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È possibile limitare la custodia degli animali domestici in caso di immissioni?

La Suprema Corte si sofferma su aspetti afferenti l'intollerabilità delle immissioni nei rapporti di vicinato con riferimento agli animali domestici.
Avv. Nicola Frivoli 

Con ordinanza emessa in data 20 gennaio 2023, n. 1835, la Corte di Cassazione, Sezione II, si è pronunciata su otto motivi di censura in ambito di immissioni, ex art. 844 c.c.

La vicenda: immissioni intollerabili causate da cani e gatti

In virtù di azione intentata con ricorso ex art. 700 c.p.c. da proprietari di abitazioni confinanti con un fabbricato con annesso appezzamento di terreno lamentavano la sussistenza di rumori e di cattivi odori provenienti da tale fabbricato dovuti alla presenza di un numero considerevole di cani e gatti che venivano custoditi da proprietari del detto terreno.

Il Tribunale di Nola adito accoglieva il ricorso e ordinava a proprietari del terreno di allontanare i cani da tale abitazione, riducendone il numero a non più di quattro unità, ordinando di provvedere alla bonifica del giardino. A seguito di reclamo la suddetta ordinanza veniva dichiarata nulla.

Veniva proposto un nuovo ricorso ex articolo 700 c.p.c. nuovamente accolto dal Tribunale che ordinava di ridurre ad un massimo di sei unità il numero dei cani ospitati nel fabbricato. Il conseguente reclamo veniva rigettato.

I medesimi attori citavano in giudizio i proprietari dell'appezzamento di terreno chiedendo la conferma di quanto disposto in sede cautelare e la condanna al risarcimento dei danni alla salute e morali patiti dagli attori.

Si costituiva in giudizio la proprietaria dell'appezzamento ed eccepiva il difetto di competenza del Tribunale in favore del giudice di pace e concludeva per il rigetto della domanda.

Il Tribunale accoglieva le domande attoree e condannava la convenuta a ridurre il numero dei cani custoditi a non più di sei e al pagamento in favore di ciascun attore della somma di euro 2000 a titolo di risarcimento del danno.

La convenuta proponeva appello ed eccepiva in primo luogo il difetto di competenza del Tribunale in favore del giudice di pace e, nel merito, l'erroneità della sentenza complessivamente considerata. Si costituivano in giudizio gli appellati chiedendo la conferma della sentenza.

La Corte di appello di Napoli rigettava l'appello con sentenza depositata il 26 aprile 2018, confermava la sentenza del Tribunale di Nola. In primo luogo, rigettava l'eccezione di incompetenza per materia già eccepita in primo grado e ritualmente riproposta in appello quale motivo di impugnazione.

Infatti, secondo la Corte territoriale, come correttamente dedotto dal giudice di primo grado, la domanda giudiziale aveva ad oggetto un'immissione che non poteva dirsi generata da un ordinario uso per civile abitazione dell'immobile, essendo lo stesso adibito a ricovero per cani visto il considerevole numero di cani custoditi.

La Corte d'Appello confermava poi la statuizione circa il superamento della tollerabilità delle immissioni del giudice di primo grado fondata sulle caratteristiche dei luoghi, sui fatti di causa e sulle nozioni di comune esperienza avvalorate dalle deposizioni dei testi escussi che avevano riferito di un continuo e assordante latrare proveniente dal fondo.

Avverso tale pronuncia, l'appellante proponeva ricorso in cassazione adducendo otto motivi di censura, e le parti l'intimate non si costituivano.

La Cassazione riteneva tutti i motivi di censura infondati ed inammissibili

La competenza in ambito di immissioni: principio in diritto

La Suprema Corte chiarisce la competenza del giudice di pace nelle controversie relative a rapporti tra proprietari e detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità. La competenza ex art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c. è tassativamente circoscritta alle cause tra proprietari e detentori di immobili ad uso abitativo, rivivendo, al di fuori di tali ipotesi, i criteri ordinari di competenza.

La norma processuale non copre l'intero ambito applicativo dell'art. 844 c.c. e, in particolare, non comprende le controversie relative ad immissioni provenienti da impianti industriali, agricoli o destinati ad uso commerciale, essendo devoluta al giudice di pace la cognizione delle controversie relative ai rapporti di vicinato (Cass. civ. S.U. 19 ottobre 2011, n. 21582), con esclusione delle liti che, data la complessità delle questioni, esigano un bilanciamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (art. 844, comma secondo c.c.).

Se, dunque, sul piano oggettivo, è decisiva la provenienza delle immissioni dall'utilizzo, in tutte le sue potenziali esplicazioni, di immobili destinati ad abitazione civile, occorre tuttavia tener conto della natura delle attività concretamente svolte e della particolare fonte da cui promanano i disturbi.

Pertanto, la decisione della Corte d'Appello di Napoli è condivisa dagli ermellini che hanno ritenuto che, a causa dell'elevato numero di esemplari, doveva ritenersi sussistere un ricovero per cani che, pur senza scopo imprenditoriale, esorbitava dal carattere domestico, secondo un principio in diritto (vedi Cass civ. sez.VI-II, Ord.n. 23 luglio 2019, n. 19946).

Principio in diritto: limitazione numero animali domestici

La Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo cui i giudici hanno facoltà di limitare il numero di cani, e più in generale di animali, che vivono con una persona, qualora questi arrechino disturbo.

La Corte ha chiarito come in tema di rumori o odori oltre la tollerabilità media, la prova non debba essere necessariamente fornita attraverso strumenti tecnici; è ammissibile anche una dimostrazione mediante testimoni.

Ancora, ai fini della dimostrazione di una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione non si deve necessariamente dimostrare un concreto ed effettivo cambiamento delle abitudini di vita, ma è sufficiente una prova mediante presunzioni.

Altro principio molto importante è quello secondo cui la lesione dei diritti al normale svolgimento della vita familiare nella propria abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane costituisce danno non patrimoniale risarcibile, ove dimostrata, anche in assenza di un danno biologico.

Cani in giardino. Solo il proprietario dell'animale risponde dei danni

In sostanza, gli ermellini hanno confermato la decisione dei giudici di prime cure e del gravame, stabilendo che, in caso di rumori o odori che vadano oltre la normale tollerabilità, è possibile limitare il numero massimo di animali che si possano custodire. Nel caso concreto massimo sei cani in un'area di circa tremila metri quadrati.

Il limite al superamento della normale tollerabilità

Sul punto è sufficiente richiamare l'orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale: "La domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l'attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei a eliminare la situazione pregiudizievole" (Cass. civ. sez. II, sent. 31 agosto 2018, n. 21504)

In altri termini, il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa (Cass. civ. sez. II, sent.12 febbraio 2010 n. 3438).

In conclusione, la Suprema Corte rigettava il ricorso e nulla per le spese perché non si erano costituite le parti intimate.

Sentenza
Scarica Cass. 20 gennaio 2023 n. 1823
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