La Cassazione precisa che bisogna distinguere tra i danni derivanti dalla attività dell'appaltatore e i danni derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto.
La vicenda. Tizio e Caio avevano agito in giudizio nei confronti della società beta, società gamma e del Comune di Vittorio Veneto per ottenere il risarcimento dei danni subiti da un immobile di loro proprietà a seguito di un allagamento proveniente dal cantiere aperto per la realizzazione di una bretella stradale, i cui lavori erano stati appaltati dal comune alla società beta e da questa subappaltati alla società gamma.
La domanda era stata accolta dai giudici di merito solo nei confronti della delle due società.
Avverso tale pronuncia, Tizio e Caio hanno proposto ricorso in cassazione eccependo la violazione del principio secondo il quale il committente, ancorché ente pubblico, era responsabile per culpa in vigilando della pericolosità dell'opera.
Il ragionamento della Cassazione. Nella specie, la corte di appello, pur avendo accertato la responsabilità delle imprese appaltatrici, aveva escluso ogni responsabilità dell'ente committente per i danni subiti dai ricorrenti.
Difatti aveva ritenuto che non poteva essere affermata una responsabilità del comune ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto l'affidamento del cantiere alle imprese appaltatrici non consentiva di ritenere in capo allo stesso configurabile il rapporto di custodia in relazione alla cosa che aveva arrecato il danno; inoltre, nemmeno poteva essere affermata una responsabilità dell'ente committente ai sensi dell'art. 2050 c.c., perché l'attività pericolosa non era svolta da questo, ma dalle imprese appaltatrici; infine, la stessa possibilità di affermare un concorso nella responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'art. 2043 c.c. era impedita, essendo «in fatto, la situazione obiettivamente incerta».
Premesso ciò, contrariamente a quanto esposto, secondo la Cassazione la corte di appello aveva in realtà escluso la responsabilità del comune committente ai sensi dell'art. 2051 c.c. sull'erroneo presupposto per cui l'esistenza di un appalto era di per sé sufficiente a far venire meno la custodia del bene (salva prova contraria), e non aveva verificato invece se la predetta amministrazione committente avesse fornito la prova liberatoria del caso fortuito, su essa gravante ai sensi dell'art. 2051 c.c.
Principio di diritto. Per le suesposte ragioni, gli ermellini hanno stabilito che la fattispecie dovrà essere riesaminata dalla corte di appello alla luce dei seguenti principi di diritto: «in caso di danni subiti da terzi nel corso dell'esecuzione di un appalto, bisogna distinguere tra i danni derivanti dalla attività dell'appaltatore e i danni derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto; per i primi si applica l'art. 2043 c.c. e ne risponde di regola esclusivamente l'appaltatore (in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l'art. 2049 c.c. al committente), salvo il caso in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell'attività stessa e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo; per i secondi (e cioè per i danni direttamente derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto, anche se determinati dalle modifiche e dagli interventi su di essa posti in essere dall'appaltatore) risponde (anche) il committente ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto l'appalto e l'autonomia dell'appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente; in tale ultimo caso, il committente, per essere esonerato dalla sua responsabilità nei confronti del terzo danneggiato, non può limitarsi a provare la stipulazione dell'appalto, ma deve fornire la prova liberatoria richiesta dall'art. 2051 c.c., e quindi dimostrare che il danno si è verificato esclusivamente a causa del fatto dell'appaltatore, quale fatto del terzo che egli non poteva prevedere e/o impedire (e fatto salvo il suo diritto di agire eventualmente in manleva contro l'appaltatore)».
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Cassazione ha accolto il ricorso ed ha cassato la sentenza con rinvio altra sezione della Corte d'appello.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | Danni da allagamento e responsabilità appaltatore/committente |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 2043 - 2051 c.c. |
PROBLEMA | Il proprietario di un immobile danneggiato a seguito di un allagamento proveniente dal cantiere aperto per la realizzazione di una bretella stradale, avevano agito in giudizio nei confronti della società beta (appaltatrice), società gamma (sub-appaltatrice) e del Comune (committente) per ottenere il risarcimento dei danni subiti. La domanda era stata accolta dal Tribunale solo nei confronti della delle due società. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva ridotto l'importo riconosciuto agli attori a titolo di risarcimento (di circa 15 mila euro), confermando il rigetto della domanda nei confronti del comune committente. |
LA SOLUZIONE | A parere della Cassazione, l'appalto di lavori aventi ad oggetto una cosa non fa di per sé venir meno a carico del committente l'obbligo di custodia sulla stessa e l'obbligo di esercitare il controllo su di essa, sia pure compatibilmente con l'esistenza del contratto di appalto, in modo da impedire che essa produca danni a terzi. Le vicende che riguardano l'utilizzazione della cosa, ed anche l'affidamento ad un appaltatore dell'attività di manutenzione e/o di esecuzione di opere di modifica sulla stessa, rientrano sempre (come è ovvio) nell'esercizio dei poteri del custode su di essa, e quindi ne possono escludere la responsabilità esclusivamente laddove ricorrano le rigorose condizioni richieste dall'art. 2051 c.c., e cioè sia provato il caso fortuito. |
LA MASSIMA | "In caso di danni subiti da terzi nel corso dell'esecuzione di un appalto, bisogna distinguere tra i danni derivanti dalla attività dell'appaltatore e i danni derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto; per i primi si applica l'art. 2043 c.c. e ne risponde di regola esclusivamente l'appaltatore; per i secondi (e cioè per i danni direttamente derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto) risponde (anche) il committente ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto l'appalto e l'autonomia dell'appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente" (Cass. 28 settembre 2018, n. 23442). |