L’amministratore o i condomini, ai sensi dell’art. 66, primo e secondo comma, disp. att. c.c., hanno la facoltà (nel caso dell’amministratore in relazione all’assemblea ordinaria annuale l’obbligo) di convocare l’assemblea di condominio.
Il terzo comma del succitato art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile, laconicamente, specifica che, “ l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza”.
Se a questa norma si unisce quanto detto nel sesto comma dell’art. 1136 c.c. – cioè che l’assemblea dei condomini non può deliberare se non viene verificato che tutti i condomini siano stati ritualmente invitati – si può concludere che il legislatore ha imposto al convocante l’obbligo di avvisare tutti i condomini entro un determinato termine precedente allo svolgimento dell’assise.
Previsto ciò, però, il codice non dice nulla in merito alla forma che tale avviso deve assumere. Tanto è bastato quindi per domandarsi: quando l’avviso deve considerarsi ritualmente comunicato?
Per costante giurisprudenza anche in materia di condominio vale “ la regola generale secondo cui nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma - sempre che il legislatore o le parti non richiedano la forma scritta per la validità del negozio o per consentirne la prova - facendo da tale principio scaturire la conseguenza che, non avendo il legislatore nulla detto nell'art. 1136 c.c., l'avviso deve considerarsi svincolato da qualsiasi forma, essendo sufficiente che il condomino venga comunque a conoscenza della convocazione.
L'art. 1136 c.c. non prescrive infatti modalità di notifica ai condomini dell'avviso di convocazione per la regolarità della relativa assemblea, e si deve ritenere che la disposizione di legge sia stata osservata allorquando risulti provato, anche a mezzo di presunzioni, che i condomini abbiano in qualunque modo avuto notizia della convocazione” (Trib. Bari 23 febbraio 2010 n. 642).
In tal senso la Cassazione ha affermato che è da considerarsi valido anche l’avviso effettuato mediante comunicazione orale purché si possa provare la conoscenza da parte del condomino (cfr. Cass. 8449/09).
Va detto che per prassi, scaturita da evidenti esigenze di certezza, l’amministratore è solito inviare l’avviso di convocazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o consegnandolo a mano facendosi firmare una ricevuta per provare l’avvenuta consegna.
Che cosa accade se l’assemblea viene convocata mediante avviso in forma scritta ma l’avviso consegnato non direttamente al condomino bensì ad un suo congiunto o fiduciario?
La Cassazione è intervenuta sul punto specificando che “ qualora sia accertata, in sede di merito, l'esistenza di una prassi (correttamente intesa come regolare ripetersi di comportamenti precedentemente accettati nello svolgimento di analoghi rapporti) in base alla quale l'avviso di convocazione di assemblea condominiale, destinato ad uno dei condomini non abitanti nell'edificio condominiale, viene consegnato ad altro condomino, suo congiunto, tale prassi, […], non può ritenersi illegittima” in base al principio di diritto di libertà delle forme, “con la conseguenza che l'avvenuta consegna dell'avviso di convocazione al congiunto, deve ritenersi regolare essendo l'atto - recapitato in tal guisa e pervenuto nella sfera di normale ed abituale conoscibilità del destinatario - idoneo a creare nello stesso una situazione giuridica di oggettiva conoscibilità con l'uso della normale diligenza, sua e del consegnatario designato, conforme alla clausola generale di buona fede, che regola i rapporti giuridici intersoggettivi ed impedisce, rendendolo illegittimo ed immeritevole di tutela, ogni abuso di diritto” (così Cass. 1 aprile 2008, n. 8449).
In sostanza, se sarà possibile dimostrare l’usualità di tale condotta, la comunicazione dell’avviso mediante consegna a soggetto terzo (ma ad esempio congiunto o comunque fiduciario) dovrà considerasi lecita.