. 3.1 provv. 08/04/2010 cit.).

L'informativa breve deve sempre rimandare al testo dell'informativa estesa e completa di tutti gli elementi di cui all'art. 13 del Reg. UE 679/16, che deve essere a disposizione del soggetto interessato che la richieda.

La ratio alla base dell'incombente è ripresa anche dalla sentenza in commento, la quale, in un passaggio chiave, precisa che «l'avvertimento in parola» (quello costituito dall'informativa breve) «è, evidentemente, finalizzato a rendere edotto "quispue de populo" della presenza di strumentazione atta alla captazione di comportamenti che lo riguardano.

In tale contesto, se, per un verso, l'avvertimento, rectius, la consapevolezza della presenza del sistema di video sorveglianza può costituire un condizionamento della libertà di movimento del cittadino, d'altro canto, consente a quest'ultimo di determinarsi cognita causa, selezionando i comportamenti consequenziali da tenere.

Si tratta, dunque, di un delicato equilibrio di compromesso tra libertà individuali ed esigenze di sicurezza sociale», richiamando peraltro la sentenza della Corte di Giustizia già citata (C-212/13).

Detto ciò, è ora da chiedersi: il privato che voglia installare un sistema di video sorveglianza, come deve comportarsi per non commettere un reato/illecito? In ambito condominiale bisogna distinguere. Se è il Condominio nel suo complesso, la normativa privacy si applica sicuramente.

Dunque: si all'informativa breve ed estesa e a tutte le altre prescrizioni di legge e dei provvedimenti vincolanti del Garante.

Normalmente l'area di ripresa dovrebbe essere limitata alle aree comuni, senza coinvolgimento di zone di competenza altrui (pubblica o privata che siano). In quest'ultimo caso, infatti, vi potrebbe essere il rischio di incorrere nel reato di illecite interferenze nella vita privata (altrui: art. 615 bis c.p.) o, come nel caso qui in commento, di violenza privata (610 c.p.).

La più recente giurisprudenza sembra orientata, però, a escludere la rilevanza penale delle riprese dei luoghi comuni condominiali accessibili, di norma, ai terzi estranei al Condominio e a una quantità indefinita di soggetti, come avviene ad esempio per il parcheggio condominiale (vedi Cass. Pen. V sez. sent. 34151 del 12.07.17).

Lo stesso dicasi per i luoghi che pure appartengono alla sfera privata del singolo, come il suo giardino, o addirittura il bagno di casa, se questi ultimi non sono normalmente posti al riparo dagli sguardi indiscreti dei passanti (Cass. Pen. 21.10.2008 n. 44156, ripresa da ultimo da Trib. Catania, Sez. III, 31/01/2018; e Cass. Pen 2598 del 08.01.19).

Insussistenza di reato, a ogni modo, non vuol dire che non si possa riscontrare un illecito civile.

Qualora sia il singolo privato a dotarsi di telecamere per difendere la sicurezza della propria abitazione e costui non comunichi o diffonda i dati a terzi, ma si limiti a "trattarli" all'interno della propria sfera privata, la normativa privacy non si applica.

Se il privato, cioè, si limiti a riprendere le sole zone di sua competenza, senza alcun coinvolgimento di aree altrui, e i dati videoripresi rimangano nella sua esclusiva disponibilità, egli attua un trattamento «a carattere esclusivamente personale o domestico», che rende inapplicabile il Regolamento Europeo (cfr. art. 2, comma 2, let. C, Reg. UE cit.).

Niente informativa breve ed estesa, dunque. Ma se il privato invade le zone di pertinenza altrui? Può sempre considerarsi un trattamento «a carattere esclusivamente personale o domestico»?

Ebbene, indirettamente la sentenza in commento risponde negativamente, in quanto cita la Corte Europea (C-212/13, cit.) la quale afferma che la ripresa di zone "altrui", pure per comprovati e legittimi motivi di sicurezza della propria abitazione e dell'incolumità della propria famiglia, «non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l'esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico».

In conclusione, qualora il privato intenda monitorare pure le aree circostanti la sua esclusiva proprietà, se per oggettivi motivi di sicurezza personale lo potrà fare senza il consenso dell'interessato (art. 6, comma 1, let. F, Reg. UE, cit.), dovrà comunque applicare il cartello dell'informativa breve, nonché predisporre l'informativa estesa di legge da mettere a disposizione su richiesta (ex art. 13 Reg. UE cit.).

Ciò, si ritiene, anche qualora il trattamento dei dati avvenga senza alcuna comunicazione o diffusione a terzi.

E nei casi dubbi? Ai sensi dell'art. 144 del D.Lgs n. 101/2018 (Codice Privacy vigente) «chiunque può rivolgere una segnalazione che il Garante può valutare anche ai fini dell'emanazione dei provvedimenti di cui all'articolo 58 del Regolamento». Il cittadino è avvertito.

Sentenza
Scarica Cassazionepenale..n.20527 2019
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